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Antonello Caporale
L'uomo che rifà i vecchi paesi
22 Maggio 2006
Articoli del 2005
Un intervento privato di recupero, da borghi abbandonati ad alberghi a cinque stelle. E l'ente pubblico? Pare sparito dalla scena, ma forse è solo per dimenticanza del giornalista, da Repubblica 27 marzo 2005 (f.b.)

S. STEFANO DI SESSANIO – L’uomo che compra i paesi è giovane, nemmeno quarant’anni. Biondo, il padre è svedese, la mamma milanese, ha il passo scapestrato e le voglie di un figlio di papà. Più che camminare è come se dondolasse, più che spiegare, domanda: “Cosa te ne sembra?”. Daniele Kihlgren iniziò nemmeno quattro anni fa a chiedersi come spendere i soldi di famiglia, come investirli, tenerli al riparo dalle sue mani e dalla sua testa votata alla speculazione filosofica più che al mercato immobiliare. Se lo chiedeva senza sapere cosa rispondersi.

Se lo chiedeva e intanto viaggiava sulla sua moto tra le montagne dell’Abruzzo remoto e sacro. Capitò per caso, ma nella vita quasi tutto accade per caso, in un borgo dalla luce abbagliante, costruito sulle pendici del Gran Sasso, integro nella sua struttura, persino maestoso come villaggio d’altura. Fermandosi e oziando, come un viaggiatore sfaccendato, vide che a Santo Stefano di Sessanio le pietre, quelle pietre, custodivano niente: dei tremila abitanti originari, soltanto settanta resistevano alla neve dell’inverno. Nessun gatto, qualche cane sì. Daniele s’infatuò del nulla, di quel paesaggio dalla luce viva, di quelle case dritte e fredde, le masserie, le tavole per pavimento, gli attrezzi di montagna. Avendo qualche spicciolo in tasca decise di acquistare una casetta: “Me là vendettero a sessantamila lire al metro quadrato. Io comprai senza sapere cosa farne, mi piaceva troppo”.

Memoria delle pietre

Piaceva troppo, e questo gli bastò. Perché prima una, poi un’altra, poi un’altra ancora, il giovanotto finì per riempire la busta della spesa e trovarsi in mano un intero quartiere per qualche milione di lire. Puro e semplice diletto. Aveva optato, in luogo di un viaggio alle Maldive, per questo condominio abruzzese.

Nella vita a volte si incontrano le persone giuste. E a questo ragazzo intrigato dalla memoria delle pietre capitò di fare la conoscenza di un architetto pescarese, Lelio Oriano Di Zio, che aveva battuto l’Abruzzo in cerca di borghi da restaurare. Li aveva trovati e proposti ad acquirenti sempre disattenti. L’architetto col pallino del vecchio capì presto che, se voleva campare, doveva disegnare il nuovo. “Solo villette a schiera mi chiedevano. E io le facevo. A volte venivano belle, a volte brutte”.

Finalmente l’architetto s’imbatte in Kihlgren, nel milanesone con la motocicletta e i soldi. Gli spiega cosa si sarebbe potuto fare, gli dice quanto avrebbe potuto rendere quella pazzia. “Mi affascinò subito – ricorda Daniele – e presto dovetti decidere se affidarmi totalmente a lui oppure cambiare strada. Avevo già comprato qualcosa, l’idea mi elettrizzava e così decisi presto cosa fare. Presi Lelio egli dissi: io mi affido totalmente a te; tu pensa a come tirar fuori la vita da queste case, ed io ci metto i soldi”.

Quattro anni fa successe questo. Dopo quattro anni e quattro milioni di euro spesi, Santo Stefano inaugura in Italia un modello unico di restauro conservativo che punta al recupero completo dell’integrità originaria del patrimonio. Le pietre rimesse, i legni ritrovati, le finestre, i mattoni. La conservazione di tutti gli elementi architettonici identificativi, la demolizione di ogni superfetazione; alterazione, sovrapposizione, l’eliminazione di ogni intonaco o pittura nuova. Indietro negli anni; in una corsa a ritroso corsa a ritroso alla fine dell’Ottocento. Le stanze contadine ritornate a splendere nella loro illuminata e imperiosa vetustà, nelle loro forme e condizioni, negli spazi destinati ad accogliere gli uomini del secolo scorso.

Ritrovate le stanze, il modello di restauro per essere economicamente sostenibile doveva avere una destinazione d’uso commercializzabile. E dunque l’albergo. Non centralizzato ma diffuso, non consueto ma imprevedibile. Al massimo della conservazione dunque, è stato contrapposto il massimo della tecnologia nei servizi. Luci, riscaldamenti, comunicazioni gestite vie internet, secondo i modelli abbaglianti di questa nostra modernità nell’era interattiva e globale dei chip e del computer.

