Marco Travaglio ha dedicato ben tre editoriali del Fatto, quasi consecutivi, alla difesa della politica del governo in tema di migranti (porti chiusi); il terzo, scritto insieme a Stefano Feltri. Le molte inesattezze e illazioni che costellano questi testi sono già state segnalate e confutate da numerosi articoli. Cito per tutti: Che c’è di vero nell’articolo di Marco Travaglio sulle ong di Annalisa Camilli su Internazionale.
Qui cercherò invece di mostrare come si sviluppa il pensiero di Travaglio – e di quanti lo condividono – per portarlo a sostenere politiche micidiali in campo migratorio come quelle in atto da tempo.
Scelta o racket?
Il principio informatore di tutto il suo discorso – che è quello di tutti i governi europei – è questo: la lotta in corso non è contro i migranti ma contro “i trafficanti di esseri umani. Quelli che prelevano i disperati nei villaggi dell’Africa nera (sic! Nera perché? Per il colore della pelle o per le tenebre che ne avvolgono le culture e le società?) e subsahariana, spesso convincendoli a partire con false promesse, li maltrattano durante il viaggio nel deserto, li depredano dei pochi averi o addirittura li costringono a indebitare le proprie famiglie e gli scafisti che rilevano le carovane in Libia per organizzare le traversate…dopo aver spogliato i migranti degli ultimi spiccioli”. “Parliamo – aggiunge Travaglio – di organizzazioni malavitose gigantesche, potentissime, ricchissime e attrezzatissime, che fanno, disfanno e ricattano i governi locali, dispongono di milizie armate…Sono loro i responsabili del traffico, degli imbarchi e dei naufragi”.
Qui Travaglio evita di dire tre cose. Primo: che se si esclude la tratta delle donne destinate alla prostituzione, spesso schiavizzate già alla partenza, quel termine, “prelevano”, tratta i migranti come burattini e ne sopprime completamente la libera scelta. Ma si tratta di persone dotate di una propria capacità di decidere, anche se spesso mal informate dei rischi a cui vanno incontro mettendosi in viaggi; ma non sempre, perché in qualche modo hanno ormai quasi tutte accesso a internet. Se scelgono di affrontare quei rischi – certamente sperando che a loro vada meglio – è perché considerano peggiore, per loro e per le loro famiglie e le loro comunità (che spesso ne finanziano il viaggio, aspettandosene un ritorno sul lungo periodo) la prospettiva di restare. Certo non vengono “prelevati” coloro che scappano da una guerra o da un conflitto armato; ed è comprovato che molti giovani relegati in un villaggio sperduto o in un ghetto urbano, ma comunque inseriti nel villaggio globale di internet, vivono con frenesia il desiderio di allontanarsene.
Chi fa esistere i trafficanti?
Secondo: che con un decimo di quello che spendono in un viaggio spesso mortale quei migranti potrebbero arrivare in Europa in aereo, se la cosa fosse loro permessa; e anche fare ritorno, se non trovano quello che cercavano – o dopo pochi o molti anni, se lo hanno trovato – sempreché quelle comunità, in cui la maggioranza dei migranti odierni (non parlo dei profughi di guerra in senso stretto) lasciano donne e famiglie a prendersi cura di quel che resta, non siano nel frattempo scomparse. In queste condizioni i trafficanti di uomini, i loro profitti, il loro potere, scomparirebbero d’incanto, come insegna la storia di ogni altra forma di proibizionismo. Il timore di Travaglio e di chi la pensa come lui è ovviamente che l’intera Africa, e magari tutto il Bangladesh o l’Afghanistan, si riversino da un giorno all’altro in Europa. Su questo punto tornerò, ma è noto che la maggior parte dei profughi, sia di guerra che ambientali, si fermano in paesi o territori vicini a quelli da cui sono fuggiti, e che a puntare sull’Europa è solo una ristretta minoranza. E se poi venissero istituite delle quote annuali, molti di quelli decisi a partire, prima di affrontare un viaggio così pericoloso, sarebbero probabilmente disposti ad aspettare un secondo o un terzo turno. D’altronde fino al 2008, prima della stretta economica chiamata austerità, arrivava in Europa almeno un milione e mezzo di “migranti economici” all’anno, ed erano i benvenuti, anche se poi venivano per lo più relegati ai margini della società; e anche ora governi di paesi che rifiutano migranti – “neri”, per usare la lingua di Travaglio – da Africa ed Asia, come Cechia e Ungheria, stanno programmando l’arrivo di diverse centinaia di migliaia di nuovi lavoratori stranieri dall’Est europeo, purché “bianchi” e “cristiani”. E’ una situazione in cui tutta l’Europa si troverà di qui a qualche anno (e in parte si trova già adesso) per motivi demografici.
