il Fatto quotidiano, 26 agosto 2017
Alla fine rimane la strada. La risposta per i 700 rifugiati – forse 800 secondo altre fonti, forse di più – che ora vagano dopo il doppio sgombero di piazza Indipendenza a Roma si ferma alla lista dei “salvati”. Sono 104 i nomi nell’elenco che la Prefettura di Roma ha consegnato al Campidoglio, con le situazioni ritenute di “fragilità”. Ovvero ammalati, disabili, famiglie con bambini. Le possibili soluzioni sul tavolo – in un caos di rimpalli e scaricabarile – riguardano solo queste persone. Per tutti gli altri nessun diritto e neppure sistemazioni temporanee. Quando si è riunito il Comitato per l’ordine pubblico non sapevano neanche quanti fossero, da tempo la polizia non metteva piede in quel palazzo.
Per cinque giorni, dopo lo sgombero di sabato scorso, i rifugiati rimangono in attesa di una risposta accampandosi, in parte, nei giardini di piazza Indipendenza, a due passi dalla stazione Termini, davanti al Consiglio superiore della magistratura, in una Roma ancora semivuota. Il 23 agosto, ovvero quattro giorni dopo la prima azione di sgombero, si riunisce il Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica per discutere sul caso, poche ore dopo un primo tentativo di allontanamento dei rifugiati dalla piazza operato dalla polizia.
Sarebbe toccato al Comune, ma era di fatto impossibile risolvere l’emergenza in poche ore e le cariche del 24 mattina hanno fatto precipitare tutto. E dal Campidoglio fanno sapere che in realtà la Prefettura ha chiesto di trovare una soluzione solo per i 104 inseriti in una lista consegnata dopo il primo sgombero. Tutti gli altri? Nessuno sa neanche quanti siano. È la lista dei sommersi, degli invisibili. “Un’operazione di cleaning”, ovvero di pulizia, come ha detto al Corriere della Sera il prefetto di Roma Paola Basilone, che passa la palla alla giunta Raggi. La sindaca, da parte sua, replica che “la Prefettura nei dati che ci ha comunicato il giorno dello sgombero non ha citato la presenza di 37 bambini. Siamo stati avvisati dello sgombero – ha scritto su Facebook – a poco più di 12 ore dall’inizio” e ha attaccato la Regione Lazio “che ha disatteso il decreto legge Minniti che la chiama direttamente in causa” e denunciato “l’assenza di adeguate politiche nazionali”. “Un vergognoso scaricabarile”, attacca la sindaca.
Poche ore dopo una telecamera inquadra un funzionario di polizia, Francesco Zerilli, dirigente del primo commissariato di Roma, Trevi-Campo Marzio, mentre dirigeva una carica. Si sente la frase: “Se tirano qualcosa spaccategli un braccio”. Già in serata la questura annuncia l’avvio di accertamenti, la preistruttoria disciplinare è aperta e il dirigente, se i fatti saranno confermati, potrebbe perdere l’incarico. “Non è un violento”, lo difendono i colleghi. Ma è lo stesso dirigente che nel 2014 guidò le cariche che provocarono diversi feriti, sempre a Roma in piazza Indipendenza, tra gli operai della Thyssenkrupp. Con lui si scontrò verbalmente l’allora leader della Fiom Maurizio Landini.