Caro Eddy,
francamente a me sembra meglio “cambiare di spalla” al fucile, e continuare a mirare al bersaglio, piuttosto che spararsi sui piedi. Ti ringrazio comunque per l’aiuto che dai all’Inu nel diffondere il nostro documento sulla riforma presentato alla audizione parlamentare, leggendo il quale con cuore puro, e senza pregiudizi di parte, o personali, è difficile parlare di “applausi” alla unica proposta oggi in discussione.
E vale la pena di ricordare che ciò avviene perché la tua parte ha volutamente affondato la precedente proposta (Lorenzetti), che pure era nata al suo interno, e che certo meglio rispecchiava le posizioni dell’Inu. Questo accadeva alcuni anni fa. I motivi a me restano ancora oscuri; ma certo non a te, che conosci bene la politica e i politici: quelli che non si toccano, e quelli che si possono sacrificare nelle guerricciole interne ai partiti.
L’Inu dunque non applaude affatto, anzi critica, e puntualmente e nel merito. Ma l’Inu vuole fortemente la riforma della legge nazionale, che ci sembra tanto più necessaria al crescere delle autonomie regionali e locali, che l’Inu ha sempre sostenuto; che è ormai sancita anche dalla Costituzione; e che di fatto ha già portato, attraverso le leggi regionali e le pratiche concrete, a una “riforma diffusa” della urbanistica italiana, resa però complicata, pesante, difficile e sempre a rischio Tar dal permanere di spezzoni ormai incoerenti della legislazione nazionale d’epoca. O non te ne sei accorto?
Il problema dunque è all’oggi, non a qualche anno o qualche decennio fa.
Subito dopo il Congresso di Napoli (dicembre 2000) l’Inu ha cominciato a occuparsi della “nuova” riforma urbanistica, ovviamente nel mutato contesto politico: non mi pare che le forze politiche ora all’opposizione abbiano fatto altrettanto – con l’unica e quasi solitaria eccezione di Pierluigi Mantini – avendo per altro dichiarato, proprio al nostro Congresso, che il tema della riforma, in fondo, “interessava solo l’Inu”.
Tuttavia un certo interesse “politico” per questo tema sembra essere inopinatamente rinato quando queste forze si sono accorte (negli ultimi mesi: un po’ in ritardo) che la “proposta Lupi” stava andando avanti; e il tema sembra diventare “caldo” ora, seppure strumentalmente, in prossimità delle elezioni. Cominciano allora gli esercizi retorici, la corsa a raffazzonare qualche cosa; infine la decisione furbetta di fingere una disponibilità a collaborare, per emendare alcuni punti non accettabili della “proposta Lupi” (più o meno quelli individuati anche dall’Inu), però chiedendo tempo: per mettere a fuoco il problema, per discuterne con calma, per ri-riformare prima la Costituzione, o magari per farsi venire qualche idea che fino ad ora manca del tutto.
Tempo, troppo tempo: è chiaro infatti a tutti che se il disegno di legge non entra in agenda entro l’estate (cosa per altro difficile, ma non impossibile) anche questa volta se ne farà nulla. Quello che chiede appunto Italia nostra, per bocca guarda caso dei nostri comuni amici, per l’occasione con un nuovo cappellino; ma rimandare sine die è anche la “coraggiosa” parola d’ordine che circola dalle “tue parti”. Così come evidentemente circola l’idea che sia un buon diversivo sparare a zero su chi qualche idea ce l’ha, e magari continua a insistere con ostinazione nel portarla avanti.
Tu riporti e fai tue le “critiche”, o piuttosto i sospetti di Italia nostra: le Regioni “potrebbero” decidere di non pianificare alcune parti del territorio; potrebbero incaricare “speciali agenzie” (invece di consulenti “speciali” scelti per schieramento di parte?). È il disegno di legge allora che non va bene, o in realtà questa insipiente dietrologia nasconde il fatto che non ci si fida delle autonomie regionali? Autonomie come è noto ormai sancite dalla Costituzione, però ben avviate da Bassanini, Bersani e altri che a occhio e croce proprio “berlusconiani” non definirei. E guarda che le Regioni “potrebbero” fare anche adesso molte cose che non fanno, tra cui quelle citate, seppure a rischio di contenziosi alla Corte Costituzionale, che intanto fioccano comunque, ormai con pericolosa frequenza e intensità.