Chi governa in quei paesi?
Terzo: che quei trafficanti pieni di soldi sottratti a comunità tra le più povere del mondo sono tanto potenti, come spiega Travaglio, da “fare, disfare e ricattare i governi locali”. Ma questi sono proprio i governi a cui l’Europa vorrebbe affidare il compito di combatterli e di fermarli. Il risultato di queste politiche lo vediamo già oggi con chiarezza in Libia: quelli che con la divisa della guardia costiera e le navi fornite dall’Italia riportano a terra i profughi dei gommoni che riescono a catturare sono gli stessi che, sotto forma di milizie armate, li reimbarcano dopo qualche mese, dopo averli imprigionati, affamati, massacrati e torturati per estorcere alle loro famiglie nuovo denaro. Perché sono loro a tenere sotto ricatto il governo libico, che non ha alcuna autonomia nei loro confronti. E sono loro, le organizzazioni criminali a cui noi permettiamo di arricchirsi in questo modo, che già oggi possono tenere sotto ricatto anche i governi dell’Italia o degli altri paesi europei rivieraschi, meta obbligata degli sbarchi che loro stessi organizzano. Come già sta facendo il governo turco, a cui l’Unione europea “perdona” tutto, senza nemmeno protestare, per paura che apra le dighe e riversi, prima sulla Grecia, poi sui Balcani, e poi in tutta Europa, i tre milioni di profughi che tiene in ostaggio con il beneplacito dell’Unione Europea.
Travaglio ha poi un’idea singolare della sovranità territoriale. Dopo averci informato che il naufragio del 2 luglio scorso, che ha registrato 114 dispersi, “è avvenuto a 6 km dalla costa, cioè dentro le acque territoriali della Libia, dove le navi delle Ong non sono mai potute entrare”, aggiunge che “se lo hanno fatto hanno violato il diritto internazionale”. Il che è falso: di fronte a un naufragio, su cui evidentemente la guardia costiera libica non ha saputo o non ha voluto intervenire, anche l’ingresso in acque territoriali straniere non solo è legittimo, ma anche doveroso. Ovviamente, se la gestione è stata assunta da un ente nazionale di coordinamento, questo dovrà chiederne l’autorizzazione. Per Travaglio invece quelle acque sono inviolabili, al punto da considerare inevitabile – “purtroppo esistono anche le tragedie inevitabili” – un naufragio sotto costa a cui nessuno dovrebbe prestare soccorso per non violare la territorialità delle acque. Farlo sarebbe un sopruso, tanto che Travaglio ne ricava un commento come questo: “O vogliamo ritornare alle colonie e ai protettorati di ‘Tripoli bel suol d’amore?’”. Qui c’è la completa inversione delle parti che rivela il modus operandi – per usare un’altra espressione a lui cara – di tutto il ragionamento. Quelli che vanno a salvare, anche a rischio della loro vita (le navi di alcune Ong sono state prese a mitragliate dalla guardia costiera libica), persone altrimenti destinate a morte certa sarebbero i nuovi colonialisti. Mentre governi, come quello italiano, che hanno trasformato in propri ascari le bande di trafficanti che controllano il finto governo di Al Serraj e le “sue” guardie costiere non avrebbero niente a che fare con una pratica vecchia e sperimentata propria dell’epoca coloniale.
