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Lo sprawl è solo villettopoli? Pare di no
20 Aprile 2007
Consumo di suolo
Due articoli di tono totalmente diverso, dal manifesto e dal Corriere della Sera, 19 aprile 2007, pongono - ognuno a modo suo - il problema dell'insediamento produttivo diffuso sul territorio (f.b.)

Gianfranco Bettin, Una Porto Marghera diffusa nel territorio, il manifesto, 19 aprile 2007

Una densa, grossa colonna di fumo, portata dal vento in alto nel cielo e che poi, nera e grigia, si sviluppa in un enorme serpentone alato. Una strana bestia che infine, come in una spaventosa metamorfosi, si muta in una specie di grande manta che, invece che negli abissi, si allarga nell'aria, la stessa aria che respiriamo, e sopra le nostre teste, sulle quali ricade ciò che il vento e il fumo diffondono: diossine, acidi clorurati e tutto il resto che può sprigionarsi da un incendio come quello scoppiato ieri pomeriggio alla De Longhi di Treviso. Era questo, visibile a decine di chilometri di distanza, lo spettacolo che ha dominato la scena nel cuore della Marca e ha coinvolto in parte le stesse province di Venezia e di Padova.

La De Longhi produce elettrodomestici, occupa un migliaio di dipendenti - che ora temono per il proprio lavoro - ed è una delle più note aziende della galassia produttiva veneta, che si configura come un modello alternativo a quello «a polo», tipo Porto Marghera, anche se le immagini di ieri sembrano venire direttamente dai dintorni del Petrolchimico.

La contraddizione, in realtà, è solo apparente. Il modello produttivo veneto, del nordest in generale, è uno dei più nocivi e pericolosi, specialmente laddove si è realizzato senza regole, senza vincoli, senza cura per l'impatto ambientale, con tassi di sfruttamento e di auto-sfruttamento (per la vasta presenza di aziende a conduzione familiare). Un quadro inquietante della situazione è stato recentemente pubblicato in un libro i cui autori ed editori hanno subito più di una intimidazione: «Il grigio oltre le siepi», a cura di Francesco Vallerani e Mauro Varotto (nuova dimensione editore). Stanco di vedere questo degrado, a 85 anni di età, il grande poeta trevigiano Andrea Zanzotto ha spesso alzato in questi mesi la sua voce. Ovunque, sono attivi comitati e gruppi di cittadini che reagiscono a difesa di aria, terra e acqua.

Sul fronte degli incidenti sul lavoro, il quadro è ugualmente drammatico. Il Rapporto Inail appena pubblicato segnala nel Veneto, per il 2006, 116 morti (18 in più che nel 2005) e 114 mila infortuni. A fronte di ciò, risultano del tutto sottodimensionate le risorse dello Spisal, delle Ulss e degli ispettori del lavoro. Nel contempo, da parte degli enti locali non si intende cambiare strada rispetto all'industrializzazione selvaggia che ha stravolto il paesaggio veneto. L'incidente alla De Longhi è, per tanti versi, esemplare. Segnala, in modo cupamente spettacolare, che c'è una Porto Marghera diffusa sul territorio, proprio mentre quella originale sta cercando faticosamente di entrare in una nuova era. Dimostra che di questa pericolosità non c'è vera consapevolezza: è infatti incredibile che un incendio di questa portata sia potuto svilupparsi così facilmente in un'azienda così nota e ricca. Ancora, viste alcune reazioni di autorità locali, si conferma che, tra troppi amministratori e tra i loro referenti nei servizi e nelle stesse autorità sanitarie (da essi nominate), dopo i primissimi momenti di emozione, la tendenza prevalente è alla minimizzazione. Così, ieri, a sera inoltrata, mentre si sentivano vigili del fuoco e carabinieri esprimere serie preoccupazioni, mentre si invitava la gente a non mangiare la verdura raccolta in zona e si disponeva perché gli alunni oggi non venissero fatti uscire da scuola, si diceva tuttavia che dall'incendio non è uscito niente di troppo cattivo. Insomma, passata la paura, torniamo al solito andazzo. Bisognerà invece tener desta l'attenzione, perché dopo l'incendio è proprio quello che resta nell'ambiente a dover preoccupare di più. Ed è proprio adesso, invece, che rischiano di prevalere gli interessati custodi del grigio che sta dietro le siepi.

Claudio Del Frate, Fabbrica nel parco. «Così si lavora meglio», Il Corriere della Sera ed. Milano, 19 aprile 2007

BRINZIO (Varese) — Che cos'è un parco? Un luogo da tenere sotto la proverbiale campana di vetro, dove l'uomo è una sorta di intruso per sua innata indole portato a far danni, o qualcosa dove è possibile immaginare anche attività economiche, persino industriali purché compatibili con lo stato di grazia dei luoghi?

La domanda che fino a poco tempo fa sarebbe stata solo retorica si è trasformata in qualcosa di molto concreto (dunque che esige una risposta) per il comune di Brinzio, centro del Varesotto interamente compreso nell'area protetta del Campo dei Fiori. All'ufficio di Sergio Vanini, sindaco del paese, si è presentato il rappresentante di un'azienda di software che ha depositato sul tavolo la seguente carta: la costruzione di un'azienda di programmazione informatica a Brinzio, nel cuore del parco, ad alta tecnologia, ma a impatto ambientale zero. Una cosa alla quale nessuno prima aveva mai pensato e soprattutto nessuno aveva mai formulato. Spunta dunque una fabbrica nel parco: la proposta «rivoluzionaria» è partita dalla Areaweb, gruppo informatico in rapido sviluppo su molti mercati mondiali ma che ha la sua casa madre a Binago, nel Comasco. La Areaweb si limita a confermare in termini generici la proposta, senza entrare nei dettagli. Dettagli, per la verità, che non sono stati al momento illustrati nemmeno al sindaco di Brinzio.

