Per prendere una stretta di mano fra Olmert e Abu Mazen come il segno che la pace è vicina non ci vuole scarsa memoria, ci vuole mala fede: non solo perché leader israeliani e palestinesi, peraltro tutti ben più credibili dei due attuali, si sono ormai stretti la mano decine di volte e nelle più disparate capitali del mondo senza che poi nulla accadesse, ma soprattutto perché mai come ora, con l'attacco all'Iran incombente, lo scenario mediorientale è apparso altrettanto cupo. Come del resto quelli analoghi, anche questo vertice destinato a battezzare la ex iniziativa euromeditterranea con cui Sarkozy sperava di rilanciare un ruolo centrale della Francia (ex, da quando Angela Merkel gli ha ricordato il senso delle proporzioni), è spettacolo da baraccone.
Persino un passo indietro rispetto al passato perché di un accordo generale regionale ha solo il nome, consistendo in realtà solo nella proposta - a chi vuole e su cosa vuole - di accordi bilaterali, su un vastissimo menu, che va dalla polluzione al turismo. Non una iniziativa «comunitaria» come era, almeno nelle intenzioni, l'accordo di Barcellona, dunque, ma a geometria variabile, in cui il «comune» sarà poco più che formale: anziché delegare tutto il potere decisionale alla burocrazia di Bruxelles, ci sarà ora un segretariato con due co-presidenti, uno europeo e uno extracomunitario.
In continuità col passato c'è invece il fatto che si prevede di tutto, meno, anche questa volta, l'essenziale: la libera circolazione di merci capitali e servizi, non di quelle merci particolarissime che sono i prodotti agricoli, perché le sole competitive con le nostre; e perché, per motivi non certo commerciali, noi preferiamo la «banana atlantica» (quella della United Fruits), a quella pur buonissima dell'Africa del nord.
E, naturalmente, non prevede nemmeno la libera circolazione degli umani. (Come ha detto Roland Henri, che dirige il Centro di ricerca dell'Institut du Monde Arabe et islamique, «Gli europei ci vogliono come loro, con loro, ma non da loro»).
Imponderabile «Ufficio Gioventù»
Previsto nel menu di Parigi c'è persino anche un immancabile Ufficio Gioventù, che non si capisce bene cosa potrà fare in queste condizioni, il problema dei giovani della sponda sud essendo essenzialmente solubile per un tempo prevedibilmente lungo soltanto con una libera circolazione: metà della popolazione ha meno di 30 anni e per mantenere la percentale di disoccupazione al già altissimo livello attuale bisognerà, nei prossimi 15 anni, creare 23 milioni di nuovi posti di lavoro.
L'inutile iniziativa Sarkozy è l'approdo di 36 anni di mediocri tentativi euromediterranei, sulla cui inefficacia tutti concordano. Dalla «Politica Mediterranea globale», lanciata nel 1972 e rinnovata nel 1990, consistente in accordi commerciali; al «Dialogo 5+5» (Maghreb e europei vicini), anch'esso, nel 1990; al «Forum mediterraneo sulla sicurezza», nel 1994, stabilito fra 11 paesi, che ha avuto come effetto il coinvolgimento degli eserciti turco e marocchino nell'avventura del Kosovo; all' «Accordo di partenariato», firmato nel 1995 a Barcellona. Praticamente annullato dalla brusca inversione di tendenza impressa nel 2003 quando, sotto la presidenza Prodi, venne varata la Pev (Politica europea di vicinato), che ha affogato il Mediterraneo nel calderone, marginalizzandolo rispetto all'est, cui sono state indirizzate il grosso delle risorse, non solo perché l'operazione appariva economicamente più promettente, ma perché quell'orizzonte geografico assecondava la tentazione di un'Europa pan Cristiana.
Come in un recente convegno a Tangeri ha detto l'ambasciatore Huitzinger - uno dei diplomatici incaricati da Sarkozy di seguire il suo piano - la politica mediterranea dell'Unione europea assomiglia alla torta millefoglie: una serie di strati diversi, posti l'uno sopra l'altro. Così collocati senza mai riflettere criticamente sulle iniziative precedenti, senza tracciare un bilancio su ciò che è realmente accaduto o meglio non accaduto. E così anche ora, con il nuovo progetto di Unione per il Mediterraneo.