Se la prima industria italiana è il sole, se il futuro dell’industria del turismo sono i borghi e i paesi dell’osso appenninico, se è vero che Toscana e Umbria sono ormai sature e San Gimignano è sazia di inglesi e americani che l’hanno conquistata a suon di dollari, allora – si è detto Kihlgren – il Sud interno resta una prateria tutta da scoprire, l’osso, la parte più povera e svantaggiata della penisola, il crinale di montagne che dall’Abruzzo avanza giù fino in Campania, poi in Lucania, quindi in Calabria. Può essere questa la terra promessa, il domani di un turismo selettivo, colto e danaroso.

Il giovane Kihlgren si è fatto allora due conti: ha speso quattro milioni di euro per recuperare un intero borgo e ha visto che già oggi quei quattro milioni sono divenuti otto. Se lasciasse tutto e ripartisse in motocicletta, avrebbe di che sfamarsi. Già oggi, infatti, Il mercato immobiliare di Santo Stefano è così acceso e vivo da aver fatto decuplicare i valori, portato alle stelle le quotazioni, raccolto portafogli generosi e appassionati.

Kihlgren non venderà però. Non solo non venderà, ma continuerà ad acquistare. “Il modello di Santo Stefano si può replicare. Questo ci siamo detti e questo abbiamo fatto. Ci siamo prima guardati intorno in Abruzzo, che è una regione ancora vergine, tutta da scoprire e da amare. Poi siamo andati in Campania, nella speranza che si possa avanzare ancora. La Lucania? Chissà”.

Occhi puntati e orecchie dritte. L’uomo compra i paesi, a pezzi o a interi bocconi. Trattative riservate (“come mi muovo e chiedo qualcosa, vedo che i prezzi lievitano fino a deflagrare”) e passo felpato. C’è quel borgo che si chiama Buonanotte, l’altro vicino al lago di Bomba. E la meraviglia di Rocca Calascio. Poi Monteverde sul Bello, e ancora in Campania, vicino a San Felice a Cancello, nella piana deturpata dalla cave e dalla camorra, un gioiellino nascosto, dimenticato ama ancora integro. “Ho solo paura degli autobus. Non voglio farne dei paesi finti, perciò l’interesse è maggiore dove l’ospitalità diffusa possa coniugarsi a una stanzialità significativa. Voglio la qualità, il mio progetto è innanzitutto culturale, perciò prima di mettere mano al restauro di Santo Stefano abbiamo sottoscritto un’intesa, una carta dei valori con il Museo delle Genti d’Abruzzo per la conservazione e la promozione dei caratteri propri della cultura materiale, delle merci e dei mestieri, dell’artigianato storico. Abbiamo firmato un impegno a fare tutto nella più completa e fedele ortodossia architettonica, nell’attitudine – quasi talebana – a lasciare ogni cosa al suo posto, non rubare un metro quadrato, un sigillo, una porta, uno scranno di questi posti”.

Arredamento d’epoca

Del resto fa molto chic ricreare l’atmosfera. Ma ricreare l’atmosfera costa, e stare dentro una casa contadina, ogni stanza col suo camino, arredata con il recupero dei mobili tradizionali fino ai dettagli più minuti, i materassi di lana, le lenzuola degli antichi corredi, le coperte fatte a mano con telai di legno e i colori naturali, ma servita dal teleriscaldamento, con la gestione dell’energia a mezzo di segnali a bassa tensione per evitare inquinamenti elettromagnetici, e i sanitari extralusso, è un piacere che si paga. Albergo diffuso va bene, cultura povera, siamo d’accordo, ma le cinque stelle sono già garantite.

I raffinati, dal passo lento e dal portafoglio pingue, avranno quest’altra meta per stuzzicare i loro pensieri e le loro opere. E per far sì che i torpedoni non abbiano mai voglia di lasciare l’autostrada, Kilghren ha deciso di fare ancora di più: “Dove investiamo, e qui a Santo Stefarno siamo quasi alla fine della realizzazione, vogliamo finanziare gli enti locali che si impegnano a buttar giù le superfetazioni di cemento, noi li chiamiamo detrattori architettonici. Credo che sia la prima volta che un privato spende i suoi soldi per garantirsi un piano regolatore senza volumi e cubature aggiuntive”.

La prima volta, si. Ed è quasi un mondo capovolto. L’imprenditore Kilhgren, l’immobiliarista Kilhgren non vuole che si costruisca, e anzi chiede, dove lui decide di recuperare gli stabili, che si butti giù qualcosa di nuovo. E pur di vedere le ruspe in azione, paga. Paga lui, come paga, nel Salento, Cop pula Tisa, l’assocjazione guidata da Edoardo Winspeare, giovane e promettente regista cinematografico, anch’egli salentino doc, che acquista le case abusive al solo fine di fame un cumulo di macerie. “Siamo per il bello”, dice Winspeare. Il sole, il mare.

Il sole, il mare e la montagna, aggiunge Kihlgren.

L’ultima lezione per far soldi: dichiarare guerra all’alluminio anodizzato.

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