loader
menu
© 2024 Eddyburg
Eugenio Scalfari
Ma oltre l'emergenza incombe il futuro
12 Aprile 2009
Articoli del 2009
Lo sfascio del Belpaese che Cederna aveva descritto oltre trent’anni fa avanza intorno e dentro di noi. Da la Repubblica , 12 aprile 2009 (m.p.g.)

Lacrime lacrime lacrime. Composte, represse, trattenute, a volte singhiozzanti, a volte silenziose in lunga riga sulle guance da occhi che fissano il vuoto. Ma ora, in questa Pasqua dolente, non è più tempo di lacrime che non siano strettamente private. Ora è tempo di decisioni rapide e sagge e di pubbliche assunzioni di responsabilità.

Siamo un paese capace di mobilitarsi e di dare il meglio di sé nell’emergenza, sedendosi poi su se stesso nei tempi lunghi. Accade addirittura che lo sguardo lungo verso il futuro si addica di più alle famiglie che al potere pubblico e alle istituzioni. Dovrebbe avvenire il contrario ma non è così, non in Italia.

Prendete il piano casa voluto dal governo. Al principio fu una proposta avventurosa di Berlusconi per rilanciare l’industria delle costruzioni: il 20 per cento di cubatura in più concessa a tutti i proprietari di case, in città, nei centri storici, nelle campagne. Le sovrintendenze costrette al silenzio-assenso con trenta giorni di tempo per opporsi. I privati autorizzati a iniziare i lavori con la semplice autocertificazione firmata dal professionista incaricato di dirigere i lavori. E sgravi fiscali per tutti.

Poi le Regioni bloccarono il progetto, lo ridimensionarono escludendo le città e le aree vincolate al rispetto paesaggistico, introdussero vincoli speciali per le zone a rischio sismico.

Adesso, dopo il terremoto d’Abruzzo, quel piano è da buttare. L’emergenza ha riproposto il problema delle scuole fatiscenti (San Giuliano di Puglia insegni) e dei rischi naturali. Non siamo soltanto la terra ballerina dei terremoti, ma anche la terra dei torrenti e dei fiumi senza argini, secchi d’estate e devastanti d´inverno; la terra dei vulcani non spenti; la terra delle montagne franose; lo "sfasciume pendulo" che incombe sulle sottostanti marine.

Un piano casa deve dunque includere la messa in sicurezza di tutti gli edifici scolastici, la messa in sicurezza di tutte le costruzioni nelle aree di rischio sismico seguendo le priorità già indicate nelle mappe del 1996; la ricostruzione degli edifici abbattuti e lesionati dal terremoto in Abruzzo. Infine la costruzione di case nuove nei limiti indicati dal mercato per abitazioni dignitosamente economiche. E criteri di rigorose demolizioni per le abitazioni e gli edifici industriali eretti lungo i fiumi, i torrenti e i vulcani a rischio di esondazione e di eruzione.

C’è un lavoro enorme da fare, che non riguarda il bravissimo Bertolaso che di lavori ne fa già troppi, non riguarda l’emergenza di poche settimane e di pochi mesi, ma un arco di anni e impegni di bilancio di grandi dimensioni. Riguarda il tempo lungo che le nostre classi dirigenti non hanno mai preso in considerazione, assorbito soltanto dal fare con ritorni politici ed elettorali immediati, lasciando che le antiche piaghe geofisiche del "Bel Paese" imputridissero e incancrenissero, provocando emergenza dopo emergenza, strage dopo strage e lutti e rovine e lacrime.

Ricordiamole quelle catastrofi avvenute che hanno costellato la storia nazionale nel dopoguerra (senza scordare il terremoto-maremoto che distrusse Messina e lo Stretto ai primi del secolo scorso provocando una strage di proporzioni inusitate).

Il primo fu l’alluvione del Polesine. Poi l’immensa e paurosa ondata del Vajont. Il terremoto del Belice. L’esondazione dell’Arno che sommerse Firenze mentre un’acqua alta eccezionale sommergeva Venezia. Poi il terremoto dell’Irpinia. Quello del Friuli. La catastrofe in Valtellina. L’esondazione della Dora e degli affluenti del Po. Il terremoto in Umbria e nelle Marche. L’ondata di fango che devastò la valle del Sarno. Ed ora l’Abruzzo.

