Il manifesto, 12 giugno 2016
La Commissione europea ha presentato nei giorni scorsi al Parlamento europeo la sua proposta sulla gestione delle relazioni con i paesi terzi in materia di gestione dei flussi migratori. Com’è già accaduto più volte in questi ultimi mesi, leggiamo fiumi di parole che denotano interesse per le vite umane e per le vittime dei naufragi, dichiarazioni di impegni condivisi dai governi e dalle istituzioni dell’Ue sull’accoglienza. Le proposte concrete però vanno esattamente nella direzione opposta.
Il cinismo caratterizza l’analisi e soprattutto le proposte: salvare vite umane e gestire i flussi in maniera ordinata, si ripete più volte. In che modo? Regalando miliardi, come già fatto con Erdogan, ai tanti come lui in giro per l’Africa. Chiedendo loro, in cambio, di fermare le persone che scappano proprio dalla violenza dei regimi con i quali intendiamo fare accordi.
È il caso dell’Eritrea di Isaias Afewerki (presidente dal 1993), del Gambia di Yahya Jammeh (presidente dal 1994), dell’Egitto di Abd al-Fattah al-Sisi (quel campione dei diritti umani che tutti conoscono). La lista dei paesi è lunga: Algeria, Egitto, Eritrea, Etiopia, Costa d’Avorio, Gambia, Libia, Ghana, Guinea, Mali, Marocco, Senegal, Niger, Nigeria, Senegal, Sudan.
Insomma, il progetto è ambizioso e il quadro è molto chiaro. Utilizzare fondi per lo sviluppo come arma di ricatto verso i paesi di origine e di transito: chi più si riprende le persone espulse e meglio coopera al controllo dei flussi migratori, più risorse riceverà.
Invece i paesi che non si impegneranno a fare i gendarmi dell’Europa saranno penalizzati, con una sorta di sistema a punti. Quella che una volta si chiamava cooperazione allo sviluppo, solidarietà tra i popoli, si trasforma in sostegno ai governi e al loro potere, condizionato dal rispetto delle indicazioni che i governi dell’Unione europea e la Commissione daranno in materia di gestione dei flussi e delle frontiere. Fermare il maggior numero di persone che scappano. Se riescono a passare i loro confini, bloccarli nei paesi di transito. Se non muoiono dopo le torture e le violenze dei trafficanti (in Libia e non solo), rimandarli indietro, con il consenso di questi governi. Non c’è che dire, un vero capolavoro da grandi statisti!
Pericolosissimo anche il dialogo che si vuole aprire con una Libia dilaniata dai conflitti, con cui l’Europa conta di fare accordi per il controllo delle partenze usando l’agenzia Frontex. Una proposta coerente con l’atteggiamento che Bruxelles sta tenendo con la Turchia di Erdogan, considerato un esperimento di successo. Con i 6 miliardi erogati in base a quell’accordo, sono stati fermati i siriani che scappano dalle bombe, costringendoli nelle galere turche o rispedendoli in Siria. L’Europa non sta chiedendo al governo turco, a quello eritreo o a quello del Gambia di rispettare i diritti umani e di consentire elezioni democratiche per avere il sostegno dell’Ue.
Al contrario, si sacrificano i diritti umani e qualche secolo di civiltà europea in cambio di una proposta con la quale i governi dell’Unione europea, e la Commissione, pensano, forse, di fermare la frana populista, razzista e fascista che sta travolgendo i paesi del continente. L’esperienza austriaca sta lì a dimostrare che si ottiene esattamente il risultato opposto. Ma per i nostri esimi statisti questo non conta.
Pensano evidentemente di essere più furbi e abili del capo del governo austriaco, che ha dovuto dimettersi per il flop del suo partito alle recenti presidenziali. Tutto ciò sulla pelle di quei bambini, quelle famiglie, quelle persone che, in assenza di canali umanitari, programmi di ricerca e salvataggio, possibilità di vie di ingresso sicure e legali, dovranno pagare sempre di più e rischiare sempre di più. E aumenteranno inesorabilmente, visto che verranno foraggiati e rafforzati proprio quei governi da cui fuggono.