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Fabrizio Bottini
Monza Cascinazza: cosa "non è" (ancora)
10 Luglio 2006
Padania
Una breve galleria pubblica di immagini attorno ai campi e ai fossi più famosi della Lombardia. Per capire meglio il merito, anche e oltre l'indignazione sul metodo

Poniamo che per via di un cavillo giuridico un gruppo di energumeni inviperiti vi venisse a prelevare nella notte, poniamo, per lapidarvi sulla pubblica strada. E magistratura e polizia ad assistere al lieto evento, impossibilitati a intervenire per via del cavillo di cui sopra, spuntato per forza o per caso dalla notte dei tempi. Assurdo, no?

Beh: la lottizzazione dell’area (molto) nota come “Cascinazza” a Monza assomiglia piuttosto da vicino a qualcosa del genere. Con l’aggravante, pure (molto) nota, dell’insistenza dei succitati energumeni nel ripescare e riproporre forzosamente vari, veri e presunti cavilli. Ma su questi aspetti si sono già profusi questo sito e altri mezzi di comunicazione. Quella che vorrei provare a proporre, spero a rafforzare la posizione pro-parco, è una questione di merito: cos’è questo poligono irregolare di spazio aperto, green-wedge di campagna padana fra il centro storico e la barriera autostradale e delle tangenziali?

La risposta, che spero possa emergere e/o rafforzarsi, è: uno spazio unico, di valore non solo comunale, in un contesto metropolitano dove per trovare cose che gli assomigliano bisogna spostarsi di parecchio, verso la green-belt del Parco Sud (dove, guarda caso, da anni gli stessi esegeti del metro cubo “ci provano”). Altro che, come ha osservato pubblicamente l’assessore regionale, accanimento sulla famiglia Berlusconi. L’accanimento è quello sul buon senso. Del resto anche il piano vigente di Luigi Piccinato, che a quei 380.000 metri cubi di palazzine, coi loro vialetti, cul-de-sac alla brianzola ecc. conferirebbe legalità formale, recita alla relazione:

“Realizzare a sud, lungo il Lambro, un nuovo grande parco pubblico, onde spaziare i due settori con la stessa funzione esercitata a nord dal Parco Reale”.

E ancora:

“Il piano afferma la necessità di disporre un nuovo spazio verde di parchi e di attrezzature sportive, impostato sulle due rive del Lambro che, con il corrispondente Parco Reale a nord, completa un sistema a verde a due grandi cunei che verrà a spaziare tutto l’organismo urbano. Il parco del Lambro potrà nel futuro piano intercomunale, trovare il suo completamento fino a Milano, costituendo un sistema verde regionale fino a Monza ed oltre, fino alle soglie della Brianza”.

Bastano queste poche battute a chiarire quale sia il ruolo di quel cuneo verde, “sistema regionale”, con un valore che gli anni, con la saturazione dell’edificato e la quasi distruzione di ogni possibilità di rete continua hanno aumentato esponenzialmente. E si capisce anche, indirettamente, il senso anche originariamente forzoso di quella fascia edificata sul lato orientale, a strizzare il cuneo verde alle sole sponde del fiume: una città da 300.000 abitanti, in una regione metropolitana che si presumeva in crescita più ordinata, per nuclei compatti e sistemi di spazi aperti. Non certo lo sprawl di capannoni, bretelle e cinture che ora fa da “cornice” a quella residua testimonianza di pianura padana.

Ed è soprattutto questo, che il breve, prosaico percorso attorno alla Cascinazza, vorrebbe mostrare: costruire qui, nel terzo millennio, è davvero come lapidare adulteri sulla pubblica piazza.

Qui la Galleria pubblica. Non sono foto magnifiche (come ad esempio quelle, molto suggestive, del sito cascinazza.info) ma servono soprattutto a dare un’idea di cosa ancora “non è” quello spazio. Cliccando sulle immagini, si ingrandisce un po’, e si possono leggere le didascalie.

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