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Curzio Maltese
Lo straniero Nichi
30 Marzo 2010
Articoli del 2010
«”Dove la sinistra imita la destra, alla fine perde e perde male” ha sempre sostenuto Vendola». Anche noi, modestamente. La Repubblica, 30 marzo 2010. Con postilla

Che cosa accadrebbe se alle prossime primarie del Pd fosse candidato il «Papa straniero», Nichi Vendola? È la domanda da un milione di dollari che circola da ieri notte nei quartier generali dell’opposizione. In poche settimane il ciclone Nichi ha travolto ogni pronostico sfavorevole. Fino a vincere sul margine della maggioranza assoluta, senza quasi bisogno dell’aiuto esterno del terzo incomodo, la candidata dell’Udc Adriana Poli Bortone. Nessuno, fino a poco tempo fa, avrebbe scommesso un centesimo sul trionfo di Vendola. Massimo D’Alema era calato per tempo, in una Bari sconvolta dagli scandali, con un foglietto fitto di cifre di sondaggi, per dire che «con Nichi non abbiamo una speranza di vincere». Non era un suggerimento, era un ordine. Ma in due mesi di battaglie contro tutti, prima gli alleati e poi gli avversari, Vendola ha rovesciato la profezia, inflitto agli strateghi eternamente perdenti del centrosinistra la più sonora batosta degli ultimi vent’anni, riconquistato al centrosinistra una regione che in teoria è fra le più destrorse d’Italia. Nelle politiche del 2008 la coalizione di centrodestra, già senza i voti dei centristi di Casini, aveva trionfato con 12 punti di vantaggio. «In Puglia, la prossima volta, possiamo candidare chiunque» aveva commentato Raffaele Fitto, vicerè berlusconiano, pregustando la rivincita per interposta persona. Non è stato così. Il candidato «chiunque», Rocco Palese, è uscito sonoramente battuto.

È difficile immaginare un outsider più outsider di Nichi, almeno per gli arretrati parametri della politica nazionale. Comunista cresciuto in federazione, omosessuale dichiarato, ma cattolico fervente e praticante. Una serie di anomalie, esaltate dalla più straordinaria di tutte: il coraggio. Il coraggio di mantenere la barra dritta quando tutti erano contro. Il coraggio di presentarsi sempre per quello che si è, senza giravolte opportunistiche. Il coraggio soprattutto di sfidare da solo il partito trasversale degli affari che in Puglia voleva privatizzare l’acquedotto. Contro l’opinione del novanta per cento dei pugliesi, ma con l’accordo del novantacinque per cento del quadro politico. Nell’affare dell’acquedotto ci stavano tutti, dai leghisti del Sud all’Italia dei Valori, passando per Pdl e Pd. Ma più di tutto, aggiungevano i dietrologi, passando per l’Udc di Casini e del suocero Caltagirone.

Quella di Vendola in Puglia è la vittoria di una sinistra sincera, popolare, anticonformista, davvero moderna. Dove la modernità non consiste nell’inseguire il vento di destra, mascherandosi da moderati nei talk show. Ma al contrario nel difendere con orgoglio i valori alternativi della sinistra e nella capacità di immergersi in un mondo post televisivo, nel mescolare l’antica arte del comizio in piazza con il nuovissimo talento di saper cogliere la natura politica di Internet. Almeno nell’uso della rete, se non nel resto, Vendola si è rivelato il tanto atteso «Obama italiano». Mezza campagna elettorale, per le primarie e poi per le regionali, le Fabbriche di Vendola l’hanno fatta sulle sigle della rete, da Facebook a Youtube, con trovate di enorme successo, come le videolettere. Qui probabilmente si è creata la distanza e la differenza finale di risultato fra Vendola e la Bonino, altra «straniera» ingaggiata dal Pd, ma ancora prigioniera di stilemi da radicali anni Settanta e Ottanta, compreso il rito stanco dello sciopero della fame. È in ogni caso evidente che dove il Pd ha voluto a tutti i costi cercare il «candidato giusto», quello «in grado di spostare il voto moderato», si trattasse di sceriffi di sinistra come Penati o De Luca, o di democristiani progressisti come Bortolussi e Loiero, sono arrivate catastrofiche sconfitte. Il Pd sconta la presuntuosa pochezza dei propri strateghi, l’incapacità di capire davvero il sentimento popolare, l’incredibile errore di scambiare la Binetti per il mondo cattolico. «Dove la sinistra imita la destra, alla fine perde e perde male» ha sempre sostenuto Vendola. Oggi ha avuto ragione, almeno in Puglia. Nel resto d’Italia, si vedrà presto.

Postilla

Il risultato della Puglia è certamente uno dei segnali che possono indurre, se raccolto, trasformazioni positive: aprire una speranza sul nostro futuro. C’è da dubitare però che questo possa avvenire, come sembra preconizzare Maltese, con un semplice rimpasto dei vertici – e del corpo ormai smilzo – del PD, o peggio ancora con la cooptazione del personaggio vincente.

Se ci si accontenta di una prospettiva simile continueremo ad assistere ad un aumento della “disaffezione” degli elettori di destra per Berlusconi, delle contraddizioni interne tra le foze associate nella compagine di centro destra, della perdita di ogni buona occasione per ribaltare il risultato, e insieme soffriremo la decadenza della democrazia, la devastazione del territorio, la rapace privatizzazione dei beni comuni, la decadenza della morale pubblica e via piangendo.

O si cambia il modo di fare politica, e allora si ricomincia dal proporre i principì di una sinistra nuova: una sinistra contemporanea ma orgogliosa delle proprie radici, capace di difendere insieme il lavoro e il territorio, capace di raccogliere l’ansia per una partecipazione consapevole al governo dei beni comuni che nasce da mille punti della società, e insieme impegnata nella ricerca, e nella paziente e graduale costruzione, di un sistema economico sociale radicalmente diverso da quello basato sullo sfruttamento e sull’alienazione.

Oppure, pioverà sempre sul bagnato, e a ogni sconfitta ne seguirà un’altra.

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