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Andrea Palladino
Lo sgombero ordinato senza nuovi posti letto. Raggi: è uno scaricabarile
27 Agosto 2017
2017-Accoglienza Italia
«Prefettura e Campidoglio non sapevano quanti fossero i profughi. Soluzioni solo per 103: “Così famiglie divise”. Le pressioni della proprietà. I 700 in strada».Secondo il Palazzo chi non è "fragile" non ha bisogno di un tetto.
«Prefettura e Campidoglio non sapevano quanti fossero i profughi. Soluzioni solo per 103: “Così famiglie divise”. Le pressioni della proprietà. I 700 in strada».Secondo il Palazzo chi non è "fragile" non ha bisogno di un tetto.

il Fatto quotidiano, 26 agosto 2017


Alla fine rimane la strada. La risposta per i 700 rifugiati – forse 800 secondo altre fonti, forse di più – che ora vagano dopo il doppio sgombero di piazza Indipendenza a Roma si ferma alla lista dei “salvati”. Sono 104 i nomi nell’elenco che la Prefettura di Roma ha consegnato al Campidoglio, con le situazioni ritenute di “fragilità”. Ovvero ammalati, disabili, famiglie con bambini. Le possibili soluzioni sul tavolo – in un caos di rimpalli e scaricabarile – riguardano solo queste persone. Per tutti gli altri nessun diritto e neppure sistemazioni temporanee. Quando si è riunito il Comitato per l’ordine pubblico non sapevano neanche quanti fossero, da tempo la polizia non metteva piede in quel palazzo.

La storia di via Curtatone inizia il 19 agosto, quando la Questura avvia l’espulsione degli occupanti. L’edificio, occupato da quattro anni, era già stato sottoposto a sequestro preventivo da parte del Tribunale e ospitava per lo più rifugiati eritrei ed etiopi. Dopo l’operazione di polizia una task force composta dai servizi sociali del Comune di Roma, dall’ufficio minori del commissariato e dalla proprietà – citata in un comunicato ufficiale della Questura, ma che non è chiaro a che titolo partecipasse alla task force – ha avviato un censimento degli occupanti, con l’obiettivo di individuare i soggetti fragili, ovvero chi, secondo la legge, aveva diritto di ricevere una assistenza, anche abitativa. Un primo elemento anomalo è l’inserimento solo in epoca recente dello stabile nella short list degli sgomberi urgenti. È di proprietà di un importante fondo finanziario che evidentemente è stato capace di far valere le proprie ragioni assai più di numerosi privati che pagano le spese per gli stabili occupati a Roma.

Per cinque giorni, dopo lo sgombero di sabato scorso, i rifugiati rimangono in attesa di una risposta accampandosi, in parte, nei giardini di piazza Indipendenza, a due passi dalla stazione Termini, davanti al Consiglio superiore della magistratura, in una Roma ancora semivuota. Il 23 agosto, ovvero quattro giorni dopo la prima azione di sgombero, si riunisce il Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica per discutere sul caso, poche ore dopo un primo tentativo di allontanamento dei rifugiati dalla piazza operato dalla polizia.

In un documento firmato dal gestore dell’immobile, la società romana Sea Srl, e dall’assessore alle politiche abitative della giunta capitolina Rosalia Alba Castiglione, datato 24 agosto, si legge: “In data 23 agosto 2017, in sede di comitato per la sicurezza e l’ordine pubblico, è emersa la necessità di intervento anche dell’Amministrazione capitolina atta a garantire l’accoglienza ricettiva per evitare problematiche di ordine pubblico e sanitarie”.

Sarebbe toccato al Comune, ma era di fatto impossibile risolvere l’emergenza in poche ore e le cariche del 24 mattina hanno fatto precipitare tutto. E dal Campidoglio fanno sapere che in realtà la Prefettura ha chiesto di trovare una soluzione solo per i 104 inseriti in una lista consegnata dopo il primo sgombero. Tutti gli altri? Nessuno sa neanche quanti siano. È la lista dei sommersi, degli invisibili. “Un’operazione di cleaning”, ovvero di pulizia, come ha detto al Corriere della Sera il prefetto di Roma Paola Basilone, che passa la palla alla giunta Raggi. La sindaca, da parte sua, replica che “la Prefettura nei dati che ci ha comunicato il giorno dello sgombero non ha citato la presenza di 37 bambini. Siamo stati avvisati dello sgombero – ha scritto su Facebook – a poco più di 12 ore dall’inizio” e ha attaccato la Regione Lazio “che ha disatteso il decreto legge Minniti che la chiama direttamente in causa” e denunciato “l’assenza di adeguate politiche nazionali”. “Un vergognoso scaricabarile”, attacca la sindaca.

Sono le 6 di mattina di giovedì 24 agosto. Tutti i rifugiati interpellati dal Fatto Quotidiano raccontano la stessa versione: “Siamo stati svegliati dagli idranti”. Parlano di cariche dure, mostrano i lividi, raccontano frasi inquietanti – “Siete come topi, andatevene” – che però non trovano conferma. La Questura anzi ribadisce che la resistenza è stata violenta, con lancio di sassi, bottiglie e di almeno una bombola di gas. Quattro i fermi.

Poche ore dopo una telecamera inquadra un funzionario di polizia, Francesco Zerilli, dirigente del primo commissariato di Roma, Trevi-Campo Marzio, mentre dirigeva una carica. Si sente la frase: “Se tirano qualcosa spaccategli un braccio”. Già in serata la questura annuncia l’avvio di accertamenti, la preistruttoria disciplinare è aperta e il dirigente, se i fatti saranno confermati, potrebbe perdere l’incarico. “Non è un violento”, lo difendono i colleghi. Ma è lo stesso dirigente che nel 2014 guidò le cariche che provocarono diversi feriti, sempre a Roma in piazza Indipendenza, tra gli operai della Thyssenkrupp. Con lui si scontrò verbalmente l’allora leader della Fiom Maurizio Landini.

Il giorno dopo gli scontri la situazione è ancora più drammatica. Le case promesse dalla proprietà ai 103 sono in realtà sei villini da 90 metri quadri (due camere da letto), in mezzo alla campagna della provincia di Rieti, a decine di chilometri dalle scuole frequentate dai bambini. Ai nuclei familiari il Comune aveva offerto posti in case famiglia, ma spesso separando genitori e figli. “Volevano mandare la madre con il figlio da una parte e il padre in un’altra zona di Roma, per questo non abbiamo accettato”. Dormono alla stazione Termini o accolti dalla solidarietà del centro Baobab della stazione Tiburtina: “Ora vorremmo andarcene dall’Italia, ma non possiamo”. Un rifugiato registrato e riconosciuto può rimanere solo qui.

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