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Milano comincia a piangere
3 Giugno 2007
Milano
Due articoli (di S. Brandolini e S. Rossi) dedicati alle conseguenze di scelte urbanistiche criticate, da pochi, alcuni anni fa. Non tutto il latte è stato versato. Da la Repubblica, ed. Milano, 3 maggio 2007

Quei giganti di cemento senza regole e strategie

di Sebastiano Brandolini

A Milano, di edifici alti attualmente ce ne sono una ventina, perlopiù di scarsa qualità e costruiti negli anni 60. Potrebbero nascerne quasi altrettanti nei prossimi cinque anni, anche in parti della città finora considerate esterne rispetto alla pressione immobiliare che solitamente ne giustifica l’alto investimento. Dopo l’11 settembre 2001, per qualche anno qualcuno pensò che il grattacielo fosse in via d’estinzione.

Ma tra uomo e grattacielo si è nel secolo scorso formato un sodalizio commerciale, tanto che oggi è difficile che una città possa dirsi tale se ne è senza. Resta comunque aperta per Milano la questione di dove e secondo quale logica costruirne; la geografia della città potrebbe infatti cambiare in modo inaspettato.

In una città congestionata dal traffico privato, l’insediamento dei grattacieli dovrebbe essere regolamentato in base alla disponibilità del trasporto pubblico su ferro. Così, perlomeno, avviene in diverse città europee, tra le quali Londra, dove pur non essendoci un’opposizione morale all’edificio alto, vige la regola secondo cui per poter realizzare un grattacielo non devono esserci parcheggi privati nei pressi, perché l’accessibilità va soddisfatta per intero dal trasporto pubblico. Di fatto questa norma non scritta implica che i grattacieli possano insediarsi solamente in certe zone dei centri cittadini.

Le cose non sono altrettanto chiare e definite nel caso di Milano. Se prendiamo tre grattacieli dalle forme ardite oggi in fase di progettazione (oggetto, tra l’altro, di una mostra allo Spazio FMG di via Bergognone), uno all’Isola, uno a Rozzano, e uno in piazza Caneva, soltanto il primo potrebbe assolvere i requisiti della super-accessibilità. L’area tra Garibaldi e Centrale – dove si trova l’Isola – è oggi l’unico hub trasportistico di Milano, con due stazioni ferroviarie, il passante e due linee di metrò; Stefano Boeri ha progettato una torre topiaria, in cui il verde ostruisce quasi tutte le vedute dalle finestre, una pseudo-foresta verticale; pale eoliche in copertura intercetteranno il poco vento che soffia sulla pianura padana. A Rozzano, un grattacielo inclinato alto oltre quaranta piani progettato dai 5+1AA godrà dell’estensione della MM2 (in cantiere), ma per quanto riguarda la visibilità si affiderà soprattutto al traffico della Tangenziale ovest. E Milano Fiori diventerà una vera edge city, al limite del Parco Agricolo Sud, l’unica vera zona di salvaguardia rimasta. La terza torre, per mano di Archea, è in piazza Caneva, è alta ventisette piani ed è residenziale come la zona Sempione dove si trova; lontana dalla MM, le sue facciate inclinate sono rivestite di un materiale ceramico luccicante rivestito di una patina metallica, mentre i piani sono interamente avvolti da logge.

La prevista realizzazione delle tre torri che occuperanno il cuore della vecchia Fiera, giustamente dipenderà dalla creazione di una nuova stazione della metropolitana, oggetto della convenzione recentemente stipulata da Citylife con il Comune di Milano. Altre torri che dovrebbero prossimamente popolare lo skyline milanese si trovano a Sesto San Giovanni, lungo via Melchiorre Gioia, sull’area Garibaldi, a Rho-Pero, forse a Lambrate. Sono troppi i grandi progetti realizzati o in via di realizzazione a Milano, che in passato hanno sottovalutato o continuano a sottovalutare l’importanza vitale del trasporto pubblico su ferro per il proprio successo immobiliare: tra questi, la Bicocca, il Portello, Santa Giulia. Lo scollamento spazio-temporale tra forma della città e trasporto resta a tutt’oggi una delle grandi questioni irrisolte dell’identità metropolitana milanese, dove regnano le non-regole dell’improvvisazione. Quando una città non si dota di qualcosa che assomigli a un piano, diventa estremamente difficile indirizzare le scelte degli operatori immobiliari. Le leggi urbanistiche regionali, che si fondano sulla prassi della negoziazione, non incoraggiano la definizione di un quadro strategico di riferimento.

