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Simona Ravizza
Milano: la micidiale bufala del CERBA
13 Giugno 2013
Milano
Emerge chiarissimo il cumulo di miserie dietro ai "sogni" di Umberto Veronesi per la sua mega-cittadella sanitaria privata. Si spera, con poca convinzione, che il professore finalmente prenda le distanze. Articoli di Simona Ravizza, Andrea Senesi, Alessandra Corica, Alessia Gallione,

Emerge chiarissimo il cumulo di miserie dietro ai "sogni" di Umberto Veronesi per la sua mega-cittadella sanitaria privata. Si spera, con poca convinzione, che il professore finalmente prenda le distanze. Articoli di Simona Ravizza, Andrea Senesi, Alessandra Corica, Alessia Gallione, Corriere della Sera e la Repubblica ed. Milano, 13 giugno 2013 (f.b.)

Corriere della Sera
«Sconto dal Comune o Cerba a rischio»
di Simona Ravizza, Andrea Senesi

A quindici giorni dalla scadenza della convenzione è tutto o quasi da rifare. Del Cerba — la cittadella ospedaliera che deve nascere in fondo a via Ripamonti a due passi dallo Ieo (Istituto europeo di oncologia) — rischiano di rimanere solo i rendering ingialliti dal tempo.
La riunione della commissione Sanità della Regione di ieri è servita a fotografare la distanza che separa gli attori in scena. Da una parte gli avvocati rappresentanti per la curatela fallimentare della Im.Co di Ligresti, che deteneva i terreni del Parco Sud; dall'altra le istituzioni, la Regione e soprattutto il Comune.

Tutto da rifare. L'accordo di programma firmato nel 2009 non è più economicamente sostenibile, dicono i curatori fallimentari. A cominciare da quei 92 milioni di oneri d'urbanizzazione che andrebbero pagati al Comune. «Troppi per trovare un soggetto che si faccia carico di proseguire il progetto», dice l'avvocato Umberto Grella. La cifra andrebbe ridotta più o meno a un terzo. «Sono accordi basati su valutazioni economiche e finanziarie risalenti al 2003, durante il boom del mercato immobiliare e ora non più sostenibili né per un soggetto pubblico né per un soggetto privato», aggiunge il consulente legale per il fallimento della Im.Co.

Secondo Grella gli oneri di urbanizzazione andrebbero quindi rinegoziati e poi dilazionati. Da rivedere anche la questione della manutenzione del parco che secondo l'accordo sarebbe a carico del nuovo proprietario delle aree per 30 anni, la possibilità di realizzare housing sociale (il Comune vorrebbe che le case fossero assegnate solo a medici e infermieri) e la necessità di impiantare in via Ripamonti negozi e supermercati (Palazzo Marino è contrario a nuovi centri commerciali). «Se il Comune ha davvero a cuore il futuro del Cerba dovrebbe sedersi a un tavolo e rinegoziare».

Secca la replica dell'assessore all'Urbanistica Ada Lucia De Cesaris: «Qui non si tratta di fare generici richiami alla collaborazione o alla ragionevolezza, ma di intraprendere azioni per tutelare il concreto interesse pubblico». Secondo il Comune la strada è una e una sola: «I patti vanno rispettati e non è accettabile modificare un progetto scientifico, snaturandolo, con la previsione di housing sociale e, addirittura, di una media struttura di vendita, ossia un centro commerciale». Pessimista anche il consigliere pd Carlo Borghetti: «Al momento non mi sembra che ci siano le condizioni per una modifica del piano integrato che possa vedere d'accordo la curatela fallimentare e il Comune di Milano».

La vicenda dovrebbe avere un epilogo entro il 28 giugno, data di scadenza dell'accordo di programma. Altrimenti? L'ipotesi più immediata è quella del ricorso al Tar da parte dei curatori fallimentari. Ma sul medio periodo è già pronto un piano B. «Potremmo vendere alla Regione le aree per realizzare lì la Città della salute».

la Repubblica
Scontro sul futuro del Cerba
di Alessandra Corica

È SCONTRO tra Comune e banche sul futuro del Cerba. I curatori fallimentari di Ligresti hanno chiesto a Palazzo Marino di ridurre gli oneri sui terreni da 92 a 30 milioni di euro, per far partire la costruzione del polo di ricerca accanto allo Ieo. Netto il no dell’assessore De Cesaris: «Non si tratta di fare richiami alla collaborazione o alla ragionevolezza, ma di rispettare i patti e tutelare l’interesse pubblico». Se entro il 28 giugno banche e Comune non troveranno un accordo, il progetto rischia di naufragare.

