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Curzio Maltese
Milano sogna l’America e invece rischia l’incubo
22 Dicembre 2007
Milano
Cupi presagi, dove almeno da una ventina d’anni, è una idea di città alternativa al vorace fai-da-te, quella che latita. Il Venerdì di Repubblica, 21 dicembre 2007 (f.b.)

Perfino Adriano Celentano s’è accorto che a Milano «si costruisce un po’ troppo negli ultimi anni». Per la verità, si costruisce più che in ogni epoca dai tempi degli Sforza, compresi i dopoguerra. A modo suo, l’ex ragazzo della via Gluck ha avviato sul Corriere una polemica contro «gli orrori moderni» che distruggeranno «anche il ricordo della Milano di Leonardo e del Bramante». Il governatore lombardo Roberto Formigoni gli ha risposto che a rifare Milano sono stati chiamati i migliori architetti del mondo e «non bisogna aver paura della contemporaneità». Personalmente, dubito che entrambi sappiano di che cosa si parla, si fatica insomma a raffigurarsi Celentano e Formigoni nei panni di novelli Argan e Zeri. Ma insomma, ben venga la discussione. Il punto, però, non è l’estetica del nuovo modello di città. Si può discutere se un progetto sia migliore dell’altro, ma in generale Milano è diventata talmente brutta che qualsiasi nuovo intervento può solo migliorarla. Figurarsi poi se gli autori si chiamano Piano, Foster, Libeskind... In ogni caso il dibattito arriva tardi, molto tardi, quando il Monopoli è ai giri finali ed è ormai impossibile fermare i cantieri o correggere il tiro.



Ma la vera questione è altra dall’estetica. Quale sarà la Milano del futuro? Una città probabilmente più bella, ma con un modello sociale terrificante. I nuovi quartieri nascono come enclave per super ricchi, destinati a una iper borghesia italiana e straniera in grado di pagare 15 o 20 mila euro al metro quadro per case perfette, griffate, dotate di ogni meraviglia tecnologica. Piccole città utopiche recintate di fatto, sorvegliate da telecamere, pattugliate da vigilantes. Fuori dalle mura della ricchezza, continueranno a dilagare periferie sempre più indistinte, popolate di immigrati e italiani impoveriti, ottima miscela per far esplodere rancori e violenze. La piccola e media borghesia cittadina, spina dorsale della società milanese, è destinata a estinguersi un po’ alla volta, come è già capitato alla classe operaia. I figli del ceto medio sono già molto più poveri dei padri. I figli dei figli si contenderanno lavori precari con slavi e maghrebini.

Milano si avvia a diventare, come ha sempre sognato, la prima città americana d’Italia. Ma il sogno era un incubo. Significa una città di ghetti. Se Celentano, Formigoni, il sindaco Moratti e perfino la salottiera sinistra milanese volessero cominciare a occuparsi del tema, invece d’improvvisarsi critici d’arte, forse saremmo in tempo a limitare la catastrofe. La rivolta della Chinatown di via Paolo Sarpi non era che l’inizio.

Nota: di seguito due piccoli esempi di sarcastica ricostruzione di comportamento diffuso e normalmente tollerato a Milano, nei finti spot pubblicitari di una trasmissione radiofonica dedicata alla congestione da traffico (f.b.)

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