Tentativi, immagini e idee per una possibile città del futuro, a partire dall'uso dello spazio pubblico, in una mostra al Guggenheim Museum di New York.. Il manifesto, 6 dicembre 2013
Tutto questo viene raccontato da una nuova grande esposizione dal titolo Participatory City: 100 Urban Trends, aperta fino al 5 gennaio 2014 al Guggenheim Museum di New York. E cento, infatti, sono le tendenze esposte, ordinate dalla a alla zeta, selezionate tra trecento idee e progetti diversi, che esplorano le possibili interazioni tra urbanismo, architettura, arte, design, scienza, tecnologia, educazione e sostenibilità. Un glossario di idee vecchie e nuove, già consolidate o da sperimentare, a piccola o grande scala, temporanee o permanenti, che tutte insieme raccontano il fermento, la vitalità e la forte volontà di sperimentare e di cambiare di migliaia di persone. Proposte da realizzare in un isolato, in un quartiere o da estendere a tutta la città, magari in collaborazione con amministrazioni e municipalità, perché un design innovativo, un maggiore coinvolgimento e responsabilità delle persone sono oggi necessari più che mai.
Tutto il materiale esposto è il frutto di tre intensi anni di lavoro svolto dal Bmw Guggenheim Lab, un laboratorio mobile che si è spostato in tre diversi continenti. Partito da New York nel 2011 ha fatto tappa prima a Berlino nel 2012 e, infine, a Mumbai nel 2013. Durante il suo percorso ha coinvolto migliaia di persone che hanno potuto partecipare gratuitamente a incontri, workshop, ricerche, passeggiate, indagini, proiezioni in un vero e proprio think tank urbano che prevedeva anche la possibilità di interazione on line.
Al Guggenheim, le cento parole chiave sono proiettate sulle pareti, come installazioni luminose digitali, e di fianco a ciascuna sono esposti disegni, fotografie e video che le spiegano e raccontano. In un’area separata, altri video e immagini fanno rivivere l’atmosfera delle tre sedi del laboratorio e delle città ospitanti, per raccontare in modo più vivo il coinvolgimento delle persone e le attività che si sono svolte. Durante il periodo dell’esposizione, un fitto programma di proiezioni di film e presentazioni di libri e di progetti continuerà a esplorare i temi trattati e a raccontare altri possibili aspetti e interazioni tra le persone e le città.
In mostra, sono esposti anche alcuni prototipi della Water Bench. Più che a una panchina per esterni assomiglia a un comodo divano trapuntato. Progettata in un laboratorio a Mumbai, la struttura è costruita con plastica riciclata e al suo interno nasconde una riserva d’acqua piovana da utilizzare per l’irrigazione nei momenti di siccità. Una di queste sarà esposta a New York nel First Park, mentre altre quattro sono già situate in un parco a Mumbai.
Ognuna delle cento tendenze si riferisce a un particolare laboratorio, evento o esperienza realizzato dal Lab in una delle città ospiti. È impossibile elencarle tutte, ma tra le più interessanti c’è per esempio City as Organism che si riferisce alla similitudine tra il sistema urbano e la vita complessa di un organismo formato da multiple e interrelate parti. Oppure Digital Democracy, che indica come la corretta implementazione delle informazioni e delle comunicazioni tecnologiche potrebbero contribuire ad aumentare la partecipazione dei cittadini ai processi urbani e a migliorare la trasparenza dell’amministrazione pubblica.
Alcune tendenze tengono conto di un aspetto più emotivo e quindi vertono sulle sensazioni, positive o negative, che possono evocare le città come Confort che, insieme a Happy City, tratta della percezione dello spazio intorno a noi e quindi del benessere fisico e psicologico. Al contrario, Urban fatigue mette in evidenza una condizione comune a chiunque abiti in città, sottoposto allo stress, all’ansia, all’affaticamento e a una continua sovrastimolazione, diventando una delle silenziose epidemie dell’era moderna, con conseguenze sulla salute fisica e mentale delle persone.
Poi Emotional Connections e Emotional Intelligence, la prima sul continuo aumento di amicizie virtuali e sul conseguente declino in numero, valore e durata delle reali interazioni tra le persone, mentre la seconda sulla capacità di identificare, misurare e riconoscere le emozioni quando sono espresse dagli altri.
