Ecco un'altra delle mille trappole di cui è piena la nuova legge urbanistica dell'Emilia-Romagna. La chiamano semplificazione ma è una liberalizzazione le cui finalità sono ben altre. 18 luglio 2017 (p.d.)
Qualche giorno fa in Emilia-Romagna è entrata in vigore la legge regionale 12/2017, che ha modificato le due leggi regionali regolatrici del controllo edilizio. Fra le sue numerose infelici innovazioni ce n’è una di particolare empietà: il restauro scientifico e il restauro e risanamento conservativo vengono classificati come attività edilizia libera e assoggettati a semplice comunicazione di inizio dei lavori asseverata (CILA), quando non modifichino le destinazioni d'uso, e non riguardino le parti strutturali. Altrimenti rimangono soggetti a segnalazione certificata di inizio attività (SCIA).
É il caso di ricordare che la CILA non è un titolo abilitativo di interventi edilizi: è una modalità prescritta per alcuni casi di attività edilizia libera che apportano modificazioni allo stato di fatto che vanno registrate a futura memoria: recinzioni, demolizioni, modifiche interne, modifiche dell’uso... Restauro scientifico e restauro e risanamento conservativo vengono quindi accomunati per importanza all’allargamento di un bagno o alla conversione di un laboratorio in magazzino.
Perché farne scandalo? Fino ad ora il restauro è rimasto (disgraziatamente) assoggettato a SCIA, e anche con questa è il progettista ad attestare conformità e bontà del suo progetto. Per gli interventi su costruzioni classificate di valore storico-architettonico, culturale e testimoniale dai piani urbanistici, si tratti di CILA o di SCIA, è comunque obbligatorio il parere della Commissione per la qualità architettonica e il paesaggio, e in entrambi i casi i lavori possono avere immediato inizio. In fin dei conti non sembra esserci una gran differenza. E invece la differenza c’è, eccome: riguarda le sanzioni in caso di violazioni, che il dis-ordinamento nazionale e regionale del controllo edilizio differenzia secondo le opere eseguite siano soggette a permesso di costruire o a SCIA. In un intrico di disposizioni confuse e contraddittorie le violazioni di carattere qualitativo, quali rilevano per gli immobili con vincolo urbanistico a restauro, ricadono fra gli interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla SCIA, e come tali sanzionate, anche se con troppa clemenza.
Ma la CILA non trova posto in questi dispositivi: secondo la norma nazionale la sua mancata presentazione comporta una sanzione di mille euro, ridotta di due terzi se la comunicazione è effettuata in ritardo. Con molto dubbia legittimità la legge regionale ha introdotto di sua iniziativa una sanzione amministrativa per interventi di edilizia libera difformi dalla disciplina dell'attività edilizia, come alternativa al ripristino. Sanzione irrilevante, perché commisurata all’incremento di valore apportato dall’abuso: selvagge devastazioni nell’ambito di quello che avrebbe dovuto essere un intervento di restauro sarebbero soggette a una sanzione di mille euro, se non ne vengono accresciute le superfici vendibili. In alternativa il colpevole sarebbe tenuto al solo ripristino, cioè esattamente a quanto si era proposto per sveltire ed economizzare i lavori, senza sanzioni di sorta.
A confortare la degradazione del restauro scientifico e del restauro e risanamento conservativo al rango di una recinzione o di una serra è stato certamente lo stupefacente groviglio del decreto Madia di dicembre. La Regione ha però ampia autonomia in proposito, conferita dall’articolo 22 del testo unico dell’edilizia, che le consentirebbe di assoggettare gli interventi di restauro a permesso di costruire, come sarebbe giusto e logico. Giusto, perché la natura qualitativa delle valutazioni di un progetto di restauro non ammette certo che sia l’autore stesso ad effettuarle, logico perché i vantaggi di celerità del procedimento della SCIA rispetto a quello del permesso di costruire sono sostanzialmente annullati dall’indispensabile passaggio in Commissione per la qualità architettonica e il paesaggio e dagli adempimenti in materia di onerosità e sicurezza. Ma, all’opposto di quanto sarebbe giusto e logico, la Regione ha voluto assoggettare il restauro scientifico e il restauro e risanamento conservativo a CILA.
Contemporaneamente la medesima legge, per minuscoli motivi ben altrimenti solubili, ha allargato in modo spropositato la nozione di tolleranze costruttive, includendovi la diversa collocazione di impianti e opere interne e le modifiche alle finiture degli edifici. Ne sono esempi, non esaustivi, la mancata realizzazione di elementi architettonici non strutturali, la difforme ubicazione delle aperture interne, la difforme esecuzione di opere rientranti nella nozione di manutenzione ordinaria, nonché (clamoroso) gli errori progettuali corretti in cantiere e gli errori materiali di rappresentazione progettuale delle opere. L’eseguito può essere quindi anche sostanzialmente diverso dal progettato, senza nemmeno l’obbligo di regolarizzare gli scostamenti con una SCIA di variante a fine lavori. Non si comprende perché far perdere alla Commissione per la qualità architettonica e il paesaggio nella valutazione di progetti che poi possono essere arbitrariamente alterati nel corso dei lavori.
In realtà tutta la materia del controllo edilizio, già inadeguata dall’origine, ha subito negli anni un drammatico dissesto, come effetto del connubio fra sconsiderate semplificazioni e primazia curialesca, estranee alle finalità della disciplina del territorio e ai modi della sua concreta applicazione, quando non sprezzanti. La cultura urbanistica, anche la migliore, ha colpevolmente trascurato le questioni dell’ordinamento e della efficacia dei sistemi di regole indispensabili a un buon governo delle trasformazioni del territorio, soprattutto ove riguardano il territorio urbanizzato e il patrimonio edilizio esistente. Amici e colleghi, bisogna rimboccarsi le maniche.