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Giorgio Ragazzi
Milano, la vecchia fiera e il nuovo cemento
6 Marzo 2007
Milano
Un esemplare caso di collaborazione pubblico-privato: il pubblico regala, il privato specula. E il cittadino subisce. Pubblicato su www.lavoce.info, 6 marzo 2007 (m.p.g.)

La Fondazione Fiera Milano ha costruito il nuovo polo fieristico di Rho-Pero, e ha ceduto buona parte dell’area urbana della "vecchia fiera", 255mila metri quadrati, a Citylife, una cordata composta dal gruppo Ligresti, Generali, Ras, Lamaro e Lar.

Su quest’area verranno costruiti quasi un milione di metri cubi, tra abitazioni e uffici, con 15mila presenze: una nuova città. Si tratta di un progetto dal valore complessivo di circa 2 miliardi, sull’ultima grande area disponibile in Milano. I promotori lo descrivono come un caso esemplare di collaborazione pubblico-privato: si tratta dunque di un tema di interesse generale e non solo locale.

Il progetto

Il progetto ha suscitato numerose e forti critiche, da architetti e urbanisti oltre che dai "comitati" dei residenti. (1)

Per inserire tanta volumetria in poco spazio sono stati progettati tre altissimi grattacieli, forse belli per Shanghai, ma del tutto estranei all’anima del quartiere, e, lungo il perimetro della "vecchia fiera", una cinta di case alte 14-20 piani che incomberanno sugli edifici circostanti. Al verde è lasciato solo poco più di un terzo dell’area, e in parte si tratta di verde "condominiale", incuneato tra gli edifici, per cui il tanto vantato "parco" sarà ancor più ristretto e per larga parte in ombra. Si prevede un drammatico peggioramento del traffico attorno all’area, già oggi congestionata, per gli accessi ai novemila parcheggi sotterranei. Eppure, secondo un’indagine dell’Ocse, Milano risulta la seconda peggiore tra trenta città europee quanto a inquinamento e congestione del traffico. Con progetti come questo la situazione è certo destinata a peggiorare.

Tutte le critiche derivano, a ben vedere, dal vizio originale del progetto: consentire una volumetria abnorme, con un indice di edificabilità doppio rispetto a quello normalmente concesso per altri PII a Milano. Ma è proprio grazie a questa volumetria che la Fondazione Fiera ha potuto ricavare ben 523 milioni di euro dalla vendita del terreno. La domanda che si pone è perché il comune di Milano abbia concesso questa volumetria abnorme, visto che la costruzione di uffici e case di lusso non si configura certo come un progetto di interesse pubblico.

La collaborazione pubblico-privato

Torniamo al tema della "collaborazione pubblico-privato".

All’origine esisteva l’Ente autonomo Fiera internazionale di Milano, pubblico, al quale lo Stato cedette, nel 1922, la vecchia piazza d’Armi in quanto ente "non con mire speculative ma di pubblica utilità". Nel 1999, con un accordo di programma si decise di costruire il nuovo polo fieristico di Rho-Pero e di dismettere buona parte dei padiglioni della "vecchia fiera". Successivamente, l’Ente Fiera si è trasformato da ente pubblico in Fondazione di diritto privato, l’attività fieristica è stata scorporata nella Fiera Milano spa (quotata in borsa), e la Fondazione è divenuta in sostanza una "immobiliare" ("privata") che affitta i padiglioni alla Fiera Milano spa.

Il contributo del "privato" è stata la costruzione del nuovo polo fieristico, che resta peraltro proprietà della Fondazione. Questa possiede immobili valutati, prudenzialmente, 855 milioni e varie partecipazioni, tra cui la quota di controllo della Fiera Milano spa. 160 milioni ai prezzi di borsa), a fronte di debiti a lungo termine per soli 164 milioni (bilancio al 30.6.2006). Si tratta dunque di una Fondazione ricchissima, senza che il suo statuto indichi alcun specifico scopo sociale. Questo patrimonio è stato "privatizzato" senza alcun compenso per il "pubblico", che pure aveva finanziato e sostenuto in molti modi l’Ente Fiera nell’arco di novant’anni.

L’ultimo "regalo" del "pubblico" è stata appunto la possibilità di valorizzare al massimo il terreno della "vecchia fiera", concedendo una volumetria che pur penalizza gravemente la città, e accettando che la scelta tra i progetti selezionati, dalla stessa Fondazione, fosse determinata esclusivamente in base al prezzo offerto. Visto poi che, per rispettare lo standard di 44 metri quadri per abitante, "mancavano" 106mila metri quadrati, il comune ha concesso di "monetizzare" queste aree pubbliche mancati al prezzo irrisorio di 242 euro al metro quadro. In teoria il comune dovrebbe incassare, tra monetizzazione e oneri di urbanizzazione, 98 milioni. Ma una volta scomputati gli oneri che Citylife sosterrà per l’urbanizzazione e gli edifici di interesse pubblico (Museo del Design e del Bambino, di cui non si sentiva proprio il bisogno), al comune non resterà pressoché nulla, mentre dovrà farsi carico di pesanti investimenti per adeguare la viabilità. È poi ora prevista anche una nuova linea di metropolitana con fermata alle "Tre torri", ottima iniziativa, che aumenterà il valore degli immobili (e quindi i profitti di Citylife), ma con costi a carico della collettività.

In conclusione, questo esempio di "collaborazione pubblico-privato" sembra essere stato impostato esclusivamente in base alla logica del profitto "privato", della Fondazione e di Citylife, addossando invece alla collettività notevoli costi finanziari e pregiudicando irrimediabilmente la qualità della vita di una delle migliori parti della città.

L’esempio di Monaco

Era possibile una soluzione diversa? Certamente sì, perché i numeri indicano che i costi del nuovo polo di Rho-Pero avrebbero potuto essere ampiamente coperti anche limitando alla metà la volumetria concessa e quindi il ricavo dalla vendita del terreno. Forse, al comune, hanno sbagliato i conti, oppure si sono semplicemente adeguati alla logica del profitto.

Anche la Fiera di Monaco ha lasciato la propria sede storica, 110 mila metri quadrati nel cuore della città, per trasferirsi in uno spazio più ampio, in periferia. In quel caso la Fiera ha restituito alla città il terreno che aveva ricevuto, e la città ne ha pianificato lo sviluppo, anche con la costruzione di case private ma con stretti vincoli: 27 per cento di edilizia sociale, 20 per cento destinate a famiglie giovani, densità in linea con quelle esistenti, servizi pubblici di quartiere, parco e museo. È un esempio che mostra come sia possibile contemperare l’interesse pubblico con la logica dei costi, laddove vi sia un ente pubblico deciso appunto a difenderlo.

(1) Per una rassegna stampa, si veda www.quartierefiera.org oppure www.residentifiera.it

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