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Lorenzo Giarelli
Migranti, alle origini dell’esodo nel Mediterraneo: chi sono e da cosa scappano
27 Settembre 2017
2017-Accoglienza Italia
il Fatto quotidiano, 26 settembre 2017. In dieci sintetiche schede, un panorama dalle regioni da cui fuggono le persone che trovano rifugio tra noi. Molte più quelle che fuggono ma non arrivano, affogate o rinchiuse tra barriere di filo spinato

Secondo i dati del Viminale, da gennaio sono sbarcate sulle coste italiane 103.097 persone, in calo rispetto al 2016 soprattutto a causa del codice di condotta per le Ong emanato dal governo italiano e a causa degli accordi stretti tra il ministro degli Interni Marco Minniti e il governo libico di Fayez al-Sarraj che fermano le persone in Libia. Nigeria, Guinea e Bangladesh rimangono i Paesi da cui proviene la maggior parte dei profughi»

Guerre, carestie, povertà: sono tanti i fattori che spingono decine di migliaia di persone a raggiungere l’Italia dalle coste dell’Africa (già oltre 100mila nel 2017). Il nostro Paese è da tempo il principale porto di arrivo per le rotte dei migranti nel Mediterraneo: secondo i dati del Viminale, da gennaio sono sbarcate 103.097 persone, in calo rispetto alle 130.620 dello stesso periodo del 2016. Parliamo di una cifra pari circa al 2% del totale degli stranieri residenti in Italia, che secondo l’Istat sono poco più di 5 milioni.

Il dato sugli sbarchi non rappresenta che una parte di chi emigra. A migliaia non raggiungono la meta, perché bloccate prima dei porti di Libia e Tunisia o perché vittime di naufragi. L’Unhcr (l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) riporta che, nel 2017, 2.561 persone hanno perso la vita sui barconi di fortuna in viaggio verso l’Italia, un numero comunque in calo rispetto al record dello scorso anno, quando si registrarono 5.096 morti in mare, di cui ben 700 tra il 25 e il 28 maggio.

La diminuzione degli arrivi e delle tragedie nel Mediterraneo sono anche il risultato di un drastico cambiamento nella gestione dell’emergenza immigrazione da parte del governo italiano, a partire dal codice per le Ong. Gli accordi raggiunti tra il ministro degli Interni Marco Minniti e il governo libico di Fayez al-Sarraj hanno fatto sì che da luglio a settembre 2017 – cioè nei mesi in cui generalmente partono più barconi – siano arrivate in Italia “soltanto” 19.343 persone, contro le 61.821 del 2016. Quindi, tre mesi fa, l’invito alle Ong che soccorrono i migranti nel Mediterraneo a sottoscrivere il codice di condotta che limita il loro raggio d’azione e prevede che, su richiesta delle autorità nazionali, le navi delle organizzazioni debbano ricevere a bordo ufficiali di polizia giudiziaria per “raccogliere informazioni e prove finalizzate alle indagini sul traffico di esseri umani”. Se da una parte gli accordi hanno limitato in modo considerevole gli sbarchi, dall’altra hanno aumentato il numero di persone rimaste bloccate in Libia: secondo alcune associazioni umanitarie sarebbero circa 15mila i migranti rinchiusi nei centri di detenzione libici, fermati nel tentativo di partire.

Tra i 103.097 arrivi di quest’anno, una percentuale considerevole è costituita da minori non accompagnati. Sono stati 13.418, più del 13% del totale, e per loro il Parlamento ha approvato da pochi mesi una legge che sancisce parità di trattamento rispetto a chi gode della cittadinanza italiana o è cittadino dell’Unione europea, disponendo anche che il respingimento alla frontiera non possa essere disposto in nessun caso.

1. Nigeria:
il terrore cieco di Boko Haram
nel paese dei sei figli per donna

La maggior parte delle 103.097 persone sbarcate in Italia nel 2017 viene dalla Nigeria. Sono 17.061, pari al 16,5% degli arrivi. Il Paese è in guerra da più di 7 anni, da quando Boko Haram, l’organizzazione terroristica affiliata all’Isis in guerra contro il governo, ha ottenuto il controllo su alcuni territori. Secondo l’Onu, il fertility rate (il numero di figli per ogni donna) è di 5,7, mentre l’aspettativa di vita alla nascita è di 52 anni per gli uomini e 52,6 per le donne. Secondo i dati della Word Bank, nel 2011 85,2 milioni di persone (circa il 53% della popolazione di allora) viveva con meno di 1 dollaro e 90 al giorno, la soglia della povertà assoluta. Il rapporto 2016/17 di Amnesty International riferisce che “le forze di sicurezza continuano a commettere gravi violazioni dei diritti umani, tra cui esecuzioni extragiudiziali e sparizioni forzate”.