«Le persone con cui abbiamo parlato — racconta Vanini — non ci hanno presentato un progetto, si sono limitate a sondare il terreno, a valutare la nostra disponibilità. Ma come si fa a dare una risposta in assenza di dati concreti sulle volumetrie, sul tipo di produzione da insediare? Siamo in attesa di maggiori dettagli».

Qualche dettaglio, però, trapela già: la Areaweb avrebbe messo gli occhi, a Brinzio, su quel che rimane di una vecchia filanda attiva ai margini del paese nei primi decenni del '900. La zona è piuttosto isolata, abbandonata, ormai del tutto avvolta dalla vegetazione cresciuta in quasi un secolo di oblìo. L'idea di fondo sarebbe quella di far lavorare i «cervelloni» che programmano i computer in un ambiente rilassante. Particolare che rende la proposta ancor più innovativa: l'impianto sarebbe alimentato al cento per cento da fonti di energia rinnovabili, in sintonia con i vincoli del parco. Se il progetto andrà in porto a Brinzio, tanto meglio; altrimenti, par di capire, Areaweb si rivolgerà ad altre aree verdi.

L'interrogativo in attesa di risposta è però ancora quello di partenza: un parco è compatibile con attività umane diverse da agricoltura e allevamento?

Se il sindaco di Brinzio resta dubbioso sulla proposta che si è visto sottoporre, più risoluto appare Giovanni Castelli, presidente dell'ente che amministra il Parco di Campo dei Fiori: «Le norme di tutela furono scritte 20 anni fa, quando si pensava di dover mettere tutto sotto chiave. Molte previsioni, per fortuna, si sono rivelate infondate. Per quel che ci riguarda in quell'area un'azienda di software potrebbe pure starci, basta che sia di dimensioni sostenibili per le risorse, ad esempio l'acqua, disponibili. Si tratta in buona sostanza di una produzione intellettuale, non vedo in questo un attentato all'ambiente: anzi, ospitare chi vuole lavorare nel parco, purché nel rispetto dell'ambiente sarebbe la quadratura del cerchio. la gente lo frequenta nei fine settimana per svago, potrebbe farlo anche durante gli altri giorni. Sempre nel rispetto della natura».

Corrado Poli, Progresso e qualità della vita in un nuovo patto con la natura (id.)

La notizia che il direttore di un parco naturale è a favore della collocazione di un'impresa di software su un territorio protetto fa scalpore. La contraddizione potrebbe essere solo apparente, ma è densa di significati. L'azienda restaurerebbe un'antica filanda, sita nel Parco del Campo dei Fiori), pur di consentire ai suoi programmatori di lavorare in un ambiente rilassante che invita alla concentrazione. Viene proposto come un discorso di pura efficienza. Invece potrebbe nascondere un atteggiamento sociale ed etico, forse giustamente colto dal direttore del parco.

Oggi, lo spartiacque tra progresso e conservazione si dovrebbe riferire al diverso rapporto con l'ambiente. In America si parla dei cosiddetti «Cultural Creatives» i quali costituirebbero fino a un sesto della popolazione. Un mercato vasto, ma politicamente inesistente perché diviso sui vecchi fronti della politica. Queste persone sono pronte ad adottare modelli di vita alternativi, sia pure con diversa intensità, che vanno dal mangiare vegetariano a non usare la macchina, dal considerare un dovere morale riciclare i rifiuti al vivere in campagna.

Non sappiamo quanti siano in Italia i potenziali «Cultural Creatives», ma potrebbero rientrare tra di essi il direttore del parco e gli imprenditori che vogliono restaurare la filanda. Si tratta di nuovi gusti e di diversi status symbols. Nelle città del Nordovest americano si è sviluppato un gusto per le architetture e persino un'arte impregnata di valori ambientali. Queste città sono considerate per molti versi avanguardie culturali. È nei nostri geni essere attratti dalla natura e solo un compromesso ci fa amare la confusione e l'inquinamento delle città.

Chi non si sente inspiegabilmente attratto da un ruscello che scorre tra gli alberi? Chi non soffre tra il cemento polveroso? Per molti il compromesso oggi è diventato inutile poiché può godere di un benessere elevato pur evitando i mali della congestione, dell' inquinamento e della cementificazione del mondo.

Sta evidenziandosi una profonda contraddizione. Da una parte si pone l'industria tradizionale, dall'altra le nuove tecnologie. Il conflitto culturale tra le due parti si propone anche nell'elaborazione di nuovi modelli di vita e di pensiero. Ma è evidente che il progresso sta dalla parte di coloro che ricercano un nuovo negoziato con una natura da due secoli almeno bistrattata.

Quando sento ancora parlare di progresso associato alla costruzione di megastrade e ferrovie mi sembra di tornare nel XIX secolo. E mi sembra così vecchio chi ancora si esalta per il grattacielo più alto del mondo! Il progresso lo si deve cercare, invece, in questo riconoscimento dei valori ambientali che portano con sé una nuova sensibilità e un'eleganza culturalmente raffinata, vicine alla naturalità dell' esistenza umana. Se ci sarà ancora progresso, la direzione non può che essere questa.

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