Con Micro Architecture e Non_Iconic Architecture si propongono, invece, soluzioni di architettura o di design adatte a spazi urbani di dimensioni ridotte, ma che ciò nonostante sono in grado di cambiare radicalmente il comportamento e la responsabilità dei cittadini, oltre a sfruttare e adattarsi ad aree non utilizzate. Proprio come le soluzioni adottate dal Bmw Guggenheim Lab nel 2011 a New York, dove è stata montata per dieci settimane una leggera struttura pop up progettata dall’Atelier Bow-Wow in uno spazio abbandonato tra due edifici del Lower East Side, poi trasportata fino a Berlino e modificata per adattarsi a un altro contesto.
A Mumbai invece l’Atelier ha collaborato con l’architetto Samir D’Monte per creare una nuova grande costruzione di bambù. Una reazione all’architettura iconica e alle archistar del XX secolo, legate al consumismo, alla globalizzazione, allo status speciale di quegli artefici di strutture spettacolari. All’opposto queste due tendenze vogliono difendere l’importanza della semplicità e della funzionalità dell’architettura e dare la priorità alla scala umana piuttosto che a quella scultorea delle grandi opere.
Local Food, Food Distribution e Community Gardens sono tutte legate alla produzione di cibo locale, alla domanda di frutta e ortaggi freschi e alla sicurezza alimentare. Adottata negli Stati Uniti nel 2008, la Food, Conservation, and Energy Act stabilisce che il cibo non deve viaggiare oltre le 400 miglia dalla fonte o deve essere venduto nello stesso stato in cui è stato prodotto. I mercati locali stanno rapidamente crescendo e sviluppando grazie alla sempre più numerosa domanda di cibo biologico, inoltre si evidenzia come consumatori desiderano supportare l’economia locale e limitare l’impatto ambientale. Così oltre ai community gardens, sono nate numerose fattorie urbane che riducono ancora di più la distanza tra consumatori e produttori. Urban Foraging , invece, riguarda la ricerca, la mappatura, l’identificazione di tutto ciò che cresce in città, senza o con minimi interventi da parte dell’uomo. E quindi la pratica, ormai diffusa, di raccogliere la frutta ma anche le erbacee e i funghi che crescono in città e che sono a disposizione di tutti. Con una visione più ampia, questa voce si riferisce al riuso e alla raccolta di tutto ciò che si trova a disposizione per le strade.
Disneyfication, parola coniata nel 1996 da Sharon Zukin, indica invece la trasformazione di un luogo secondo la logica dei parchi a tema. Mentre con Gentrification ci si sofferma sulle origini e le cause di questo fenomeno globale, associato quasi sempre all’aumento degli affitti e a un drastico cambiamento sociale ed economico di interi quartieri. E così Urban Beauty e Urban Ugliness si interrogano sul valore estetico di una città e sulla molteplicità di prospettive e punti di vista.
Altri trend ancora, eloquenti già dalla parola che li designa, sono: Affordable Housing, Bike Politics, Bottom-Up Urban Engagement, Collective Memory, Eviction, Infrastructure of Waste, Public-Private Tension, Trust, Urban Spontaneity… Tutte insieme, le cento tendenze raccontano di una capacità di adattamento e di una flessibilità comune alle migliaia di partecipanti di tutto il mondo al Lab e questo è il vero grande trend sul quale è necessario cercare di modellare le nostre città.
Non fisse, statiche, bloccate dalle normative e dalla pianificazione a tavolino, ma dinamiche e sperimentali, in un work-in-progress continuo, a maggior ragione in un momento come questo attuale, in cui sono visibili ovunque i segni di degrado e inefficienza, dove ormai è assente la manutenzione ordinaria e straordinaria di strade, parchi, piazze, in generale di tutti gli spazi pubblici.
Quelle raccontate dall’esposizione del Guggenheim sono tendenze e tematiche che provano come le città non siano solamente un concentrato di palazzi, di strade e infrastrutture, ma soprattutto un insieme di persone che sono (o dovrebbe essere) al centro dello spazio e che, interagendo tra loro, possono contribuire a renderlo più vivibile.
Sarebbe bello che un progetto di così ampio respiro potesse passare anche per il nostro paese che ha sicuramente bisogno di stimoli per avviare un nuovo modo di rapportarsi al paesaggio urbano. Un modo caratterizzato da un forte impegno comunitario, che non sembra essere ancora parte del nostro patrimonio culturale.