Continua e si espande sempre di più in Regione Lombardia, l’azione (politico-culturale) di sistematico smantellamento di ogni legge che contenga, assuma o proponga qualsiasi forma, concetto, metodo o strumento di effettiva e reale pianificazione e programmazione urbanistica e territoriale.
Dopo la vera e propria “controriforma” attuata nel 2005 con l’emanazione della nuova Legge per il governo del territorio n. 12 (ma il “legislatore”, evidentemente non ancora soddisfatto della sua opera, ne sta proponendo una terza modifica, decisamente peggiorativa) si arriva ora alla proposta di abrogazione e rifacimento completo della legge n. 86 “Piano generale delle aree protette. Norme per l’istituzione e la gestione delle riserve, dei parchi e dei monumenti naturali nonché delle aree di particolare rilevanza naturale e ambientale” nata nel lontano 1983.
Si tratta di una delle più importanti e fondamentali leggi regionali che, oltre al suo corretto impianto metodologico e di piano ha consentito di produrre in tutti questi anni una vasta e significativa serie di risultati concreti in materia di formazione e di istituzione di parchi regionali e aree protette tali da rappresentare ben il 26% dell’intera superficie territoriale regionale.
Perché rifare la legge 86/1983 ?
Perché? Quali sono i motivi e le ragioni di fondo? Quali le necessità? Quale l’urgenza? Quali le insufficienze e i limiti della 86/1983 tali da richiederne una abrogazione e una riformulazione?
Sono questi i principali interrogativi ai quali la Regione dovrebbe saper rispondere prima di presentare un progetto di abrogazione e rifacimento di una delle più importanti e storiche - e positivamente praticate e attuate - leggi regionali.
Purtroppo non è così. La relazione che accompagna il disegno di legge non risponde pienamente e con la necessaria chiarezza a queste necessarie domande preliminari alle quali non risponde neppure una lettura attenta del testo del ddl.
Le ragioni richiamate dalla relazione (adeguamento a leggi nazionali e a direttive CEE) avrebbero potuto essere recepite benissimo anche attraverso una integrazione del testo vigente. (Cosa già avvenuta, a suo tempo, per quanto riguarda la legge nazionale 394/1991 “Legge quadro sulle aree protette”).
É vero che la relazione cita anche diversi lavori e studi, effettuati in anni recenti, in merito alla questione delle aree protette e della loro valorizzazione, svolti da Regione, IREF, IReR, e workout vari, dai quali avrebbero potuto emergere idee e proposte per una modifica o un rifacimento della legge vigente, ma è anche vero che da tutto questo materiale, semplicemente “citato”, la relazione non sa fare emergere nulla di preciso e di propositivo, capace di definire e motivare “esplicitamente” un pensiero ed un giudizio in merito alle eventuali modifiche, più o meno radicali, da apportare alla legge vigente ma, soprattutto, riconosciuto ufficialmente, condiviso e fatto “proprio” dalla Giunta proponente.
Tutti gli altri obiettivi richiamati dal testo della relazione non fanno che ricalcare i soliti obiettivi generici della Regione Lombardia attuale (innovazione, nuovi strumenti negoziali, sussidiarietà, sviluppo economico, semplificazione delle procedure di pianificazione, ecc., ecc,.) buoni per tutti gli usi e per tutte le leggi). Obiettivi che contengono in parte anche qualche elemento capace di creare qualche preoccupazione, come, ad esempio, dove si auspica “la transizione da un regime di tutela e conservazione” (che sarebbe quello, detto falsamente, della 86/83) “ad un regime che confermi sempre più la volontà di considerare le aree protette quali fattori essenziali di promozione e sviluppo del territorio lombardo”. Sapendo bene cosa normalmente si intende per “sviluppo”!!
Assolutamente condivisibile l’obiettivo di creare una “rete ecologica” a migliore integrazione delle aree protette, (questa è una vera, e importante, novità) anche se, come si dirà più avanti, sussistono perplessità riguardo le modalità proposte dal ddl per la loro definizione. Anche se, occorre ricordare, l’obiettivo di introdurre una rete ecologica di connessione delle aree protette, non comporta di per sé, assolutamente, la necessità di adottare una nuova legge sulle aree protette.
