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Seth Mydans
Nella regione dello tsunami, incredulità per l’affanno USA
22 Maggio 2006
Articoli del 2005
I telespetattori del sud-est asiatico esterrefatti davanti alle immagini di tragica goffaggine del dopo-Katrina nel "paese guida" del mondo. International Herald Tribune, 5 settembre 2005 (f.b.)

Titolo originale: In the tsunami region, disbelief over U.S. woes - Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

BANGKOK - A Aceh, dove lo tsunami dello scorso dicembre ha colpito nel modo più forte in Asia, la prima reazione al disastro di New Orleans è stata di simpatia, racconta Azwar Hasan, assistente sociale nella provincia indonesiana, dove sono morte almeno 126.000 persone.

“Hanno da mangiare?” ha chiesto. “C’è acqua? Mi dispiace davvero, di sentire quello che è successo”.

Ma poi dice qualcosa che si sente in tutta l’Asia sud-orientale, dove l’America è ricordata con gratitudine per gli aiuti rapidi e ben organizzati alle vittime dello tsunami.

“L’America è il paese più sviluppato del mondo” dice Azwar . “Questo genere di cose non dovrebbero accadere in America. Ci stiamo chiedendo cosa succeda, e perché”.

In tutta la regione, la gente ha visto in televisione le scene da gli Stati Uniti, di sofferenza e caos, con simpatia, orrore, e stupore per l’incapacità di badare a sé stessa.

Per qualcuno, le scene dell’uragano Katrina sembrano scuotere dalle fondamenta el idee sulla forza e la capacità di quel paese. Molti dei commenti, nelle interviste telefoniche realizzate nella regione, suonano come domande perplesse.

“Come è possibile?” chiede Aristedes Katoppo, giornalista indonesiano. “Come è possibile che in una società avanzata come gli Stati Uniti sia tanto difficile portare aiuti, o soccorrere delle persone? Come è possibile che avvengano simili cadute in termini di legge e ordine?”.

Dice di essersi sentito a disagio, nel criticare una nazione nel pieno dell asofferenza, ma aggiunge che trova inevitabile il paragone con il ruolo forte dell’America in Iraq .

“Diciamo, semplicemente, che si nota come l’America mandi truppe per mantenere l’ordine in paesi lontani, ma sembra avere difficoltà a farlo nel proprio cortile”.

Alcuni, come F. Sionel Jose, romanziere filippino con un lungo ed entusiastico rapporto con l’America, sembrano esterrefatti.

“È piuttosto scoraggiante”, dice. “È qualcosa che la gente come me non si aspetterebbe. Qualcuno mi ha raccontato che sparano agli elicotteri! E saccheggiano”.

Paulynn Sicam, funzionaria pubblica delle Filippine che ha studiato e vissuto negli Stati Uniti, sembra pure perplesso, e arrabbiato.

“Spezza il cuore, vedere come sia diventata indifesa l’America” dice. “Non è più forte. Non riesce a salvare i propri cittadini, ed eccola lì che tenta di controllare il mondo”.

Dice che non ci sono scuse, in un paese come l’America, per le sofferenze e l’evidente incompetenza a cui si assiste in televisione. “Perché la gente ha fame?” dice. “Questo mi lascia perplessa. Perché sono affamati? La prima cosa da fare è nutrirli”.

E aggiunge: “L’altra cosa che mi lascia perplessa è come il capitalismo continui allegramente per la sua strada di fronte a un disastro come questo, coi prezzi dei carburanti che schizzano alle stelle. È così opportunista. È questa, l’America? È questa la American way?”

Molte persone sono restate colpite dalle divisioni sociali e razziali che sono affiorate in superficie, un aspetto dell’America che si scontra con l’immagine comune di una nazione ricca e avanzata.

“Ho notato che non si vedono molti bianchi in televisione” dice Anusart Suwanmongkol, direttore di un albergo a Pattani, Thailandia.

“Quello che si vede sono gli impotenti, i malati, i poveri, i vecchi: in maggioranza neri, il sottoproletariato” racconta. “È un’immagine piuttosto forte sullo schermo”. Come molti altri, ha seguito attentamente la cronaca dell’evento sui canali della televisione locale, sulla CNN e i canali satellitari delle reti americane.

“Era quasi incredibile che il Presidente Bush, mi pare su Good Morning America, stesse sorridendo, e la cosa non mi andava bene” ricorda. “Ho pensato che avrebbe dovuto dare un’immagine di serietà: la nazione ha bisogno di aiuto”.

La presunzione americana potrebbe aver contribuito al disastro, commenta Supara Kapasuwan, professoressa di college a Bangkok che ha trascorso più di cinque anni negli Stati Uniti per conseguire master e dottorato.

“Non posso dire di essere sorpresa” commenta a proposito del fallimento nell’evacuazione della città.

“Gli americani – non tutti, ma molti – sembrano avere questo atteggiamento di invincibilità, per cui non è possibile gli succeda mai niente”, dice.

I giornali della regione riflettono questi punti di vista, condividendo la simpatia ed esprimendo choc e stupore davanti a queste inconsuete immagini di quella che è stata chiamata “la nazione più potente del pianeta”.

Nota: il testo originale al sito dello International Herald Tribune ; una breve rassegna anche in un articolo quasi contemporaneo dell'Economist, qui su Eddyburg (f.b.)

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