Sessant’anni di rovine, lutti, tendopoli, roulotte, prefabbricati, cucine da campo, Forze dell’ordine e Forze armate mobilitate, pompieri e vigili, ordinanze, editti, processi, mafie e camorre all’opera per trarre vantaggi.

E lacrime lacrime lacrime. Di emergenza in emergenza. Ma tra l’una e l’altra liberi tutti. Liberi di costruire sul bordo dei fiumi e dei vulcani. Liberi di impastare il cemento con la sabbia del mare. Liberi di lesinare sulle armature di ferro. Liberi di scempiare il paesaggio. Liberi di violare i piani regolatori. Un popolo di eroi, di navigatori e di abusivi. Sempre condonati. Spesso incitati ad abusare. Come accade quando il fare diventa un fine a se stesso e sgomita per farsi largo, egoismo che lotta con altri egoismi.

Sono queste le invasioni barbariche del nostro tempo, in testa alle quali ha cavalcato e cavalca gran parte della classe dirigente di ieri e di oggi. Anche di domani?

Il terremoto d’Abruzzo, pur col suo carico terribile di vittime, ha registrato un numero di morti e di feriti minore di quelli che l´hanno preceduto. Ma con alcune particolarità che aggravano molto le incognite della ricostruzione.

La principale di queste particolarità riguarda l’Università, una delle più antiche d’Italia, concentrata sulla facoltà di Ingegneria, frequentata complessivamente da trentamila studenti molti dei quali provenienti da paesi e luoghi lontani. È improbabile che questi studenti "foranei" tornino a L’Aquila anche quando la città sarà stata ricostruita. I rischi sono troppi. Ma lo smantellamento del polo universitario sarebbe (sarà) un’altra catastrofe nella catastrofe della città. La popolazione universitaria produce infatti un indotto di traffico e di servizi che è il vero motore propulsivo dell’economia cittadina.

Un discorso analogo, anche se in misura più ridotta, vale per le scuole elementari e secondarie, anch’esse a rischio di spopolamento e intanto di lunga interruzione. Bisognerà organizzare un anno scolastico d’emergenza cercando in tutti i modi di preservare l’unità delle classi e dei loro insegnanti.

La terza questione riguarda i modi della ricostruzione e innanzitutto la scelta del luogo: una nuova città lontana dall’attuale insediamento oppure ricostruire negli stessi luoghi e nelle stesse forme architettoniche badando ovviamente ad una rigorosa vigilanza sulla progettazione tecnica e sulla qualità dei materiali?

La maggior parte degli esperti propende per questa seconda soluzione ma c’è ancora discordanza. Forse dovrebbero essere gli abitanti a decidere.

Quale che sia la scelta occorre far presto: il clima in Abruzzo è rigido, ad ottobre l’inverno è già cominciato. Trascorrerlo sotto le tende è impensabile, tanto più che abbondano le persone anziane. Ma è impensabile anche disperderli e non si tratta soltanto del capoluogo: il sisma ancora parzialmente in corso ha sconvolto gran parte dell’Abruzzo, sicché è un’intera regione con caratteristiche alpine che si accinge a passare un inverno assai disagiato.

Da questo punto di vista l’emergenza è massima e la sua durata non sarà certo minore dei diciotto mesi. Una regione intera. Non è pensabile che ci si affidi all’improvvisazione: governo e protezione civile dovranno presentare un piano ed una tempistica attuativa al Parlamento e indicando insieme con essa l’ammontare dei fondi necessari e la loro copertura.

La Cassa depositi e prestiti potrà fornire un appoggio che in parte rientra nelle sue competenze istituzionali. Si tratta tuttavia di investimenti infrastrutturali (ospedale, palazzi di città, scuole e Università) che riguardano istituzioni e pubblici servizi in capo alla Regione, ai Comuni e allo Stato. Per la Cassa si tratta comunque di prestiti che dovranno esser rimborsati e che richiedono quindi copertura.