Nell'affrontare con qualche serietà il problema Mediterraneo, che ha riacquistato una grande centralità, non si può far finta di non sapere che attraverso il Mediterraneo passa la frontiera più drammatica del mondo, molto più drammatica di quella che separa il Messico dagli Stati Uniti: lì il rapporto è di 1 a 6 nel reddito procapite, invece da noi è di 1 a 14. E che la dipendenza dei paesi del sud dall'Europa è totale: quasi tutte le loro esportazioni vanno verso l'Ue ma per l'Ue sono niente, in compenso quasi tutte le loro importazioni provengono dall'Ue. In queste condizioni la zone di libero scambio non è solo inutile, può essere solo fonte di ulteriore degrado.
Lo squilibrio non è solo economico. È anche politico. Da una parte l'Europa unita, che agisce attraverso istituzioni comuni; sull'altra sponda un fronte frammentato e diviso da ostilità non sanate. Le sigle unitarie sono solo etichette. E poi sul fallimento del dialogo euromediterraneo - così occorre chiamarlo - pesa come un macigno l'accresciuta diffidenza politica generata dalle ferite aperte in questi 30 anni - la guerra all'Iraq - o non chiuse, anzi ulteriormente approfondite: l'occupazione israeliana della Palestina.
L'Europa avrebbe potuto contribuire alla soluzione. Non l'ha fatto perché gli Stati uniti glielo hanno impedito. Ci aveva provato con un'iniziativa un po' più autonoma nel 1973, in occasione della prima crisi petrolifera, quando aveva preso apertamente posizione in favore dell'Opec e aveva proposto il riconoscimento dell'Olp. Fu bloccata da un intervento di Kissinger che, con sarcasmo, chiese all'Europa di sottoscrivere una nuova Carta Atlantica che conteneva l'obbligo di consultazione preventiva su tutto.
L'asimmetria con il Nord Africa
L'intervento Usa si è ripetuto negli anni, sicché l'Ue ha finito per delegare a Washington la politica, ritagliandosi libertà per qualche accordo commerciale. I negoziati fra Israele e l'Autorità palestinese, come è noto, non prevedono nemmeno la presenza europea.
Ma ora sta accadendo una cosa molto grave. Una mossa europea che non potrebbe essere più in linea con la peggiore politica Americana: si sta procedendo, attraverso l'up grading dell'accordo di associazione di Israele con l'Ue, ad un mutamento qualitativo dello status di questo paese. Che potrebbe persino preludere ad un suo isolato ingresso nella stessa Unione. Per ora si tratta solo di manovre, di ballon d'essai. Ma è proprio così che di solito si procede in Europa.
L'ideologia mediterranea - l'aspirazione a ricercare l'unità fra nord e sud del Mediterraneo non è - bisogna tenerne conto - innocente. Non lo è mai stata. Oggi c'è chi, a giusta ragione, teme che sia un modo per separare il nord Africa dal suo continente, un pretesto per dissimulare - scrive Danilo Zolo - l'asimmetria.
Il dialogo euromediterraneo è intasato da quintali di detriti, di incomprensioni, non ha toccato la società araba reale, ha al massimo coinvolto le elites. La società araba è certo cambiata. Le emittenti locali si sono moltiplicate e sui tetti di in ogni villaggio fiorisce una selva di parabole. Ma attenti: stare alle finestre dell'Europa ma non poter stare alle sue porte, guardarci da lontano fidando in una vicinanza che è solo virtuale, può aver effetti perversi. La circolazione delle immagini e delle merci, e non quella degli umani, è uno squilibrio avvertito come insulto, come una ingiustizia suprema, come una beffa. Perché tutti sanno ormai che l'Europa non può far a meno degli immigrati, che sono già il 10% della nostra forza lavoro. Ma questa fetta di popolazione non ha rappresentanza, non ha diritti politici, non vota. Sono come gli schiavi nell'antica Roma. Peggio della casta degli intoccabili in India. Da noi il lavoro più umile e mal pagato, viene politicamente sottratto alla democrazia. Un'Europa che nega questi diritto è un vulno intollerabile.