Un braccio di ferro. Con una stretta di mano finale molto difficile. Sempre più vicina la rottura tra Palazzo Marino e banche sulla partita del Cerba. Ieri i curatori fallimentari (che rappresentano i creditori di Ligresti, tra cui ci sono i maggiori istituti bancari del Paese) lo hanno detto senza giri di parole: o gli oneri sui terreni si riducono a un terzo, e passano da 92 milioni di euro a 30, oppure l’accordo non si fa. «La cifra andrebbe ridotta — spiega Umberto Grella, consulente legale della curatela — perché si basa su valutazioni fatte nel 2003, prima della crisi. Oggi stipulare una fideiussione del genere, da pagare in un’unica tranche, è impossibile. Se il Comune ha a cuore il progetto dovrebbe negoziare».

Un appello che però non viene accolto in piazza della Scala. Dove l’assessore Ada Lucia De Cesaris puntualizza che «non si tratta di fare richiami alla collaborazione o alla ragionevolezza, ma di rispettare i patti e tutelare l’interesse pubblico. Un obiettivo che dovrebbe stare a cuore proprio ai curatori, visto che tra i creditori c’è anche il Comune ». Il tutto, mentre il tempo stringe. E il 28 giugno, termine in cui scadono i 90 giorni che il Comune con una diffida ha dato ai curatori e alla Fondazione per trovare un accordo, si avvicina: se entro quella data non verranno firmati alcuni atti integrativi all’Accordo di programma, il progetto rischia di naufragare. «Ma se dovesse accadere, ci rivolgeremo al Tar», minacciano le banche.

La partita del Cerba è legata a quella del crac di ImCo e Sinergia, le due immobiliari di Ligresti, fallite l’anno scorso con un buco di 460 milioni di euro, di cui 330 di debiti con le banche, compresa un’ipoteca di 120 milioni sui terreni del Cerba. Che allo stato agricolo valgono 3 milioni di euro: l’edificazione farebbe schizzare la cifra oltre i 200 milioni. Un affare conveniente per gli istituti bancari, che non solo sono tra i creditori di Ligresti, ma sono anche soci della Fondazione Cerba, che patrocina il progetto del polo di ricerca. La cui realizzazione è stata messa in forse dal crac: per cercare di salvare l’operazione, i curatori hanno chiesto al Comune alcune modifiche al progetto iniziale, per avviare comunque la costruzione del polo, che con isuoi 1,3 miliardi di euro di valore rappresenta il cuore del patrimonio di ImCo e Sinergia. Oltre alla riduzione degli oneri, la curatela ha proposto di mantenere allo stato agricolo la zona verde e di realizzare 40mila metri quadri di housing sociale (400 alloggi, che permetterebbero l’entrata nella partita di Cassa depositi e prestiti) e un centro commerciale. Proposte, però, ritenute irricevibili dal Comune, anche per il no dei curatori a trattare su un altro immobile di Ligresti, la cascina Campazzo, di cui Palazzo Marino vorrebbe la cessione.

Per discutere ancora della situazione, il 18 giugno si riunirà la Segreteria tecnica. Tra i nodi, anche la mancanza (a un anno dal crac) del concordato fallimentare, e di un soggetto che stipuli con il Comune gli atti per portare avanti il Cerba. «Ma il concordato — dicono i curatori — sarà presentato entro luglio, da una società che ha già scritto a Comune, Regione e Provincia». Ovvero, Visconti srl, società nata a marzo e capitalizzata proprio dalle banche creditrici di Ligresti. Sul fronte politico, la Provincia (tra i firmatari dell’Accordo di programma) sottolinea «l’importanza per Milano della ricerca. Abbiamo sempre sostenuto il progetto — ricorda il presidente Guido Podestà — Per questo avevamo proposto di realizzare la Città della salute su quei terreni». Per il Pd l’obiettivo non deve essere «risolvere i problemi urbanistici, ma potenziare ricerca e cura. Questi problemi — dicono i consiglieri Carlo Borghetti e Sara Valmaggi — non vanno quindi sottovalutati, ma non devono far perdere di vista il nodo centrale della questione».