Che fine fa il piano generale delle aree protette avviato dalla 86/83?
La legge 86/83, è bene ricordare, aveva un duplice obiettivo : quello di costituire la prima legge generale regionale organica sulle aree protette, ma anche quello di definire un piano generale della aree protette per la Regione Lombardia. ( Finalità principale, richiamata in tutta evidenza sin dall’inizio dallo stesso titolo della legge) Questa era, infatti, la funzione del noto Allegato 1 che accompagnava la legge e che definiva, anche mediante una planimetria allegata, un vero e proprio piano strategico regionale. Allegato con valore di piano-programma che, come noto, ha costituito il quadro di riferimento costante che ha guidato, a partire dal 1983, tutta l’azione regionale di promozione e istituzione dei parchi e delle aree protette. Piano strategico di conseguenza che, in tutti gli anni della vigenza della 86/83 ha saputo operare e produrre, nonostante le numerose manipolazioni e modifiche subite negli anni dalla legge, quegli importanti e positivi risultati ed effetti dei quali la Regione spesso, a ragione, si vanta.
Ora con la abrogazione della legge ogni riferimento a questo piano, e a questa fase storica di pianificazione e di risultati conseguiti, esistenti ed operanti, scompare del tutto o si dissolve in una fitta nebbia. Mentre dal nuovo testo proposto si potrebbe intendere che si voglia iniziare una nuova stagione di pianificazione, come se in Regione Lombardia si partisse da un anno zero e come se non si fosse mai avviato un programma e un processo concreto di piano.
É del tutto evidente che la Regione non può far finta, soprattutto in materia di parchi e di aree protette, che si parta da un anno zero, sia per quanto riguarda la pianificazione delle aree che l’istituzione e l’esistenza operante dei parchi e dei loro enti gestori. (E’ questo un vizio molto diffuso in Lombardia, dove spesso, specialmente per ogni legge che si occupi di territorio, si finge sempre di partire da un anno zero, dimenticando tutto delle azioni, dei fatti, delle esperienze e dei processi che l’hanno preceduta).
Si può supporre che il legislatore,ipotizzando l’introduzione di un nuovo piano regionale (PRAP) pensi di poter dare per sottinteso, senza doverne dare alcuna motivazione, l’abbandono del piano generale della 86/83. Ma ciò non sembra né corretto né accettabile, soprattutto perché si tratta di affrontare e normare il passaggio da un regime di piano – che ha dato risultati concreti e operanti - ad un altro regime di piano sia pur differito.( Si noti che il termine e il concetto di piano viene eliminato –per furore del tutto ideologico - dallo stesso titolo della nuova legge, della quale non si riesce a capire se voglia avere, o non voglia avere, significato anche di legge di piano e non solo per la istituzione e la gestione).
Con l’abrogazione della 83/1986 ci si viene a trovare di fronte a una transizione e a un passaggio complesso di non poco conto dei quali, sia la legge proposta che anche la relazione avrebbero dovuto affrontare almeno sotto il profilo normativo o, quanto meno, fornendo una spiegazione dell’organizzazione e della complessità del passaggio. La nuova legge dovrebbe spiegare con grande chiarezza la portata pratica e operativa di questa transizione - che potrebbe, tra l’altro, anche protrarsi per lungo tempo – rispondendo alle domande di fondo : cosa succede alle aree protette già istituite? Verranno recepite dal PRAP? I piani dei parchi esistenti sono congelati sino alla approvazione del PRAP? Come li dovrà rispettare e recepire il PRAP? Con quali criteri e modalità? Si considera ancora valida la strategia delineata dal piano generale delineato dalla 86/1983? Anche se modificato dalla Legge regionale n. 4 del 14 febbraio 1994? Questa strategia deve essere rispettata o continuata dal PRAP?
