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Jolanda Bufalini
Milioni di abitazioni invendute, eppure si costruisce ancora
11 Novembre 2012
Consumo di suolo
La distorsione del nostro modello di sviluppo e il consumo di suolo discussi dall’INU a Urbanpromo.

La distorsione del nostro modello di sviluppo e il consumo di suolo discussi dall’INU a Urbanpromo. L’Unità, 11 novembre 2012, postilla (f.b.)

Un paesaggio apocalittico come quello raccontato da Alessandro Coppola nel suo viaggio attraverso le città deindustrializzate degli Stati Uniti in Apocalypse Town (Laterza), con la natura che si vendica, spacca il cemento e penetra nelle cattedrali ormai deserte della società del benessere: altoforni spenti e capannoni abbandonati, centri commerciali in surplus e svincoli autostradali che si sono divorati vigne, olivi e giardini di agrumi. Milioni di case nuove e invendute, mentre le banche entrano in possesso degli appartamenti di chi non riesce a pagare il mutuo, mentre affittuari morosi vengono sfrattati.

Un paesaggio italiano: basta fare una passeggiata a Bagnoli o a Sesto San Giovanni, nella provincia di Rimini dove il 40% del territorio è cementificato, o in Calabria dove fabbriche mai entrate in funzione sono diventate ostello di braccianti immigrati, in Molise, in Basilicata. La crisi esplosa a causa di una bolla immobiliare planetaria rende esplicito il paradosso di un modello di sviluppo fondato sulla espansione edilizia, ogni italiano – dice il dossier preparato dal Wwf per la campagna «RiutilizziAmo l’Italia» – ha triplicato in 50 anni il suo gruzzolo di cemento, abbiamo 290 metri quadri a testa. Ma la crisi dice anche che nulla sarà come prima e il problema del consumo di suolo è finalmente entrato nella agenda politica: bisogna trovare gli strumenti più adatti a riqualificare, rigenerare l’esistente, fermando lo sperpero di un bene comune – la terra – che non è rinnovabile, che per rigenerarsi ci mette dai 50 ai 1000 anni, dice Cinzia Morsani (Wwf Emilia Romagna).

Anche se l’umanità dimentica presto e il ciclo edilizio è considerato un volano della ripresa economica, difficilmente – quando la crisi sarà superata – tutto tornerà come prima: i valori immobiliari in caduta libera potrebbero tornare a crescere ma lo choc da subprime difficilmente consentirà di riaprire le borse del credito. Il consumo del suolo lo possiamo misurare come fa Stefano Agostoni (conferenza Stato-Regioni) con il Co2: è come se il parco macchine della Lombardia fosse aumentato del 12 % in 10 anni, «esistono norme sulla qualità dell'aria mentre non ne esistono per il suolo». Oppure c’è la cartina d'Italia mostrata da Alessandra Ferrara ricercatrice dell'Istat: sulla costa dal Veneto all'Abruzzo non c’è soluzione di continuità, è praticamente tutto costruito. Abbiamo cementificato 3 milioni di ettari di territorio fra il 1996 e il 2005, ogni anno l’incremento è di 8,5 ettari pari a 1600 chilometri quadrati.

Poi c'è il paradosso messo in luce da Damiano De Simine, Legambiente Lombardia: «In Molise la popolazione decresce ma il consumo di suolo cresce al sostenuto ritmo del 20 per cento annuo». Racconta Stefano Leoni (presidente Wwf Italia): «Se mettiamo insieme i capannoni sparsi per l'Italia, fanno 2000 chilometri quadrati, molti ormai abbandonati. La gente, giustamente, si indigna per le città sporche. Bisogna imparare ad indignarsi anche per questa sporcizia sparsa nella natura». La cementificazione estensiva del Belpaese è stata uno dei temi su cui si è misurata l'edizione di quest'anno di Urbanpromo, organizzata dall'Inu (Istituto nazionale di urbanistica) a Bologna, in collaborazione con Legambiente, il confronto ha visto la partecipazione di assessori di città, province, Regioni fra cui Emilia Romagna, Lombardia, Toscana, Marche, Liguria.

