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Matteo Edoardo; Origoni Bazzaco
Mia Milano: quale città
16 Dicembre 2007
Milano
Alcuni estratti da un saggio che riassume molto divulgativamente per un pubblico non italiano la vicenda del capoluogo meneghino. Con postilla e allegato (f.b.)

Non ci resta che piangere

“Mi hanno ferito nella cosa che ho di più caro, l’immagine”. (Silvio Berlusconi)

Dopo il boom e il successivo crollo dell’industria pesante, negli anni ’70 e ’80 Milano si impose come mercato a livello internazionale per la produzione e il consumo di beni di alto valore aggregato. Negli anni ’80 in particolare il sistema produttivo smise di puntare sui tradizionali beni durevoli di consumo, dirigendosi verso i cosiddetti beni status symbol: il business milanese postindustriale per eccellenza divenne l’alta moda, legata alla produzione per un folto pubblico abbiente e destinata all’esportazione. Ben presto nomi come Armani, Dolce e Gabbana e Prada divennero famosi e “indossati” in tutto il mondo. Si può dire dunque che il mercato che maggiormente ha caratterizzato l’economia urbana milanese del decennio fu quello dell’immagine, amplificato e completato dalla pubblicità e dall’avvento della televisione privata.

Dalle prime sfilate degli anni settanta, la promozione di Milano a capitale della moda è stata rapidissima. Milano ha calamitato tutte le professioni che in qualche modo erano collegate all’industria dell’immagine: fotografi, modelle/i, editori di riviste, critici, acquirenti, produttori, commercianti, pubblicitari, giornalisti. L’industria dell’abbigliamento d’altra parte ha fatto parte storicamente del melieu economico del milanese: basti pensare alla già citata produzione tessile e all’industria serica, settori trainanti della prima rivoluzione industriale.

L’ascesa dell’economia dell’immagine coincise con una profonda ristrutturazione del sistema produttivo. Tra il 1981 e il 1994 si assistette alla vistosa contrazione, se non a un vero e proprio declino, delle imprese più grandi e all’affermazione di un reticolo di unità tecniche di produzione e lavoro di dimensioni sempre più ridotte. Altrettanto profondi furono i mutamenti intervenuti nella composizione delle attività economiche, che appaiono sempre più contrassegnate dal fenomeno della "terziarizzazione": nel 1981 il 65,7% delle unità locali operavano nel settore dei servizi, incidenza che sale al 68,2% nel 1994. In questo quadro cresce, inevitabilmente, il peso delle piccole e piccolissime unità produttive (quelle da 1 a 9 addetti), che da sole rappresentano nel 1994 quasi il 93% del totale dell’attività economica urbana.

Al di là delle importanti trasformazioni interne del sistema economico e urbano e della crescita dei quartieri periferici, nel decennio ’70 emersero i primi sintomi di un radicale cambiamento che ridisegnerà nel ventennio successivo le sfere sociali, spaziali, politiche e culturali della vita cittadina. E’ infatti in questi anni che si manifestano le prime avvisaglie del progetto ideologico e economico della “Milano che sarà”: “la città dei numeri uno”.

Nel 1970 il gruppo immobiliare Edilnord (di proprietà del cavalier Silvio Berlusconi) iniziò l’edificazione, su di una superficie di 700.000 metri quadrati, di un complesso residenziale, noto come Milano 2, a cui presto sarebbe seguito Milano 3. Questi progetti rappresentavano l’affermazione del paradigma dello status symbol: non si trattava semplicemente di complessi residenziali, bensì della manifestazione spaziale di un nuovo stile di vita. Berlusconi si assicurò che i residenti fossero isolati dagli aspetti “sgradevoli” della vita cittadina: traffico, criminalità, immigrazione, operai; la città stessa.Le “nuove Milano” furono create secondo una serie di caratteristiche architettoniche innovative. I quartieri erano separati in modo netto dal resto della città, delimitati da muri, ponti, strade: gli edifici erano per la maggior parte orientati verso l’interno del complesso e raramente verso il territorio circostante, circondati da verde e con un laghetto centrale. Un efficiente sistema di portineria e vigilanza notturna completava il quadro della sicurezza interna. Il caso di Milano 2 è esemplificativo della ridefinizione dei canoni informatori dei processi di progettazione e costruzione dello spazio urbano, e inoltre simbolicamente legato alla profonda trasformazione che caratterizzerà la vita culturale italiana dalla fine degli anni ’70 (molti dei neoabitanti di Milano 2 furono effettivamente i protagonisti del boom finanza/pubblicità/moda della Milano degli anni ’80).

