Per capire se l’attuale maggioranza ricandiderà nel 2011 il sindaco uscente, bisognerà sfogliare la margherita fino all’ultimo petalo. Per capire quale candidato metterà in campo l’opposizione, bisognerà attendere almeno l’autunno. La città verrà colta impreparata dalla campagna elettorale, e sarà chiamata a decidere in base a una "scelta di campo": modalità logora, dietro la quale si nasconde spesso la mancanza di idee. Per questo è necessario aprire fin d’ora il dibattito, chiedendoci in che direzione orientare il futuro di Milano. Di certo, Milano non può affidare il proprio futuro (solo) all’Expo.
Anche perché l’Expo, al di là della retorica, è sempre più confinato nel recinto espositivo, non avendo accolto i ripetuti inviti a sperimentare un modello diffuso, a basso costo, basato sulla riqualificazione di strutture esistenti. Un’Expo volta soprattutto alla realizzazione di opere infrastrutturali, non tutte indispensabili all’evento, un’Expo che reperirà le risorse necessarie alla realizzazione del sito consegnando nelle mani degli enti locali la "valorizzazione" immobiliare, fin qui sdegnosamente negata.
Il futuro di Milano non può essere devoluto neanche al nuovo piano di governo del territorio. Che non decolla perché non risponde neppure agli interessi degli operatori; o almeno, della maggior parte di essi. Pensato prima e durante la crisi, appare ora inadatto, poiché prevede di realizzare i servizi pubblici impiegando le risorse generate dalle trasformazioni private, oggi al palo. Un piano introflesso su Milano, che liberalizza il mercato edilizio rinunciando in larga misura a controllarne gli esiti. Un piano che non aggredisce il problema prioritario: l’inquinamento atmosferico e i danni che determina alla salute. Come dimostrano le difficoltà delle due linee di metropolita in cantiere, la mancanza di una politica della mobilità su area vasta, la costruzione di parcheggi sotterranei in pieno centro, l’abbandono dell’Ecopass e il lancio del bike-sharing senza piste ciclabili.
Vi sono quindi molte buone ragioni per sostenere che né i grandi eventi, né la programmazione ordinaria hanno davvero coinvolto i cittadini. Ecco dunque un possibile obiettivo per i candidati sindaci: ricostruire una dimensione comunitaria, che valorizzi il capitale sociale di Milano. Una città colta, ricca di università, aperta all’Europa, capitale del terzo settore, attiva nel volontariato, non può essere gestita come un’azienda (tanto meno come un condominio), né governata da un’oligarchia. Milano gioca il proprio futuro sulle competenze delle persone che la abitano e sulla coesione sociale. Come raggiungere questo obiettivo? Qui si può solo suggerire il punto di partenza: ascoltare le voci di Milano, per censire le aspettative, conoscere ciò che già avviene, per scoprire le molte energie che chiedono di offrire il proprio contributo. Ascoltare chi costruisce ogni giorno un pezzo della nostra comunità può aiutare a rendere questa città più moderna, più dinamica, più accogliente.