2. Guinea:
i tristi primati della tortura
e delle mutilazioni genitali

La Guinea è uno degli Stati più poveri del mondo. Sono 9.056 (8,7% del totale) gli uomini e le donne in fuga dal Paese in cui tre anni fa scoppiò l’epidemia dell’Ebola, causando 2.346 morti. Lo scorso anno il nuovo codice penale ha abolito la pena di morte, ma Amnesty International denuncia ancora “episodi di tortura e maltrattamenti” da parte delle forze dell’ordine. Nella graduatoria stilata dall’Onu in base all’Isu (l’Indice di Sviluppo Umano, che incrocia dati sul reddito pro capite, sull’istruzione e sulla qualità della vita), la Guinea occupa il 183esimo posto su 188 Paesi. L’Unicef riporta che circa il 96% delle donne tra i 15 e i 49 anni ha subìto mutilazioni genitali di qualche tipo, in un Paese in cui un’indagine del 2015 mostrava che il 63% delle ragazze tra i 20 e i 25 anni si fosse sposata prima dei 18 anni.

3. Bangladesh:
spinti ad ovest dalla povertà
e (anche) da altri profughi

Dal Bangladesh, Paese separatosi dal Pakistan nel 1971, sono giunti in Italia 8.794 persone da gennaio, pari all’8,5% del totale degli sbarcati. In queste settimane il Bangladesh vive l’emergenza dei Rohingya, la minoranza islamica in fuga dalla Birmania. Circa 400mila profughi hanno passato il confine birmano, rifugiandosi in Bangladesh, in un Paese che è tra i più poveri dell’Asia e che non è in grado di gestirne l’accoglienza. Dal 2015 ci sono state decine di attacchi terroristici – in quello di Dacca, nel luglio 2016, morirono anche 9 italiani – riconducibili a gruppi vicini all’Isis. Secondo l’Unicef, circa il 18% delle ragazze si sposano prima dei 15 anni: è uno dei tassi più alti al mondo. Anche il dato sull’alfabetizzazione è preoccupante: solo il 61% della popolazione sopra i 15 anni sa leggere e scrivere (la media mondiale è dell’86%).

4. Costa d'avorio: una lotta tra fazioni infinita
e le cellule superstiti di Al Qaeda

Proprio quando la Costa d’Avorio sembrava uscita dall’incubo della guerra civile, iniziata nel 2002, le elezioni del 2010 hanno portato nuovamente il caos nel Paese. Il presidente Alassane Ouattara ha dovuto vedersela con le truppe legate al vecchio presidente, Laurent Gbagbo, poi arrestato e accusato di crimini contro l’umanità. Adesso il Paese, da cui nel 2017 sono arrivati in Italia 8.482 persone, pari all’8,2% del totale, fa i conti con i continui attacchi jihadisti di Aqim – una cellula di Al Qaeda – e con condizioni di estrema povertà per la popolazione. La Costa d’Avorio è al 171esimo posto sui 188 della graduatoria basata sull’Indice di Sviluppo Umano e ha un’aspettativa di vita di soli 53 anni. Il tasso di mortalità infantile è del 5,3%, tra i più alti del mondo.

5. Mali: l’intrigo internazionale
nella terra dei bambini soldato

Nel 2012 in Mali è scoppiato un conflitto interno che ha portato le truppe del Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad ad occupare la parte nord del Paese. L’attività di alcuni gruppi islamisti ha complicato il quadro e nel 2013, dopo una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, la Francia di Hollande ha inviato i propri aerei in supporto del governo centrale, contro le truppe indipendentiste dell’Azawad e contro gli estremisti islamici. Anche l’Italia, dal 2013, ha fornito supporto logistico all’operazione. Tutte le trattative di pace sono finora saltate e il conflitto è ancora in corso, mentre le Nazioni Unite denunciato l’ampio utilizzo di bambini-soldato. Dal Mali – in cui si registra il secondo tasso di mortalità infantile più alto del mondo, pari al 10% – sono arrivate in Italia 6.121 persone da gennaio, circa al 6% del totale.