Lo sviluppo delle autonomie regionali e locali in ogni caso è un dato di fatto, da cui non si torna indietro: possono anche essere un problema, ma se lo sono bisogna risolverlo a partire da questo dato di fatto. E francamente invocare il centralismo della legge del 1942, o di quella del 1967, non mi sembra una grande idea progressista per risolverlo. Così come mi sembra francamente un po’ sciocco accusare pregiudizialmente (o anche solo sospettare) le Regioni, ed eventualmente i Comuni, di voler “mercificare il territorio e gli immobili”, quando invece è proprio dallo Stato, oggi, che soffiano venti di (s)vendite immobiliari e relative cartolarizzazioni, seppure poco probabili.
Certamente conosco bene la preferenza tua e di qualcun altro per una pianificazione autoritaria e dirigistica, e il vostro irreprimibile fastidio per l’idea che una amministrazione possa ricorrere a forme di contrattazione esplicita (su quella sotto banco spero che siamo d’accordo. O no?) per perseguire i propri obiettivi. In proposito mi sono anzi sempre chiesto perché mai riteniate che una amministrazione pubblica così forte, ricca e attrezzata da decidere e poter realizzare tutto debba poi necessariamente soccombere agli interessi privati (che per altro non sono solo quelli della proprietà immobiliare), anziché riuscire a “governare” i processi di trasformazione, traendone qualche utile per la collettività. Cosa che per altro i vecchi piani non mi sembra riuscissero a fare tanto bene, e certamente, se mai è stato, ora non più.
E nel confronto tra i due sistemi (autoritativo vs contrattuale) bisognerebbe davvero guardare all’esperienza degli altri paesi europei, che tu citi, per la verità, scusa, un po’ a sproposito, ma quella di riqualificazione urbana degli ultimi vent’anni, e non quella che tu ricordi dei grandi programmi di edilizia residenziale sociale dal dopoguerra agli anni ’70.
Su un punto comunque desidero affettuosamente rassicurarti: è infatti ancora pensiero convinto dell’Inu che la pianificazione (seppure non quella autoritaria e dirigistica che ti piace) debba essere necessariamente una funzione “pubblica”, per motivi di principio, ovviamente, ma anche perché non sarebbe affatto conveniente per i privati.
I privati “speculatori” infatti vogliono una pianificazione pubblica, e anche il più precisa possibile (altro che piani non “conformativi della proprietà”, su cui non si possono accendere mutui e gonfiare i bilanci d’impresa), salvo poi ottenere per vie traverse fruttuose “varianti” (e magari eventuali espropri “concordati”), a proprio vantaggio, e senza alcun beneficio per l’amministrazione e la cittadinanza (ma a volte sì, invece, per singoli amministratori e professionisti di corredo). E anche i privati “speculatori” sono, non a caso, del tutto contrari, come te, sia alle pratiche concertative e contrattuali esplicite e rese pubbliche, sia alla concorrenza che inevitabilmente ne deriva.
Se proprio l’Inu non ti piace più, caro Eddy, sai quindi dove rivolgerti per trovare consensi. Perché ti assicuro che l’Inu continuerà in ogni modo possibile a fare pressione per avere finalmente la legge statale di riforma urbanistica, e continueremo con ogni sforzo possibile per migliorare quanto possibile l’unica proposta che è oggi in corso di definizione. Certo in questo avremmo bisogno di aiuto. Purtroppo molti amici di un tempo preferiscono dedicarsi a inutili proclami e, se non cambiano mai di spalla, si divertono però a sparare sul bersaglio che credono più facile, l’Inu appunto, anziché impegnarsi come un tempo su battaglie più serie e più difficili. Peccato!
Paolo Avarello, (mi scuserai se, contrariamente al solito, aggiungo, e con orgoglio ...), Presidente Istituto nazionale di urbanistica
Caro Paolo, comprendo il tono irritato della tua lettera. Essa peraltro solleva alcuni punti sui quali vorrei provare a ragionare in modo più disteso da quanto comporterebbe una replica immediata. Un punto però vorrei chiarire subito: non mi sento più corresponsabile di alcuna “parte politica”, e non ho bisogno di “trovare consensi”. Mi basta dire (scrivere) quello che penso: se molti sono d’accordo con me, meglio, altrimenti va bene lo stesso. Scriverò quello che penso ciò nel prossimo “ Eddytoriale”, riprendendo un paio di punti della tua lettera che mi sembra abbiano un rilievo più generale, nel senso che esprimono idola tribus alquanto diffusi. Ne ragioneremo, spero, in questa e magari in altre sedi: a ragionare sono sempre disponibile.