Il coordinamento del gruppo di lavoro è di Damiano di Simine e di Andrea Arcidiacono (Politecnico di Milano). In Italia non esiste una legge sul suolo, non ci sono gli strumenti per misurarne il consumo, l'Istat lamenta un quadro normativo confuso, anche se – dice Alessandra Ferrara – «ci stiamo attrezzando». Però qualcosa si muove, c'è un Ddl del ministro dell' Agricoltura Catania nato dall'esigenza di salvaguardare i terreni agricoli. Nel confronto con la conferenza Stato Regioni, la salvaguardia si è allargata fino a tutto il suolo libero, ma si dovrebbero coinvolgere altri soggetti, a cominciare dal ministero delle infrastrutture. Il progetto del ministro dell'Agricoltura ha, secondo Federico Oliva, presidente dell'Inu, alcuni aspetti molto positivi, soprattutto cancella la possibilità di far finire nelle casse del bilancio comunale il 75% degli oneri edificatori, «è stato l'incentivo più potente per i comuni poveri in canna a consumare suolo, ora si dovrà trovare il modo di compensarli per la perdita di finanziamenti, visto che sono il soggetto principale di governo del territorio ».

Insieme alle cose buone, aggiunge Oliva, «ci sono le debolezze», la principale è che «stabilito un consumo nazionale massimo, si affida alla pianificazione degli enti locali la ripartizione delle quote». Ma la pianificazione è gestione politica ed è chiaro ai tecnici come agli assessori – fra questi Patrizia Gabellini, assessore all' ambiente del comune di Bologna - che sugli amministratori si esercitano le pressioni di chi vuole costruire o impiantare una attività, mentre il problema è l’ecosistema che lasceremo in eredità alle generazioni future. «La pianificazione non è affidabile - dice Federico Oliva -. In questi anni sono state utilizzate premialità in volumi e compensazioni per supplire a strumenti che non funzionano». «Il fisco e la protezione della natura si sono dimostrati i mezzi più efficaci dove sono state fatte politiche di contenimento del consumo».

La rendita è il motore principale del consumo di suolo e costruire il nuovo costa infinitamente di meno, è la leva fiscale che deve correggere questa tendenza. L’altra cosa che manca, dice ancora Federico Oliva, è «una legge nazionale che detti i principi fondamentali a cui gli enti locali devono ispirarsi». Legambiente Lombardia si è fatta promotrice di una legge di iniziativa popolare, spiega Damiano Di Simine: «Abbiamo capito che non basta la denuncia di un ecomostro dopo l'altro, ci vuole un salto culturale». Il suolo, la terra su cui camminiamo, è un bene comune come l’acqua e l’aria, la differenza è la proprietà privata. Però, «se il privato è irresponsabile devono esserci dei limiti prescrittivi».

postilla
Senza prendersela né con Jolanda Bufalini che ha scritto il suo resoconto, né con gli urbanisti dell'INU che hanno tenuto le loro ottime e legittime relazioni al convegno, l'articolo può anche essere l'occasione per tornare un istante sul rapporto fra conoscenze scientifiche, consapevolezza sociale e comunicazione. L'occasione forse, in un contesto di maggiore maturità da questo punto di vista (e riguarda tutti, in qualche modo si tratta anche di un'autocritica), avrebbe meritato, che so, un comunicato di sintesi per la stampa. A prevenire se possibile che l'elenco degli interventi, unito a quell'incipit un po' incongruamente preso a prestito dal best-seller di settore del momento, finisse per apparire magari assai leggibile, marginalmente utile alla vanità dei nomi citati, ma complessivamente poco consono agli obiettivi culturali allargati dell'assise: denunciare problemi e indicare soluzioni, anche a livello politico-legislativo.
Ammucchiare così, senza soluzioni di continuità diverse da qualche frase di circostanza, cose come la rustbelt americana in crisi industriale cronica, il consumo di suoli agricoli da urbanizzazione dispersa, le emissioni di gas serra eccetera, che pure in qualche modo convergono in cose come le alluvioni di questi giorni, confonde il lettore medio. E come insegna il recente caso "Galileo" aquilano, c'è qualcosa di importante da ripensare, non solo specialisticamente e settorialmente, nei rapporti fra sapere e società (f.b.)

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