6. Eritrea: isolamento internazionale,
dittatura e schiavitù militare

Ex colonia italiana nel periodo fascista, l’Eritrea è sotto la dittatura di Isaias Afewerki da quasi 25 anni, cioè da quando, nel 1993, un referendum ne legittimò il potere. L’Eritrea è stata gradualmente isolata dalla Comunità Internazionale. Una commissione d’inchiesta voluta dall’Onu nel 2014 ha stabilito che l’Eritrea “non ha un sistema giudiziario indipendente, non ha né un parlamento né istituzioni democratiche” e “c’è un clima di impunità per i crimini contro l’umanità commessi da un quarto di secolo”. Secondo l’Onu, migliaia di persone – 5.612 quelle giunte in Italia nel 2017, il 5,4% del totale – fuggono dal servizio militare, paragonato a una schiavitù camuffata: la leva dura ufficialmente 18 mesi, ma i militari vengono poi costretti a rimanere nell’esercito.

7. Senegal: la giustizia sommaria
alle porte del Sahara

Il Senegal è uno snodo fondamentale per le partenze verso il deserto del Sahara, anticamera dei porti in Tunisia e in Libia. Da gennaio sono arrivate 5.610 persone, il 5,4% del totale, in fuga da un Paese in cui oltre 5 milioni di persone – il 37% della popolazione – vive sotto la soglia di povertà assoluta di 1 dollaro e 90 al giorno. Il rapporto 2016/17 di Amnesty International evidenzia come ci siano forti limitazioni alle libertà personali, comprese quelle sessuali, e ai diritti civili, come la facoltà di espressione e associazione. La giustizia, secondo Amnesty, è applicata in modo sommario e contribuisce a un grave sovraffollamento delle carceri. Il tasso di natalità è di circa 5 figli per ogni gni donna e fa sì che la popolazione, negli ultimi 15 anni, sia aumentata di circa il 50%.

8. Gambia: due milioni
sotto lo scacco di una Repubblica islamica

Dopo 22 anni di dittatura, lo scorso anno il presidente Yahya Jammeh è stato costretto all’esilio. Il Gambia era stato dichiarato “Repubblica Islamica” e Amnesty International ha a lungo denunciato la soppressione di ogni libertà, soprattutto per mano dei Jungulers, un esercito di sicurezza privato. Da qualche mese le cose vanno meglio, ma il Gambia resta un Paese poverissimo – 173esimo su 188 nella graduatoria basata sull’Indice di sviluppo umano – con ancora molte difficoltà a lasciarsi alle spalle la dittatura. Secondo le Nazioni Unite, nella fascia d’età compresa tra i 20 e i 49 anni ben il 16% delle donne si è sposata prima dei 15 anni. Dal Gambia, dove vivono appena due milioni di persone, sono arrivate in Italia 5.594 persone negli ultimi nove mesi, il 5,4%degli sbarcati.

9. Sudan: emergenza umanitaria
tra guerra civile e secessione

Sette anni fa un referendum ha ufficializzato la separazione tra Sudan e Sudan del Sud. Al voto si era arrivati dopo una guerra civile che, seppur a intermittenza, andava avanti dagli Anni 80. Nella parte ovest dello Stato, in Darfur, si alternano periodi di guerra e di tregua in un conflitto che, si stima, ha causato negli anni oltre 400mila vittime. Mentre in Sud Sudan si è tornati a combattere e il Paese è in grave emergenza umanitaria, in Sudan Amnesty International denuncia che “le forze di sicurezza hanno preso di mira membri dei partiti politici d’opposizione, difensori dei diritti umani, studenti e attivisti politici, sottoponendoli ad arresti e detenzioni arbitrari e ad altre violazioni”. Questi fattori, uniti a una diffusa povertà, hanno spinto 5.480 persone ad arrivare in Italia nel 2017, pari al 5,3% del totale.per raggiungere le famiglie

La comunità marocchina in Italia è composta da oltre 430mila residenti, che costituiscono uno dei principali motivi per cui anche quest’anno 5.064 persone (il 4,9% del totale) hanno raggiunto l’Italia dal Paese del Maghreb. Nonostante sia considerato uno dei casi più virtuosi dell’Africa, il Marocco ha ancora molti problemi di diritti. Le Nazioni Unite, in un rapporto inviato a Rabat nei giorni scorsi, hanno chiesto interventi, per esempio, sul riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio, sulla disparità di trattamento tra i generi sulle questioni di eredità – le donne sono escluse dalla successione, a meno di diverse indicazioni –, sulla condanna delle violenze coniugali e sul problema delle spose bambine. Amnesty International, intanto, continua a denunciare l’opera di contrasto del governo all’attività di diverse organizzazioni per i diritti umani.

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