É da qui inoltre che nel 1974 TeleMilano, la prima emittente televisiva privata a livello locale, iniziò le trasmissioni (all’inizio il segnale era disponibile solamente per i residenti del quartiere). Approfittando dell’assenza di una legislazione adeguata e dell’appoggio del partito socialista, nel 1978 Telemilano avrebbe iniziato a trasmettere non solamente a livello locale. Si faceva largo una nuova strategia celebrativa di ricchezza, del consumo, della forma rispetto al contenuto, come si evince chiaramente in certi momenti e luoghi chiave della vita “pubblica” milanese: nei congressi del Partito Socialista, lo storico simbolo con falce e martello fu sostituito dal più “frivolo” garofano rosso.

La citata vicenda di Telemilano dimostra inoltre la connivenza tra sistema politico e mondo imprenditoriale: tale connivenza ha determinato nuove consuetudini nella gestione della res publica, da cui le politiche urbane e il “fare città” non sono rimasti esclusi. Per intendere i meccanismi che hanno informato la “non pianificazione urbana” a Milano durante gli anni ’80 ci si può riferire al concetto di “urbanistica contrattata”. L'urbanistica contrattata rappresentò la sostituzione di un sistema di regole definite dalla pianificazione urbanistica, con la contrattazione diretta delle operazioni di trasformazione urbana tra i soggetti che detengono il potere politico e economico. Tale “consuetudine” si è di fatto manifestata ogni qual volta l'iniziativa delle decisioni sull'assetto del territorio non venisse presa per l'autonoma determinazione degli enti, che istituzionalmente esprimono gli interessi della collettività, ma per la pressione diretta, o con il determinante condizionamento, di chi detiene il possesso di consistenti capitali da investire. Il cosiddetto sistema dell’urbanistica contrattata venne portato avanti a Milano dalle giunte socialiste dei sindaci Tognoli e Pillitteri (cognato di Bettino Craxi), con il beneplacito di una intera classe politica, Partito Comunista milanese incluso. Questa prassi ha rappresentato qualcosa di nuovo rispetto alla speculazione immobiliare propria del periodo ’50-‘70: i suoi effetti e le distorsioni che ha indotto sull'intero ordinamento territoriale – e, in una visione più ampia, sociale – porteranno Milano alla crisi politica e civile (ancor prima che urbanistica) più grave della sua storia recente, da cui è difficile affermare che la città si sia mai effettivamente ripresa. In questo senso, è esplicativa la differenza tra le reazioni del corpo sociale all'una e all'altra forma di subordinazione dell'interesse pubblico a quello privato: nel corso degli anni ’50 e ’70, la speculazione fondiaria ed edilizia appariva come uno scandalo, nei confronti del quale l'opinione pubblica (e non solo quella progressista) si ribellava, reagiva con forza e con durezza. Prima dell'indagine “Mani pulite” l'urbanistica contrattata era invece divenuta una prassi corrente e una procedura legittimata dalla costanza dei comportamenti.

Fu all'inizio degli anni ’80 che il “rito ambrosiano” entrò nelle sua fase di maggior “splendore”.

Vennero approvate dagli uffici comunali decine di varianti puntuali al piano regolatore, con le quali si autorizzarono oltre 12 milioni di metri cubi di nuove strutture edilizie per il terziario nel territorio municipale. Ma il rito ambrosiano non si fermò alle varianti: “...in mancanza di una legge nazionale sul regime dei suoli e di una più larga autonomia finanziaria degli enti locali, gli amministratori scelgono la via della contrattazione. Io amministratore pubblico ti lascio costruire, concedendo varianti al piano regolatore; tu operatore privato mi offri in cambio delle contropartite (opere di urbanizzazione, strutture pubbliche, abitazioni popolari, aree parco)”. Tali contropartite vengono garantite da lettere private, tenute accuratamente segrete. Come sottolinea Salzano “...Difficile credere che ci sia stato qualcuno così ingenuo da non pensare che, tra le contropartite, potevano essercene altre oltre alle case popolari e ai parchi!”. Profetica appare oggi una frase di Piero Bassetti, ex-presidente della Camera di commercio, intervistato nel 1986 dal quotidiano La Repubblica. Durante la discussione allora in corso sul futuro urbanistico di Milano, aveva detto: “...Ho l'impressione che tutto questo dibattito sulle aree (dismesse) testimoni una subalternità della politica al rituale problema della stecca”. La corruzione politica nel corso degli anni ’80 può essere definita “…un fenomeno quasi scientifico nella sua sistematicità e metodologia”. Consisteva nella spartizione di contratti e appalti, nella concessione di autorizzazione e licenze in cambio di tangenti. Era un sistema considerato normale, anzi essenziale per il buon funzionamento della vita politica. L’urbanista socialista Balzani ammise a tal proposito nel 1987 che “…la tangente è automatica”.

