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Rodolfo Sala
Milano: il cemento avanza a macchia d’olio
2 Luglio 2009
Padania
Italia Nostra vuole abbandonare la gestione di un parco: impossibile lavorare qui. In un’intervista a Giuseppe Boatti il soffocamento della metropoli. La Repubblica ed. Milano, 2 luglio 2009 (f.b.)

Dopo dodici anni di collaborazione Italia Nostra dice basta e restituisce il Parco delle Cave al Comune: «Non è più possibile lavorare senza l´appoggio dell´amministrazione». Con una lettera indirizzata al sindaco Letizia Moratti, l´associazione spiega che «sono venute meno le condizioni minime per la cura e lo sviluppo del parco». Un rapporto chiuso per l´assessore al Verde, Maurizio Cadeo, che dice: «Guardiamo avanti». Ma Pd e Verdi accusano: «Un pasticcio creato dal Comune. Il sindaco intervenga».

«Credo che al Parco delle cave si sia rotto un equilibrio: quello tra la domanda di fruizione del verde e un livello accettabile di qualità ambientale. Purtroppo a Milano la pressione dei fruitori del verde è diventata intollerabile perché gli spazi sono troppo ridotti». Parola di urbanista: Giuseppe Boatti, docente al Politecnico.

Ci sono delle responsabilità?

«Sta emergendo un modello di sviluppo urbano a macchia d´olio: la città che si espande in ogni direzione. Ed è la Milano che stanno immaginando a Palazzo Marino».

Macchia d´olio?

«Se si versa dell´olio sulla carta assorbente, non lascia spazi liberi. Sta già succedendo nell´area attorno a Rho-Pero, dove la penetrazione del verde anche in spazi scarsamente urbanizzati subisce attacchi feroci. Altro esempio negativo, San Siro».

E cioè?

«Parliamo di una porzione di Milano, che comprende anche una parte del Parco Sud, in cui l´inedificato - prati, per intenderci - arriva dentro il cuore della città. Questo è l´antidoto per combattere la macchia d´olio. Purtroppo però si sta facendo esattamente il contrario».

Con il trasferimento delle attività legate all´Ippodromo?

«L´ipotesi non è quella di distruggere l´Ippodromo, ma il suo retroterra, come le piste di allenamento. Il risultato è che non si percepiscono più né l´ippodromo né le piste come se fossero aree a verde a disposizione di tutta la città. Questi spazi devono invece diventare di uso prevalentemente collettivo, ma in modo che non si distrugga la loro funzione primaria».

Altri esempi che lei considera negativi?

«La zona del Parco Sud a fianco della Milano-Genova, interessata da progetti di edificazione: vale la pena ricordare che si tratta di una zona di penetrazione agricola, anche se non profonda come San Siro. Lo stesso discorso vale per il sistema degli scali dismessi. Non basta usare dei tenui raggi verdi per interrompere l´espansione a macchia d´olio di cui parlavo. C´è bisogno piuttosto di quadranti verdi che, entrando nella città, riducano il conflitto tra naturalità e fruizione del verde stesso».

In parole povere?

«Se lo spazio verde è consistente la convivenza tra le due esigenze ci può essere. Ma se mi limito a fare dei giardinetti, il verde lo uccido».

Lei critica il Comune, però il sindaco dice che farà piantare 500mila nuovi alberi...

«Un annuncio che sa di puro marketing».

E perché?

«Questo è un modo per mettere in contrapposizione il numero delle piante esistenti in città e la vastità delle aree. Non posso certo dire di aver fatto una politica del verde solo perché ho piantato migliaia di alberi. Sono due cose altrettanto importanti: la differenza è che piantumare adesso o tra cinque anni non cambia molto la situazione, mentre costituisce un danno irreparabile distruggere un grande cuneo di penetrazione del verde. Il problema vero sta a monte».

E qual è?

«Milano ha lanciato l´idea sbagliata della densificazione, un´idea insensata se solo ragionassimo in termini di area vasta. Se ci fosse l´area metropolitana, sarebbe indifferente costruire a Milano o a Rozzano, perché la penetrazione del verde verrebbe comunque garantita. Invece è già in atto una lotta feroce tra Milano e qualche Comune di cintura per portare su di sé quote sempre più importanti di sviluppo urbanistico, che dovrebbe riguardare l´intera area metropolitana: è l´esatto contrario di quello che stanno facendo nelle metropoli europee, da Parigi a Francoforte».

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