È evidentemente insufficiente cavarsela semplicemente, come fa il ddl, affermando che gli enti gestori esistenti dovranno adeguarsi alla nuova legge e ai risultati del PRAP.
Si consideri inoltre che a complicare ulteriormente il quadro futuro delle aree protette il ddl, all’art. 35, prevede di poter emanare, con delibera di Giunta, un piano di riordino degli enti gestori delle aree protette esistenti, “accorpandole per singoli gruppi omogenei in altrettanti enti gestori”.
Ambiguità relativa alla natura e alla finalità della legge proposta
La concezione e la formulazione di questo testo apre e solleva non pochi dubbi circa la natura e la finalità propria della legge e sulla sua collocazione nel quadro delle funzioni regionali e della loro organizzazione delle competenze interne, in particolare per quanto riguarda funzioni e competenze della pianificazione territoriale. Mentre per la 86/83 non poteva sussistere alcun dubbio sulla sua finalità principale perché era, come appariva chiaramente dal suo titolo, “Piano generale delle aree protette.Norme per l’istituzione e la gestione delle riserve, dei parchi e dei monumenti naturali nonché delle di particolare rilevanza naturale e ambientale” e costituiva pertanto una legge che rappresentava anche un vero e proprio piano, della nuova legge proposta non si può dire altrettanto. Essa infatti, già dal titolo, non accenna ad alcuna funzione di piano, ma afferma di essere una legge di “ Norme per l’istituzione e la gestione delle aree protette e la tutela della biodiversità regionale”. La pianificazione viene rimandata, differita al futuro PRAP che però viene definito (art.3) come “atto fondamentale di indirizzo per la gestione e la pianificazione tecnico-finanziaria” nonché “atto di orientamento della pianificazione e gestione degli enti gestori delle aree protette”.
Cosa significa tutto questo? Che il PRAP è solo un atto di orientamento per altri futuri piani a venire, in tempi successivi? Che non ci sarà più un vero e proprio piano generale delle aree protette con valore di piano territoriale?
É lecito allora dire che questa legge rappresenta un rifacimento o un aggiornamento della 86/83? O non si sta invece andando in ben altra direzione?
Il Piano regionale delle aree protette (PRAP) (art. 3)
I dubbi di fondo qui sopra sollevati, si ripropongono e si approfondiscono ulteriormente anche ad una lettura approfondita dell’art. 3 del ddl.
Data la natura indefinita di questo PRAP è innanzitutto difficile capire quale rapporto e relazione “territoriale” possa avere con il il Piano Territoriale Regionale (PTR). A questo proposito il comma 8 dell’art. 3 afferma che il PRAP è elaborato in coerenza con gli obiettivi individuati nel Piano Territoriale Regionale” ma afferma anche, contemporaneamente, che “il PRAP è recepito nel PTR”. Come la si mette? Il PRAP precede o segue al PTR? E se il PTR recedesse il PRAP come potrebbe recepirlo?
Forse sarebbe bene che la Regione Lombardia incominciasse a pensare alla assurdità di tenere divise e separate la pianificazione delle aree protette dalla pianificazione territoriale!
Riconfermato che dalla definizione dei contenuti del PRAP non è facile capire quale sia l’efficacia e la portata “territoriale” di questo piano (è un piano di indirizzi e obiettivi o ha anche valore di piano territoriale?) conviene segnalare anche altri due punti: perché mai il PRAP dovrebbe occuparsi di censire le risorse energetiche ? (comma 3, sub d) ? e perché mai il Piano dovrebbe essere aggiornato annualmente?
Preoccupante è poi anche l’intrusione della Giunta definita dal comma 7.
Non si perde l’occasione per dare un altro schiaffo alla pianificazione provinciale e sminuirne la portata , affermando che le Province partecipano alla formazione del PRAP mediante un semplice “rapporto” da inviare alla Giunta regionale (comma 5) e non mediante l’unico e corretto metodo pianificatorio – peraltro già contenuto nell’impianto della l.r. 12/2005 - che sarebbe quello di una partecipazione diretta e paritetica tramite un confronto a partire dai contenuti e dalle proposte contenuti nei PTCP (Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale) elaborato da ogni Provincia.