È da questa insoddisfacente situazione normativa e amministrativa, che nasce l’ultima generazione di torri o grattacieli, comunque le si voglia chiamare. Queste sono l’espressione di volatili occasioni immobiliari e simboliche, piuttosto che frutto di ragionamenti infrastrutturali e strategici riferite alla città. Eppure governano la geografia e la visibilità del futuro milanese. Chi viaggia per il mondo, riconosce subito lo stile veloce di questi simboli verticali che vogliono innanzitutto far parlare di sé ed essere à la page, perché emulano, in scala ridotta e a macchia, le boom-town di Shanghai e Dubai, dove migliaia di torri si contendono lo skyline a perdita d’occhio, annullandosi a vicenda.

Nove grattacieli sopra il Pirellone

di Stefano Rossi

Milano cresce in altezza, stavolta non solo in progetti da tenere in un cassetto. E così, in un colpo solo, il record detenuto per mezzo secolo dal Grattacielo Pirelli di Giò Ponti, 127 metri, è destinato a crollare ben nove volte nel giro dei prossimi sette-otto anni, a partire dalla conclusione dei lavori, prevista nel 2010, del Pirellone bis, la nuova sede della regione Lombardia in via Melchiorre Gioia, alta 160 metri. Una mostra intitolata «Nuove verticali a Milano», allo spazio Fmg per l’architettura in via Bergognone, presenta ora quattro delle altre torri che modificheranno il paesaggio urbano. La più imponente (200 metri ma potrebbe arrivare a 212), è la Torre Landmark di Rozzano, masterplan di 5+1AA e Metrogramma (architetti Alfonso Femia e Gianluca Peluffo), uffici pensati con attenzione agli aspetti energetici e ambientali. "Solo" 108 metri, invece, conta uno dei due grattacieli residenziali del Bosco Verticale di Stefano Boeri (il gemello piccolo è di 78 metri). Progettati all’Isola per Hines, prevedono 900 alberi (550 di qua e 350 di là) che in altezza si dispongono di piano in piano, contribuendo all’assorbimento di polveri sottili e biossido di carbonio. Pale eoliche e pannelli fotovoltaici forniranno energia alternativa. Sarà, infine, di 94 metri la Torre delle Arti (case, negozi, un ristorante) dello studio Archea Associati, che sorgerà su via Principe Eugenio sugli ex uffici Montedison. Anch’essa ispirata al risparmio energetico, avrà scanalature rivestite in oro a 24 carati per brillare anche al crepuscolo.

Tutte opere ancora da realizzare, ma già decise tutte assieme. E ora che la corsa all’altezza è ripartita, l’asticella del traguardo è ormai sui 200 metri, e il primato se lo prenderà uno dei tre colossi di Citylife, quello firmato da Isozaki (218 metri), mentre lì accanto i grattacieli di Hadid e Libeskind si fermeranno rispettivamente a 185 e 170. Senza contare, appena fuori dal territorio comunale, le torri di 200 metri sulla "Rambla" progettata da Renzo Piano per l’ex area Falk.

La frenesia verticale ha del resto colpito tutto il mondo, in una rincorsa continua. L’edificio più alto del pianeta, il Taipei 101 (508 metri), sarà superato nel 2011 dalla Freedom Tower di Ground Zero a New York, fermo alla quota simbolica di 541 metri o 1776 piedi, come la data della Dichiarazione di indipendenza. Ma dal 2009 la Burj Dubai metterà tutti d’accordo: la sua altezza è tenuta segreta ma si dice sarà fra i 700 e i 950 metri. Tuttavia il caso Milano è finito sui giornali stranieri per l’ampiezza della trasformazione urbanistica in corso. Qualche giorno fa se ne è occupato il Wall Street Journal, spiegandola col fatto che la percentuale di uffici rispetto alle proprietà immobiliari, in Italia, sarebbe la metà della media Ue.

L'origine recente del disastro della Milano neoliberista è descritta e criticata qui e qui. Ma si vedano anche altri numerosi scritti nella cartella dedicata a Milano ; in particolare quelli di Sergio Brenna, Lodo Meneghetti, Vezio De Lucia, e altri che hanno saputo vedere..

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