I grandi progetti finanziati con il sistema degli appalti pubblici vedevano lievitare i costi al punto da rendere impossibile la loro stessa realizzazione. Molti progetti sono stati iniziati per poi essere abbandonati completamente o completati solo dopo anni di attesa e di rifinanziamenti: il caso del Piccolo Teatro – opera finanziata con denaro pubblico e attesa per vent’anni – fu paradigmatico di un’epoca. Alla progettazione dello spazio pubblico non è toccato un destino differente. A tal proposito vale la pena citare le vicende attuative del Parco del naviglio Martesana. L’istituzione del parco risale in realtà al 1978, ma i lavori per la realizzazione - su di un ampio spazio di 20 ettari precedentemente usato come discarica abusiva - incominciarono solo a metà degli anni ’80. I lavori sono stati affidati a operatori privati, non solo in mancanza di un progetto esecutivo ma anche di un effettivo controllo pubblico. Il risultato di questa operazione all’oggi, oltre alla chiusura del teatro all’aperto due anni dopo la sua costruzione per pericolo di crollo, è quello di una piantumazione sommaria su una parte minima dell’area, la predisposizione di alcuni sentieri che si snodano nel nulla, nonché l’assoluta mancanza di intervento sulla sponda nord della Martesana che ha ovviamente compromesso l’intento progettuale dell’intero intervento.

La stessa realizzazione della terza linea della metropolitana, iniziata nel 1981, divenne simbolo della corruzione: in seguito alla ripartizione tra i partiti politici dei fondi per la sua costruzione, ogni mattone impiegato nel cantiere venne a costare la scandalosa cifra di un milione di lire (al cambio, 500 Euro).33 Ma il progetto più atteso e sbandierato della stagione socialista (1976-1993) fu senza dubbio quello del passante ferroviario, infrastruttura che avrebbe dovuto contribuire in maniera decisiva a risolvere il problema della congestione del traffico cittadino, collegando la rete delle Ferrovie Nord e dello Stato con alcuni punti strategici della città non serviti dalle linee delle metropolitane. Con quindici anni di ritardo rispetto al progetto iniziale, il primo tratto del Passante fu inaugurato nel 1997. Un istituto internazionale ha accertato come la realizzazione di un chilometro di Passante prima dell’inchiesta Mani pulite venisse a costare più di 80 miliardi di lire: il primo chilometro realizzato dopo l’inchiesta è venuto a costare circa 44 miliardi, poco più della metà. Nonostante tutto, l’immagine di Milano negli anni ’80 non era quella di città corrotta: era quella della “Milano da bere” (slogan dello spot di un aperitivo, che divenne simbolo di un’epoca), immagine che riusciva a cogliere l’essenza della situazione sociale e politica di quegli anni, caratterizzata dalla scomparsa dell’industria pesante e dalla profonda crisi della sinistra tradizionale. Le parole chiave di quel periodo definivano una realtà dinamica, in profondo cambiamento, lungi dal segnalare gli aspetti di crisi strutturale del sistema-città: si parlava di modernità, sviluppo, decollo postindustriale, città europea, “…una nuova realtà metropolitana che possiamo chiamare ’diversa’”.

Il primo momento di rottura nella pratica generalizzata della corruzione risale al 1989, con l’uscita del PCI dalla maggioranza comunale e la conseguente caduta della giunta.Le elezioni dell’anno successivo videro i tre partiti tradizionali raggiungere un risultato sostanzialmente identico: DC 21%, PCI 20%, PSI 19%. Il vero trionfatore fu la Lega Lombarda di Umberto Bossi, approdata alla politica nel 1985, che ottenne il 13% delle preferenze. Nello stesso anno (1990) il ritrovamento casuale da parte dell'assessore Carlo Radice Fossati di una delle lettere private utilizzate per stabilire contropartite economiche tra politici e imprenditori fece emergere per la prima volta lo “scandalo”, ben presto dimenticato, prima dell’esplosione dalla madre di tutte le inchieste per corruzione: Tangentopoli.