Ma la questione del controllo delle acque è molto più generale: Travaglio evita accuratamente di chiedersi che interesse può avere un governo come quello di Al Serraj, che non controlla che una minima porzione del suo territorio, se mai lo controlla veramente, a rivendicare il diritto esclusivo di intervenire in una zona sar(ricerca e salvataggio) di sua competenza, che si estende ben al di là della porzione di coste su cui pretende di governare; e senza avere i mezzi per farlo, tanto da appoggiarsi interamente sugli strumenti e le indicazioni messi a disposizione dalla Guardia costiera italiana. Riportando poi in Libia quei naufraghi “salvati”, o meglio, catturati, ad aggiungersi ai 700mila o al milione migranti che già vi sono intrappolati, sottoposti a ogni sorta di maltrattamenti. Si tratta – e Travaglio lo sa, ma non lo dice – di una forma mascherata di respingimento, pratica vietata dalla convenzione di Ginevra, che il governo libico si presta a realizzare per conto dell’Italia in cambio di finanziamenti di cui non è dato di conoscere né l’entità né la destinazione. Se non è colonialismo questo…
Ma Travaglio confonde facilmente le acque territoriali della Libia con quelle della sua presunta zona sar: “fermo restando – scrive – che tutte le navi (Ong incluse) che trovano profughi su barconi li possono e anzi li devono salvare e tutte le navi militari (in missione per l’UE o per l’Italia) che contrastano i trafficanti salvano pure i migranti nelle acque di rispettiva competenza (dunque non in quelle libiche)”. Dunque, la zona sar della Libia viene tout court assimilata alle acque libiche, dove le navi non libiche non devono intervenire, perché “non di loro competenza”.
E veniamo ora alla questione centrale: pull o push? Le Ong, sostiene Travaglio, contraddicendo persino i principali esponenti, attuali e passati, della Guardia costiera italiana, sono un potente fattore di attrazione che induce i trafficanti a usare gommoni invece di barconi, contando che qualcuno – le Ong – vengano a raccoglierne il “carico umano” al limite delle acque territoriali libiche che i gommoni non sono in grado di oltrepassare di molto. Ma senza Ong il fattore di attrazione, se c’è, non viene certo meno, tanto è vero che non appena sparite le loro navi, abbiamo visto ricomparire i barconi, che certo costano di più (sono anch’essi mezzi a perdere destinati alla distruzione), ma trasportano in un viaggio solo da quattro a sette-ottocento profughi, tanto che affondando ne portano a morire da tre a cinque volte di più di un singolo gommone. D’altra parte si è visto che i gommoni non sono affatto scomparsi. Arrivano fino a 80 miglia dalla costa, invece delle 12 di prima, e magari anche oltre prima di entrare in panne. E nessuno saprà mai quanti ne sono già affondati, e con quante persone a bordo, perchè è stato imposto di non segnalarne la presenza.
Per avvalorare la tesi pull, fattore di attrazione delle Ong, Travaglio si inventa una partenza sincronizzata tra navi delle Ong e imbarcazioni degli scafisti: “Navi di Ong salpavano all’improvviso dai porti europei (soprattutto italiani) e facevano rotta verso un punto X in simultanea, o addirittura in anticipo sulla partenza di un barcone carico di migranti dalla costa libica che, guarda caso, puntava diritto verso X”. Certamente le navi delle Ong sono più veloci dei gommoni degli scafisti, ma l’idea che partendo dall’Italia le une e dalla Libia gli altri, entrambi raggiungano simultaneamente i limiti delle acque territoriali libiche, il famoso punto X, è pura fantasia; che Travaglio sostiene confermata da intercettazioni, rilievi satellitari e filmati “che tutti possono vedere”, perché sono in mano alla Procura di Catania, che peraltro non ha ancora concluso le sue indagini. E così arriva a sostenere che Annalisa Camilli, la sua critica, “si arrampica sugli specchi”, perché cita una ricerca del gruppo di geografia forense della Goldsmiths Institute che dimostra esattamente il contrario; mentre quella che non è altro che la personale interpretazione che Travaglio dà del materiale acquisito dalla Procura di Catania – che avrebbe “acclarato”, anche se non “accertato” (sic!) le responsabilità delle Ong – sarebbero fatti, “più forti di qualunque gruppo di oceanografia”. Per questo quelli effettuati dalle Ong non sono salvataggi, bensì “consegne”. E per documentarlo Travaglio non trova di meglio che chiamare a testimoniare l’odiato quotidiano Repubblica, ben sapendo che è stato anch’esso un indefesso difensore delle politiche del ministro Minniti: quello che non ha fatto che aprire la strada a quelle di Salvini, che Travaglio esecra, cioè del governo Conte, che Travaglio sostiene invece con tutte le sue forze.
