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Marcello Neri
Nella città dei morti il cuore della metropoli
22 Maggio 2006
Articoli del 2005
Un punto di vista inconsueto su una grande metropoli dei paesi in via di sviluppo. Il manifesto, 19 agosto 2005 (f.b.)

Rientrando la sera, al Cairo, ci si rende conto di esserci lasciato alle spalle un tracciato che ha abbandonato la sua logica dimenticando la direzione prefissa per seguire una linea che si spezza di continuo, tentando di cogliere i segni di epoche, civiltà ed architetture diverse e successive, che ora coesistono, aggrovigliate, attraversate ogni giorno da 17 milioni di persone. Una densa miscela di inquinamento e umidità ingabbia e diffonde una luce così compatta da far strizzare gli occhi, ricoprendo oggi quella che per i faraoni era una periferia del regno bagnata dal Nilo, ma che con i romani prima e gli arabi poi si è sviluppata in dimensioni e importanza fino a diventare una delle città del mondo maggiormente popolate. Un enorme contenitore di storie, un sistema estremamente dinamico e al contempo, a detta degli egiziani stessi, immobile (o immobilizzante). Capitale amministrativa ed economica, soprattutto dagli anni della rivoluzione nasseriana (1952) e poi con la open door policy degli anni Settanta, il Cairo ha costituito e tuttora costituisce un irresistibile magnete per la popolazione egiziana e per il turismo (e gli investimenti) dall'estero, rappresentando perciò anche visivamente uno spazio dove i processi paralleli di urbanizzazione, crescita demografica e speculazione edilizia hanno subito una drastica e incontrollata accelerazione, intrecciandosi sempre di più alle disparità sociali preesistenti. E poiché nella realtà le disparità e le disuguaglianze sono ben rappresentate da confini sensibili, salire gli scalini del ponte di ferro che attraversa l'autostrada alle spalle della cittadella di Mohammed Ali può dare una percezione abbastanza chiara della separazione che si percepisce entrando nella «città dei morti».

Emergere dalla confusione

E' un'altra parte, in tutti i sensi. E' un'emersione dalla confusione, dalla frenesia, dal senso di saturazione che il Cairo ti lascia addosso: per le strade del cimitero una grande calma, pochissime macchine, il respiro e la vista si distendono lungo le viuzze sterrate, seguendo la linea delle cupole finemente decorate che muovono il profilo basso della Qarafah, ciò che è rimasto delle aree riservate alla sepoltura dei morti della Cairo fatimida, mamelucca (soprattutto) e poi ottomana.

Situato a est del Nilo e del centro del Cairo, il cimitero si estende alle zone a nord (Bab el-Nasr, Darrasa) e sud della cittadella, alle pendici della montagna Moqattam (Imam Ech-Chefe'i). Ritagliato dal resto del tessuto urbano da superstrade a otto corsie e circondato dalle nuove aree residenziali, nate nel secolo scorso per «ricollocare» la popolazione cairota, il cimitero è a sua volta abitato. Tradizionalmente, infatti, le tombe includono uno spazio per i morti, una o due stanze adiacenti e una corte chiusa, così da permettere ai parenti dei defunti di visitare i propri morti per lunghi periodi, in base alla credenza secondo la quale gli spiriti transitano o si manifestano accanto alla loro tomba, fra il giovedì ed il venerdì.

Questa concezione di essenziale vicinanza con la morte, il cui spazio rimane pur sempre nettamente delimitato e separato dallo spazio dei vivi, ha origine secondo l'interpretazione di alcuni nell'epoca dei faraoni; altri sostengono si tratti piuttosto di una devianza locale dell'islam (che prevede invece sepolture semplici).

La spiritualità del luogo è ulteriormente rafforzata dalla presenza di numerose tombe/mausolei di santi sufi e importanti imam (Ech-Chefe'i, Al-Leithi), facendo sì che fin dal XV secolo la necropoli cairota venisse popolata da pellegrini in transito sulla via di terra che unisce l'Africa alla Mecca, così come da guardiani ed operai che, stanziatisi nel cimitero, si occupavano della sua custodia e mantenimento. Anche diversi sultani (Qaytbey, Barquq) decisero di venire seppelliti qui, decorando la propria dinastia nella morte come nella vita con capolavori di architettura mamelucca che hanno accolto scuole e moschee, accanto alle quali sorgono poi le tombe di poeti, ricchi dignitari, militari e famiglie benestanti.