L’eredità scomoda del crac Ligresti
di Alessia Gallione


L’impero è crollato sotto una valanga di debiti. Ma l’eredità di Salvatore Ligresti e di quel monòpoli fatto di terreni nel Parco Sud, cascine, cantieri aperti e palazzi realizzati da anni ma ancora problematici, è un’eredità pesante. Macerie lasciate in città dall’ex re del mattone. E molti fronti ancora aperti su cui si continua a combattere. Perché — dai fascicoli che si trascinano da anni a quelli appena inaugurati — per questioni legate alle vecchie proprietà della vecchia galassia legata all’ingegnere di Paternò ci sono una ventina di contenziosi urbanistici con il Comune. E Palazzo Marino, soltanto per oneri di urbanizzazione mai versati o obblighi dimenticati, pretende 10 milioni di euro.

Passano gli anni, ma l’obbiettivo sembra rimanere quello: il Parco Sud. È lì, su quella distesa di verde tutelata ai confini della città, che Ligresti ha sempre sognato di costruire. Aree potenzialmente d’oro, che il Pgt ha blindato. Ed è proprio per conquistare quel tesoro (che non si può spendere) che i curatori fallimentari della Imco hanno impugnato davanti al Tar il Piano per chiederne l’annullamento. Epoche diverse,interessi diversi, visto che in questo caso c’è un buco da 460 milioni da colmare. Ma lo stesso traguardo: passare all’incasso. E questa è soltanto una delle cause ancora aperte legate all’impero dell’ex re del mattone. In tutto, tra oneri mai versati, richieste di danni, piani decaduti, abusi edilizi, sono ancora una ventina i contenziosi sopravvissuti alle macerie. Con Palazzo Marino che, complessiva-mente, aspetta di ricevere almeno 10 milioni di euro.

È una mappa che comprende un po’ tutta Milano, quella disegnata dalle proprietà che Ligresti ha accumulato nei decenni. Un’eredità un tempo suddivisa in due tronconi: il ramo assicurativo con Fondiaria Sai e quello strettamente immobiliare con la cassaforte Sinergia che racchiudeva Imco e decine di altre società. Proprietà e problemi che, oggi, sono suddivisi tra la Unipol e i curatori fallimentari. Partiamo dai beni in mano a questi ultimi che, per recuperare quei 460 milioni, hanno continuato o apertoex novo diversi contenziosi. Perché i guai sopravvissuti al crac non riguardano solo i terreni del Cerba. A due passi dalla futura cittadella della scienza e dal Parco Sud ci sono le aree di Macconago. È per sbloccare quel vecchio piano edilizio (insieme ad altri due progetti) che Ligresti, nel 2009, dichiarò guerra a Palazzo Marino quando governava Letizia Moratti. Tutto rientrò in extremis e la possibilità di far venir su le case di via Macconago sembrò concretizzarsi: l’aula dette il via libera. Eppure, già sull’orlo del baratro, Ligresti non firmò mai la convenzione per il piano che — dopo una diffida delComune — è decaduto nel 2012. Per resuscitare quel quartiere da 60mila metri quadrati, i curatori hanno fatto ricorso.

Nell’elenco c’è di tutto: dalla cascina Campazzo ai presunti abusi edilizi per un centro sportivo. La causa più vecchia va avanti dal 2001. Per un progetto datato 1993 in zona stazione Centrale, piazza Scala pretende 2 milioni di oneri di urbanizzazione. Altri 2 milioni, invece, sono i danni che Palazzo Marino pretende per una vicenda preistorica: vicino a delle case Ligresti si era impegnato a cedere alla città un’area che, poi, vendette a un altro privato. Il carico da novanta, però, èarrivato con il ricorso dei curatori contro il Pgt che svaluterebbe troppe proprietà: dal Forlanini al Parco Sud, è vietato cementificare. Tra i cantieri c’è una torre che sta venendo su vicino a Porta Nuova. Per passare alla parte oggi in mano a Unipol, si arriva a uno dei simboli della città abbandonata: la Torre Galfa.

In questo caso l’atteggiamento verso l’amministrazione sembra essere più conciliante, visto che i proprietari avrebbero chiesto un incontro con Palazzo Marino per sanare vecchi guai. Questa parte dell’eredità è altrettanto strategica perché, tra l’altro, comprende molte delle cosiddette aree d’oro del Parco del Ticinello. Un ramoscello d’ulivo è rappresentato anche dalle case di via dei Missaglia: per anni gli inquilini sono stati in guerra con l’ingegnere perché le sue società non avrebbero adempiuto ai patti sull’equo canone e l’edilizia convenzionata. Oggi si cerca di aprire un tavolo, con il Comune come mediatore.

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