In realtà l’unica vera sincronizzazione di cui si ha notizia è quella che il 24 giugno scorso, ha preceduto, la visita di Salvini in Libia: circa mille migranti partiti tutti insieme dallo stesso punto della costa e alla stessa ora su una decina di gommoni – fatto mai prima verificatosi – in perfetto sincronismo con la partenza delle vedette libiche che li hanno prontamente intercettati. Una dimostrazione pubblica di efficienza, programmata a beneficio del nostro ministro degli interni, che è costata almeno 100 morti annegati, e che dimostra, questa sì, l’intesa perfetta tra trafficanti e Guardia costiera libica: un evento su cui nessuno, dopo la denuncia del comandante di Open Arms Oscar Camps, ha più voluto indagare.
Ma la questione fondamentale su cui i sostenitori del fattore pull soprassiedono è la presenza del fattore push. Perché mai i migranti, quando vedono una vedetta della guardia costiera libica, si buttano in mare e preferiscono annegare piuttosto che venir “salvati”? Che cosa li spinge a fuggire e a non voler ritornare in Libia, costi quel che costi? Perché sanno benissimo che una volta “salvati” ritorneranno in mano a chi li ha massacrati, violate, torturati, venduti come schiavi, rapinato loro e le loro famiglie per mesi e a volte per anni: cioè in quei porti che Salvini vorrebbe venissero dichiarati “sicuri”. Nessuno di loro vuole tornare in quell’inferno; e il fatto stesso di venire dalla Libia fa di ognuno di loro un profugo meritevole di protezione internazionale, qualsiasi sia il suo paese di origine. Così, di fronte alla drastica riduzione del numero degli sbarchi nessuno, e meno che mai Travaglio, si è chiesto o si chiede che cosa ne sia di coloro che non arrivano più, che non partono più, o che vengono intercettati, catturati e riportati dalla guardia costiera libica là da dove stavano fuggendo. Ma è chiaro che in queste condizione quello che gioca è indubitabilmente il fattore push…
Travaglio sostiene inoltre che andando a raccogliere il loro “carico umano” a ridosso delle acque territoriali libiche (il che peraltro non sempre è vero) le Ong proteggono di fatto gli scafisti da un possibile arresto, impedendo di fatto alle Procure italiane, come ha denunciato il procuratore di Catania Zuccaro, di portare avanti le loro indagini che, come è noto, languono. Ma è noto che gli scafisti non salgono né sui gommoni né sui barconi, alla cui guida mettono sempre qualche migrante a cui fanno lo sconto e che magari non ha mai visto il mare prima, tanto che la maggior parte delle persone arrestate come scafisti sono in realtà dei disperati che non hanno nemmeno i soldi per pagarsi il viaggio. Se le indagini devono partire da loro invece che da chi sta al vertice della cupola dove trafficanti e uomini del governo libico si incontrano – e va riconosciuto che l’impresa è tutt’altro che facile – difficilmente si arriverà mai a mettere le mani su qualche organizzazione di trafficanti.
Meglio allora prendersela con le Ong. Mettendole fuori gioco, molte più vite che si potevano salvare andranno perdute, ma si ridurranno anche gli sbarchi. Meno sbarchi; anzi, meno partenze, meno morti, dice Salvini, e con lui Travaglio. In termini relativi, rispetto cioè a quelli che partono, è vero il contrario: i morti sono molti di più; in numero assoluto, rispetto a quando le partenze erano dell’85 per cento di più, è certamente vero. Ma, ancora una volta, che ne è di quelli che non sono partiti o che vengono riacciuffati dalla guardia costiera libica? Si stima che i morti durante il viaggio di terra, che comprende per lo più una lunga permanenza in Libia, siano almeno il doppio di quelli periti in mare, che sono ormai – quelli accertati – più di 35mila. E quanti di quei 70mila sono morti in Libia, là dove li vuole ricacciare la politica italiana ed europea dei respingimenti mascherati?
