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Gabriele Polo
Mercenari del Bene
6 Aprile 2006
Articoli del 2005
Davvero fragile una democrazia che non è mai riuscita a ripulire le sentine della macchina del potere. Da il manifesto del 2 luglio 2005. Con una postilla iconografica

Sembra un remake di Vogliamo i colonnelli di Monicelli, e si sa che i rifacimenti - in genere - sono peggiori degli originali. Ma Gaetano Saya non è il protagonista di un film malriuscito, semmai l'interprete di una storia italiana in cui farsa e tragedia hanno confini incerti. Una storia in cui riappaiono - come spettri un po' sbiaditi - tracce di patrie vicende di un'era che fu ma che non passa mai. Il neofascismo stragista, i «boia chi molla» di Ciccio Franco, la massoneria della Loggia P2 di Licio Gelli, la Gladio di Cossiga, i servizi deviati del generale Santovito: tutto rivendicato palesemente in un sito internet dall'uomo che, creando un fantomatico Dipartimento di studi strategici antiterrorismo, si presenta come sodale del presidente americano, perché «il male sceso tra noi trova in uomini come George Bush in America e Gaetano Saya in Italia un baluardo inespugnabile. Uomini timorati di Dio, uomini duri e puri che illuminati per volontà Divina, sono scesi nella valle oscura della morte per difendere la Fede Giudeo Cristiana e l'Occidente. Il bene che questi uomini rappresentano sconfiggerà l'Anticristo». Chissà che ne penserà l'inconsapevole Bush. Se questi sono i toni, sembra proprio una farsa. Ma il guaio è che nessuno sa cosa in realtà abbia fatto - soprattutto cosa avrebbe potuto fare - quel fantomatico Dssa, una sigla che, non fosse stato per l'inchiesta in corso, sarebbe passata inosservata, uno dei tanti «organismi» nati - spesso a puro scopo di lucro - sull'onda dell'emergenza antiterrorismo, spesso sulle ceneri dei loro omologhi dell'era della guerra fredda. Ed è proprio qui che la farsa dell'uomo in uniforme massonica incrocia la tragedia dei nostri tempi, di una paura biblica in salsa italiana che trasformando il terrorismo in un grande affare, millantando contatti internazionali e cercando appalti militari globali, genera piccoli mostri e la pericolosa parodia di una servizio parallelo che adesca poliziotti, recluta adepti, pedina sospetti, distribuisce informazioni difficilmente verificabili. E il pericolo non sta tanto in un improbabile quadro eversivo per le istituzioni della Repubblica, quanto in una reale pratica di guerra che non cercando più alcuna legittimità internazionale si avvale di qualunque strumento, persino di combattenti privati. Non è una minaccia per le forme della democrazia, lo è per la sua sostanza.

A preoccupare non sono tanto le azioni di Saya e dei pari suoi, quanto la deflagrazione della grande guerra epocale del bene contro il male in tanti affari privati: legittimati dall'imperativo di difendere l'Occidente minacciato e dalla violazione del diritto internazionale tanti piccoli Saya in tutto il mondo possono sentirsi autorizzati a fare qualunque cosa, a considerarsi giustizieri divini, a moltiplicare Guantanamo e Abu Ghraib. Anche nelle farse più ridicole si fa presto a passare dalla vigilanza sull'«obiettivo» all'eliminazione dello stesso. Magari facendoci pure i soldi sopra.

Al di là della portata reale di ciò che ha fatto o avrebbe potuto fare il cosidetto «servizio parallelo» di Saya, il Dssa è il sintomo di una malattia, dello svaporare di regole e limiti, della perdita di relazione tra intendimenti e fatti. Lo sfondo che permette all'ambasciatore americano Sembler di affermare che il sequestro dell'Imam di Milano a opera della Cia dimostra il «rispetto pieno e totale» della sovranità nazionale italiana. Difficile stabilire, anche in questo caso, il confine tra farsa e tragedia.

L'immagine è ripresa dal sito www.amnistia,net. L'analogia tra i simboli della Desta Nazionale (la formazione di Saya e Sindoca) e la CIA era stata rilevata da un articolo del 7 novembredella rivista Enquètes difficiles, dedicato a "un nuovo partito italiano che si ispira alla CIA"

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