Il Documento strategico e il Piano territoriale di Coordinamento del Parco regionale (art. 7)
La soluzione avanzata per la pianificazione dei parchi regionali appare abbastanza chiara ma anche complicata dalla sua non necessaria articolazione in due documenti : il documento strategico e il PTC (piano territoriale in senso vero e proprio). Questa divisione – o raddoppio – appare del tutto ingiustificato sia metodologicamente, che proceduralmente. Si pensi alla faticosa e lunga procedura che si verrebbe a introdurre secondo quanto proposto dall’art.7 : il documento strategico, elaborato distintamente e anticipatamente rispetto al PTC (come si possono separare le strategie dal piano?), dovrebbe essere coerente con un altro documento strategico ovvero il PRAP, ed essere sottoposto a un parere obbligatorio da parte dell Giunta prima di poter essere adottato dall’ente gestore!
La Rete ecologica regionale (RER) (art. 27)
É assolutamente condivisibile, come già detto, l’obiettivo di creare una “rete ecologica” a migliore integrazione ecologico-territoriale delle aree protette. Questo costituirebbe un vero e sostanziale passo in avanti relativamente ai contenuti e alla metodologia della pianificazione territoriale-ambientale del quale si sente la necessità, soprattutto in una Regione configurata territorialmente come la Lombardia.
Si ritiene però che da un punto di vista della pianificazione territoriale sarebbe più corretto affidare il compito di individuare e definire questa rete al Piano Territoriale Regionale, in quanto strumento proprio e specifico per una visione completa e una organizzazione complessiva del territorio regionale, anziché affidarla, come propone l’art. 27, ad un generico (ed astratto) elaborato cartografico.
Anche la pianificazione provinciale (PTCP) partecipa, se non esplicitamente, di fatto, alla definizione di questa rete ecologica e, per tanto dovrebbe e potrebbe partecipare direttamente alla individuazione di questa rete.
I parchi locali di interesse sovracomunale ( PLIS)
Perché il ddl si dimentica di definire o ridefinire nuovamente il PLIS (divenuto nel frattempo il più importante e diffuso strumento per la pianificazione dei parchi sovracomunali ed anche la tipologia di area protetta più caldeggiata e sostenuta dalla stessa Regione) alla luce dei nuovi criteri della legge, limitandosi semplicemente a richiamarne i generici contenuti e la generica definizione all’art. 2, sub e)?
Sembrerebbe del tutto insufficiente rinviare un tema così importante e delicato alle deliberazioni della Giunta Regionale del 1992, 1999 e 2001. Deliberazioni tra l’altro emanate a legge 86/1983 vigente. Ma anche la stessa definizione del PLIS si trova nella abrogata 86/1983.
Preoccupante quanto affermato dall’art. 35 del ddl, dove si afferma che “nelle more di approvazione del PRAP, le linee guida per il riconoscimento dei PLIS sono approvate dalla Giunta regionale. Norma che apre un conflitto diretto con le Province.Va ricordato infatti che la pianificazione provinciale “può inoltre individuare gli ambiti territoriali in cui risulti opportuna l’istituzione di parchi locali di interesse sovracomunale” ( l.r. 12/2005 , art. 15, comma 6).
La trasformazione degli Enti gestori (art. 36)
Il tema al quale la proposta dà più importanza e che viene presentato come quello più innovativo è quello della trasformazione obbligatoria degli attuali enti di gestione nella nuova forma di “enti di diritto pubblico”.Sembra che la Giunta veda nella attuale forma di gestione dei parchi (consortile) la principale causa delle difficoltà, delle disfunzioni e degli scarsi risultati sin qui raggiunti.
Questa proposta, certamente di non facile e rapida realizzazione ma che, molto probabilmente potrebbe essere anche opportuna, andrebbe però spiegata e giustificata in modo ben più ampio di quanto non faccia la relazione.