Con i tempi che corrono questa partita è molto difficoltosa. Se non ci fosse di mezzo l’orgoglio di Berlusconi, il provvedimento più logico riguarderebbe la reintroduzione dell’Ici sulle prime case che frutterebbe all’Erario un maggior gettito di 3 o 4 miliardi. Ad essi si potrebbe aggiungere un "eccezionale" inasprimento dell’Irpef del 2 per cento per i redditi superiori a 120mila euro annui, il cui maggior gettito, stimato dai tecnici del Partito democratico che ha formulato la proposta, darebbe 2 miliardi. Sarebbe un’imposta di scopo motivata dal terremoto e quindi percepibile ed accettabile dai contribuenti chiamati a farvi fronte.

Infine l’accorpamento del referendum alle elezioni europee del 7 giugno, con un risparmio di 400 milioni.

Si tratta complessivamente di risorse che ammontano a circa 6 miliardi, per far fronte ad una ricostruzione "una tantum". È chiaro che ben altre cifre sono quelle che riguardano la messa in sicurezza delle scuole e delle costruzioni in zone a rischio di catastrofi naturali.

È stata notata da gran parte dell’opinione pubblica e sottolineata da giornali e televisioni la diversità di comportamento tra il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio di fronte al terremoto d’Abruzzo. Più composto e riservato Napolitano, più emotivamente impegnato nel dirigere e nel fare Berlusconi. Commossi ambedue e più volte presenti sui luoghi del disastro, Napolitano con appena un tremito della voce subito represso, Berlusconi con lacrime sincere e copiose. Infine il Capo dello Stato ha chiamato in causa le responsabilità di quanti hanno male progettato e male eseguito opere che – se le regole fossero state osservate – avrebbero dovuto reggere all’impatto del sisma ed ha stimolato la magistratura ad accertare eventuali reati.

Si potrebbe dire con una punta di ottimismo che i due maggiori rappresentanti delle nostre istituzioni hanno caratteri e culture molto diversi ma complementari che, presi nel loro insieme, danno luogo ad un tandem bene assortito.

Purtroppo questa punta di ottimismo è troppo… ottimistica. Il fare del presidente del Consiglio – l’abbiamo già detto in precedenza – si limita ad una veduta corta e si esaurisce nell’immediato, insegue ritorni politici ed elettorali a scadenza breve, è intriso di emotività e di populismo. La sua sincerità non è sufficiente a dar vita a processi produttivi di lunga lena e di scarsa redditività ai fini del consenso e della popolarità.

Quanto al presidente della Repubblica, non è suo compito proporre programmi politici né Napolitano è persona che voglia eludere le sue competenze istituzionali. Ha grande rispetto per i poteri del governo e per quelli del Parlamento. Incoraggia nei modi appropriati alla sua carica il guardare lungo, a darsi carico del futuro, insomma a guidare il paese come spetta ad una classe dirigente consapevole delle sue responsabilità. Più di questo non può fare, anche se è prezioso che lo stia facendo con tenacia e fermezza.

Il resto spetta a tutti gli altri settori che formano la classe dirigente: i rappresentanti degli imprenditori, i sindacati dei lavoratori, i partiti, gli ordini professionali, la magistratura, le Regioni e gli Enti locali. Ma spetta soprattutto ai cittadini.

I cittadini (l’ho già scritto in altre occasioni ma voglio qui ripeterlo) sembrano ormai presi da sentimenti di indifferenza e apatia che non sono consoni alla temperie che stiamo attraversando. Sono delusi ed hanno buone ragioni per esserlo, ma la delusione non ha alcuna logica connessione con l’apatia, specie quando una parte non piccola di essa riguarda anche il modo come abbiamo esercitato il nostro ruolo di cittadini e di popolo, come abbiamo vissuto il nostro diritto di cittadinanza.

È illusorio pensare che la classe dirigente possa esser migliore del popolo che la esprime. C’è un rapporto stretto tra questi due elementi di una democrazia funzionante e governante, tra la cittadinanza e la dirigenza. Se entrambe sono parte d’un circolo virtuoso si migliorano a vicenda, ma se entrambe fanno parte d´un circolo perverso, a vicenda si imbarbariscono.

In questa Pasqua dolorosa sia questo un pensiero sul quale impegnarsi e sul quale tutte le persone di buona volontà sappiano guardarsi negli occhi e stringersi la mano.

ARTICOLI CORRELATI

© 2024 Eddyburg