Per questa strada Travaglio approda disinvoltamente a rivalutare la politica di Berlusconi che aveva stretto con Tripoli un patto che equivaleva a un vero e proprio respingimento, e per il quale l’Italia ha già subito una condanna dalla CEDU, relativamente a un singolo episodio. Quel patto, secondo Travaglio, “era vergognoso col tiranno Gheddafi, ma potrebbe essere proficuo col governo al-Serraj”; cioè, quello che era vergognoso con Berlusconi potrebbe essere proficuo con Conte…; anche se quello che veniva fatto ai migranti sotto Gheddafi impallidisce di fronte a quello che viene permesso, ma anche promosso e finanziato, sotto il governo Al Serraj.
Non resta che affrontare l’argomento principe di tutti i nemici dei migranti, che Travaglio riassume così: “L’Italia non può accogliere 700mila o un milione di nuovi migranti, e nemmeno un quinto di essi, pena conseguenze sociali e politiche che potrebbero addirittura farci rimpiangere Salvini”. L’Italia forse no, ma l’Europa sicuramente sì, se invece di accanirsi sulla protezione dei confini esterni ci si impegnasse finalmente a legare il futuro e l’esistenza stessa dell’Unione Europea all’abbattimento delle barriere interne, quelle tra Stato e Stato, con un permesso di soggiorno europeo. Ma va anche ricordato che tra la fine del secolo scorso e il 2008 l’Italia ha accolto, e di fatto regolarizzato con una sfilza di sanatorie, molte delle quali decise dal partito di Salvini, allora al governo, quasi cinque milioni di migranti, in alcuni periodi al ritmo di 300mila all’anno. Poi è cambiata, in Italia e in Europa, la politica economica, avvitandosi sempre di più in misure di austerità le cui conseguenze si vedono, ben prima che sulla stretta sui migranti, sul peggioramento delle condizioni di vita di tutti coloro che non vivono sullo sfruttamento di altri.
Così chi oggi riesce a raggiungere l’Italia per arrivare in Europa trova ad accoglierlo un sistema che lo stesso Travaglio non esita a deplorare: è “il destino di quei disperati tra le gabbie dei Cie, le grinfie dei ladroni della solidarietà (finta) che intascano 35 euro a migrante in cambio da pasti da fame, le spire della criminalità più o meno organizzata e le zanne dei nuovi schiavisti tipo Rosarno” (dove ci sono peraltro anche aziende che rispettano i diritti di chi lavora per, e con, loro). Sembra che quel trattamento sia un destino ineludibile, mentre è una politica cinica, stupida e spietata, che non basta comunque a scoraggiare gli arrivi, ma che concorre a spaventare la gente, a far odiare o disprezzare i migranti, a impedire il loro inserimento sociale, a cacciare per strada coloro a cui non viene concesso alcuna forma di protezione – internazionale, sussidiaria o umanitaria – a trasformare la nostra agricoltura in tanti Lager, a fornire manodopera alla criminalità organizzata e carne umana allo sfruttamento della prostituzione. Ma, soprattutto, a impedire a chi è già arrivato di fare ritorno o di fare visita alle comunità e ai territori che ha lasciato, perché una volta usciti dall’Italia non vi si rientra più. Così si trasforma in una condanna a vita alla marginalità e alla “clandestinità” quello che potrebbe essere un legame tra paesi, comunità e culture diverse; e si riduce alla disperazione una umanità che potrebbe invece essere enormemente valorizzata, perché coloro che affrontano un viaggio rischioso come quello a cui devono sottoporsi i migranti di oggi sono la parte migliore, più intraprendente e spesso anche più istruita di quello che un paese dell’Africa o del Medioriente può offrire e che un paese dell’Europa può sperare di accogliere. Se fosse più umano…