La nuova figura del Direttore
Il ddl propone la creazione di una nuova figura di Direttore del Parco (figura non ignota e ampiamente già praticata dai Parchi esistenti) con la dichiarata intenzione (si veda la relazione) di ammodernare e rendere più funzionale, con la creazione di una figura che dovrebbe essere anche “manageriale” e non solo tecnica, il funzionamento degli enti gestori dei Parchi. Tant’è vero che a questa nuova figura viene anche attribuita la possibilità di svolgere direttamente le funzioni del consiglio di amministrazione, sostituendosi ad esso.(Opzione che non piacerà, molto probabilmente, ai politici)
L’idea potrebbe essere anche buona se si potessero dare risposte sensate e accettabili a tutti i seguenti interrogativi.
Dato che il mercato non offre facilmente figure professionali ( se non nel caso di rare figure di lunga e provata esperienza) capaci di svolgere questo compito tecnico-amministrativo, sarà possibile selezionarli attraverso un concorso ed una selezione regionale e il loro inserimento in un apposito albo regionale? (Finiranno tutti, come è facile prevedere, per appartenere a Comunione e Liberazione??).
Cosa significa che “saranno designati” dalla Giunta al momento della formazione degli enti gestori e che la Giunta ne definisce “ i requisiti per l’iscrizione”? Cosa potranno decidere autonomamente gli enti gestori? E’ questa la sussidiarietà?
Che fine fa il Parco Agricolo Sud Milano?
É questo forse il maggior aspetto misterioso dell’orientamento del disegno della Giunta al quale, né la relazione né il ddl, consentono di rispondere.
Una sola cosa è chiara: il Parco Agricolo sud Milano dovrà ridefinirsi come ente gestore, al pari di altri Parchi regionali, secondo le disposizioni di cui alla Sezione I del Capo I del Titolo II della legge(art. 36). Per tutto il resto mistero.
Si rifletta anche sul fatto che dalla “tipologia” dei parchi regionali (art.2) è anche scomparsa la tipologia del Parco agricolo. Non è questo un problema insuperabile: il Parco potrebbe essere ricollocato accettabilmente tra i “parchi regionali” ( in modo invece non accettabile tra i parchi locali di interesse sovracomunale) purché se ne rispettino la complessità e la specificità metropolitana e la caratteristica irrinunciabile di parco agricolo.
Ma allora, altro mistero, perché la legge non abroga la l.r. 24 del 1990? Lo farà a suo tempo? E nel frattempo cosa accade?
Conclusioni
Dalle numerose lacune e incongruenze rilevate e denunciate, dagli innumerevoli interrogativi cui la legge non sa rispondere, appare del tutto evidente che ci si trova di fronte ad un progetto di legge da respingere risolutamente e non emendabile.
Anche il processo di pianificazione delineato – ammesso che si parli realmente di pianificazione e non di altro – appare molto più complicato e molto più faticoso di quello sperimentato sino ad oggi.
Tutto il teso è finalizzato, più che ad affrontare e migliorare i temi della individuazione, della protezione e della pianificazione delle aree protette, a individuare e definire spazi, momenti e procedure nei quali la Regione, tramite la sua Giunta, possa intervenire direttamente, e anche pesantemente, in momenti chiave nella gestione dei parchi e delle aree protette. Traspare quasi ad ogni articolo un’ansia, una volontà di “mettere le mani” sui parchi e sulle aree protette. Una sospetta e preoccupante azione di “invadenza” e di ritaglio di spazi di intervento riservati alla Giunta non necessaria e non richiesta, che contraddice ogni corretto rapporto tra Regione ed autonomie locali e rende ridicola ogni retorica dichiarazione di rispetto del principio della sussidiarietà.
P.S. Dal livello e dal clima politico-culturale che emerge e si evidenzia dalla analisi di questo progetto di legge nato dalla Giunta della Regione Lombardia, è facile anche capire da quale “mefitica palude” sia emerso il “mostro” del famoso art. 13 bis “ Disposizioni di raccordo tra PGT e PTC di parchi regionali” – soprannominato subito legge ammazza parchi - presentato per integrare la legge 12/2005.
Milano, 13 gennaio 2008