La discussione a sinistra, dopo il risultato delle europee, non poteva incominciare in modo peggiore. Rifondazione e i suoi alleati ora brandiscono il vessillo dell'unità a sinistra per sventolarlo non contro la destra ma contro una possibile ricostruzione di un nuovo centrosinistra, senza nemmeno un briciolo di autocritica rispetto al fatto che nel corso di quest'anno quella unità ha contribuito più volte ad affossarla. Gli esponenti di Sinistra e Libertà per lo più alzano steccati a sinistra in nome del rinnovamento, proclamano orgogliosi la loro autosufficienza, affermano che quel 3,1% è tutta la nuova sinistra e da lì bisogna ripartire, mentre malignamente gli altri più o meno apertamente insinuano che molti di loro sarebbero ormai pronti a passare armi e bagagli al Pd.
Se l'Italia e l'Europa non fossero, come le europee hanno messo in luce, in una situazione drammatica, in cui la pochezza delle risposte dei governi dell'Unione di fronte alla crisi, e soprattutto l'assenza di una comune politica, lasciano libero sfogo alle paure e alle reazioni xenofobe, ci sarebbe di che sorridere. Sembra di essere alla fine degli anni Venti del secolo scorso, quando socialdemocratici e comunisti impegnati in una lotta fratricida senza quartiere non videro che il fascismo, con l'imminente avvento di Hitler al potere in Germania, si accingeva e diventare un fenomeno europeo. Solo che quando la storia si ripete da tragedia si trasforma in farsa.
Ha ragione quindi Fausto Bertinotti, quando intende suggerire che se si vuole ricostruire la sinistra in Italia e in Europa bisogna avere uno sguardo più largo che vada oltre la sua attuale configurazione e rivolgere l'attenzione all'intero sistema politico e alle sue dinamiche. Ma egli stesso rischia di alimentare equivoci e contribuire allo smarrimento imperante a sinistra, quando oscilla tra l'attesa passiva di un'implosione del nostro sistema politico e la ricerca di un'improbabile confluenza in un unico soggetto di un arco di forze che va da Rc ai radicali, passando per l'Idv e il Pd.
Mi chiedo: perché non è possibile, per rifondare la sinistra, partire dalla società italiana, dalle sue contraddizioni e problemi, e da una rinnovata centralità del lavoro, invece che da noi e le nostre dispute? Perché per rifondarsi la sinistra non punta a una riforma dell'agire politico e della rappresentanza per contribuire a rilegittimare la politica democratica, che rischia di essere affossata dal discredito prima che dalle manovre e dalle intenzioni eversive di Silvio Berlusconi?
Insomma, l'Italia ha bisogno di una sinistra che sappia rimettere al centro la costruzione di un'opposizione efficace alla destra e quindi di un'alternativa di governo. Non c'è contraddizione tra autonomia della sinistra e politica delle alleanze tesa alla costruzione di una nuova coalizione democratica. Chi si sottrae al secondo compito, per timore che il primo ne sia compromesso e chi, in nome del secondo obiettivo, è disposto a sacrificare il primo, ambedue condannano alla sconfitta sia l'una che l'altra prospettiva.
Il 26 giugno a Bologna coloro che avevano promosso l'appello per una lista unitaria alle europee propongono di collocare la ricostruzione della sinistra politica nel quadro di una discussione che anteponga l'analisi dei problemi e delle condizioni reali di economia e democrazia nel nostro Paese a formule politiche astratte. E lo fanno senza frapporre limiti e steccati. Sono gli stessi che avevano dato vita all'incontro di Firenze del luglio scorso, dove era stata lanciata la manifestazione unitaria della sinistra, tenutasi poi nell'ottobre.
La proposta di presentare un'unica lista alle europee, lungi dall'essere un anacronistico omaggio a vecchie concezioni dell'unità della sinistra, come sembrano credere alcuni esponenti di Sinistra Democratica, era la maniera per realizzare l'ipotesi di Gabriele Polo che la sinistra «saltasse un giro», in modo da non sottoporre al vaglio del raggiungimento della soglia di sbarramento le diverse prospettive strategiche in campo, per affidarle alla verifica di un tempo più lungo. È sinonimo di vecchia politica l'idea che i gruppi dirigenti debbano brandire come verità assolute le proprie convinzioni, perché ciò rassicurerebbe il corpo dei militanti e lo ricompatterebbe, quando i tempi che attraversiamo consiglierebbero che esse fossero vissute e fatte vivere con spirito critico e senso del limite. Non dobbiamo nascondercelo: la formazione delle due liste ha costituito una sconfitta politica per quelli che hanno tentato di evitarla soprattutto perché era facilmente prevedibile che dopo le elezioni la discussione si sarebbe ulteriormente avvitata su se stessa. Vi sono le condizioni per invertire la rotta? Le vicende di quest'anno inducono al pessimismo. Quel che è certo è che questa inversione di rotta costituisce l'unica prospettiva per cui vale la pena lottare.