In ogni caso, anche l'altissima e crescente pressione demografica, il cattivo stato delle case popolari costruite negli anni del socialismo nasseriano e la mancata armonizzazione fra salari e costi degli immobili di recente costruzione hanno portato, già dall'inizio del secolo scorso, a una situazione di insediamento duraturo anche per altre parti della popolazione cairota. È un processo avvenuto per alcuni tramite l'occupazione (pro manutenzione) delle tombe di famiglia, per altri attraverso un «regolare» procedimento di assegnazione delle tombe abbandonate dalla discendenza e gestito storicamente dai becchini; costoro costituiscono perciò la classe più agiata del variegato e vivace microcosmo del cimitero, popolato oggi da circa 15.000 persone (cifra fra l'ufficiale e l'ufficioso, che ne segnala ben di più): impiegati, lavoratori giornalieri e gestori di piccoli commerci, laboratori e officine di vetro e di altri materiali di riciclo.

Sentendoci chiedere informazioni in arabo, Rasha ci ferma: le traduciamo una breve lettera, sul retro della foto lasciatale da un'amica inglese che le fa visita periodicamente perché al Cairo viene a studiare la danza del ventre. Rasha è venuta ad abitare qui coi genitori e i sei fratelli, in seguito al terremoto che nel `93 ha abbattuto un intero settore della città vecchia (ma anche nel gennaio scorso una palazzina di nove piani è crollata a Madinat Naser, nuovo quartiere a est del Cairo: di piani doveva averne per legge cinque).

Altri arrivano da zone rurali della regione o dell'Egitto meridionale, dove gli effetti imprevisti delle dighe sul Nilo hanno contribuito a una crescente siccità, e contano fino a due o tre generazioni di neo-cairoti che nel cimitero sono nati e vissuti. Eppure, gradualmente, questa promiscuità fra vivi e morti si assimila, e il sovrapporsi dei due spazi determina una «convivenza» assurdamente naturale: i panni stesi, i bambini che giocano per strada usciti da scuola, l'impressionante massa di gente che si riversa a tutto vendere e comprare nel gigantesco, incredibile mercato del venerdì (Suq el-Guma'a) a ridosso del cavalcavia che chiude un lato del cimitero sud.

«Vicini tranquilli»

Segnali di vita quotidiana nel cimitero, dove non si ignorano i morti che «almeno - dice Rasha scherzando - sono vicini tranquilli». Ma è pur vero che è inevitabile percepire la repulsione o quantomeno la diffidenza della restante popolazione cairota che dall'esterno preferisce ignorare l'esistenza della necropoli e dei suoi abitanti, i quali a loro volta nascondono volentieri la loro provenienza. È senza dubbio un quartiere a parte, una zona di economia informale che accoglie molti fantasmi (alle volte visibili alla guida di luccicanti Mercedes un po' sospette: le voci parlano di traffici di droghe, di organi, di prostituzione...), un settore che nelle carte stradali del Cairo viene rappresentato in bianco, come se fosse vuoto...

Eppure, in alcune sezioni del cimitero, i servizi base sono garantiti (scuola elementare, acqua, elettricità, fognature, infermeria, linee di autobus) o automuniti (cavi televisivi, antenne satellitari), riflettendo una contraddizione non risolta anche nell'atteggiamento delle autorità: il discorso politico, infatti, continua ad indicare il cimitero come l'estremo e degradato margine della società cairota, a giustificare l'incapacità del governo di gestire questa situazione, e con la finalità nemmeno troppo velata di lasciare il campo a nuove e redditizie speculazioni edilizie. Il rischio è quello della demolizione totale del cimitero (come è già successo, nella metà degli anni Novanta, per una parte del cimitero di Bab el-Nasr), a sfregio non solo dei suoi abitanti ma anche dell'allarme lanciato dall'Unesco (1980).

Alle considerazioni umanitarie si sommano gli appelli di diversi accademici locali e internazionali, che sottolineano l'altissimo valore architettonico ed artistico da restaurare e conservare; c'è infine chi tenta di valorizzarne anche le peculiarità tradizionali e sociali, come l'antropologa italiana Anna Tozzi (anna_tozzi@hotmail.com) che da cinque anni vive nel cimitero, studiando da vicino questa realtà e organizzando piccole visite guidate, tentando di mettere in pratica un turismo sostenibile che, senza essere invasivo e anzi suggerendo una possibile feconda interazione, faccia conoscere gli abitanti e la vita della città dei morti.

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