“Matrioska”: la frammentazione delle competenze

“Un sogno guasto e cavo al centro”. (Milo de Angelis)

Vale la pena a questo punto considerare un elemento fondamentale per poter intendere la “natura” del governo del territorio milanese. Nel corso degli anni ’80 iniziò ad emergere attorno alla città una nuova forma urbana, come conseguenza del processo di redistribuzione al di fuori del centro tradizionale delle funzioni “…non solo di grado inferiore e (delle) classi sociali più basse, come avveniva nella classica metropoli dei pendolari degli anni Sessanta”,ma anche di funzioni (residenza, lavoro, consumo) destinate alle classi sociali più elevate. Di fatto, il territorio comunale di Milano, con i suoi 181,74 km quadrati è sicuramente più limitato dell’area urbanizzata in cui si trova inserito. La delimitazione del territorio municipale, già nel corso degli anni ’80, non poteva essere facilmente percepita, soprattutto lungo gli assi storici di penetrazione alla città: dove finiva Milano e dove incominciava Sesto San Giovanni? Sarebbe stato più facile distinguere dove terminava l’area industriale di Pirelli-Bicocca e dove incominciavano gli stabilimenti Falk.

Le dinamiche (di popolazione, funzionali, lavorative, residenziali) dello spazio geografico “milanese” oltrepassano quindi i limiti del territorio municipale: la nuova forma/struttura metropolitana tende ad una conformazione policentrica, definita “…dalla complementarietà di funzioni tra centri e periferiedei complessi metropolitani”.Il policentrismo milanese si limita però ad un aspetto strettamente funzionale, legato alla ri-localizzazione del sistema produttivo a scala regionale, rimanendo incardinato alla struttura radiale delle principali direttrici infrastrutturali di collegamento. La metafora della sezione d’albero di Beruto (1884) - riferita al centro urbano- rimane perfettamente leggibile sul territorio, fino però a dissolversi in un continuum cementificato privo di alcun tipo di disegno:“…L’antica antitesi (città-campagna) scomparirà e le linee di confine cesseranno di esistere”.Si assiste in questa fase ad un ripopolamento degli antichi “borghi”, non dovuto però alle loro caratteristiche rurali, quanto piuttosto alla loro collocazione nel nuovo contesto “metropolitano”. Un esempio interessante di questa tendenza è rappresentato dal piccolo comune rurale di Basiglio, alle porte di Milano, che nel decennio ’80 vide crescere la propria popolazione da 800 a 6.500 abitanti, in conseguenza dell’edificazione sul territorio municipale del già citato complesso residenziale Milano 3. La Milano metropolitana, nella sua dimensione fisica, perse dunque la storica coincidenza con i confini amministrativi del comune, venendo ad estendersi su di uno spazio il cui governo è di competenza di enti differenti: i comuni circostanti, la Provincia, la Regione Lombardia. Si tratta di corpi governativi (eletti democraticamente) che controllano il vasto territorio “semi-urbano” dell’Italia settentrionale: come in una matrioska, la regione “contiene” la provincia, la provincia “contiene” 188 comuni, tra cui Milano.

L’accentuazione del conflitto di e tra competenze, dovuto all’esistenza di attori differenti, le giunte comunali, provinciale e regionale - spesso di diverso colore politico - ha reso da un lato problematica la definizione e attuazione degli strumenti tecnici di governo territoriale, dall’altro ha determinato gravi ritardi nei processi decisionali. Per far fronte a questa situazione nel 1990 con la legge 142/90 dello Stato Italiano vengono definite 10 aree metropolitane tra cui quella milanese. Anche in questo caso però “…l’interesse della classe politica e della cultura politica italiana si è consumato soprattutto sugli aspetti di rappresentanza e si è invece rapidamente attenuato e poi dissolto di fronte alle molte difficoltà d’innovazione organizzativa implicite nelle non cristalline formulazioni della legge.”In altre parole, vennero fissati unicamente dei parametri, in funzione dei quali può legittimamente “presumersi” l’esistenza di un area metropolitana, senza peraltro che questo nuovo livello amministrativo si ancorasse all'esercizio di alcuna effettiva competenza.

postilla

Come accennato anche nell’occhiello, quello di cui abbiamo riportato due paragrafi, e che si allega di seguito in versione integrale, non è quanto si definisce di solito un “saggio critico”. I due Autori, Edoardo Bazzaco e Matteo Origoni, “sociologo e architetto, amici e milanesi” come si definiscono nella lettera a cui hanno allegato il testo, lavorano e fanno ricerca da anni a Barcellona, e hanno concepito questa articolata compilazione di fatti e punti di vista per riassumere una vicenda complessa a un pubblico che forse ne ha percepiti solo alcuni (parziali e sostanzialmente scandalistici) echi. Il limite del testo sta esattamente nel suo pregio principale, ovvero la concisione, del percorso come dei riferimenti, che necessariamente conduce a schematizzazioni che chi ha approfondito i moltissimi aspetti toccati non potrà fare a meno di giudicare parziali.

Nondimeno si tratta di un testo complessivamente di valore, che giustamente gli Autori hanno ritenuto potesse interessare anche il pubblico italiano, a cui viene proposto dalle pagine di eddyburg.it (f.b.)

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