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Marc Lazar
L’Italia in frantumi
6 Marzo 2006
I tempi del cavalier B.
L’Era Berlusconi e le difficoltà del nostro paese nel libro dello studioso francese, da la Repubblica del 6 marzo 2006

Dal nuovo libro di Marc Lazar, L’Italie à la dérive. Le moment Berlusconi , in uscita il 23 marzo in Francia nelle edizioni Perrin, anticipiamo parte d’un capitolo.

Il «periodo Berlusconi» conferma le attuali metamorfosi che la democrazia italiana vive all’epoca della globalizzazione, della crisi degli Stati-nazione e delle difficoltà dell’integrazione europea. I mezzi di comunicazione rendono le relazioni tra i leader e le opinioni pubbliche più immediate e tempestive. La capacità di sedurre e la semplificazione dei discorsi avvantaggiano i leader più abili a comunicare, e di conseguenza costoro conoscono ascese folgoranti, ma vanno incontro altresì alla possibilità di subire rapidi tracolli perché sono sovraesposti. La propensione a ricorrere a modalità dirette di espressione in politica può favorire, per esempio, il successo di Silvio Berlusconi presso alcuni elettori, e al contempo presso altre categorie l’inizio di mobilitazioni contrarie a lui, di movimenti che esigono un maggiore controllo dei poteri e che vogliono prendere attivamente parte alla vita pubblica.

Il potere giudiziario afferma sempre più spesso la propria indipendenza in rapporto al potere politico, e questo fenomeno è sfociato in molteplici conflitti tra le due istituzioni, infiammatisi ancor più con Berlusconi. Il controllo della costituzionalità si accentua, e questo provoca una sorta di «giuridizzazione» dei rapporti politici e sociali. Infine, Europa significa dover rinunciare a qualche particella di sovranità in ambito monetario, economico, giurisdizionale, e persino in ambito politico e sociale, rinunce oggi percepite molto meno bene dagli italiani rispetto al passato perché non si concretizzano automaticamente in un miglioramento tangibile nella quotidianità e perché le scelte italiane non sempre sono state ben giustificate davanti all’opinione pubblica dai governi di Berlusconi. Nello stesso modo di quanto avviene presso altri membri dell’Unione Europea, il quadro tradizionale dello Stato nazione si spacca, senza che ne nasca automaticamente uno Stato europeo: questa fase di transizione alimenta l’incertezza, le esitazioni, i dubbi e le critiche, in Italia come altrove.

L’analisi di questi sviluppi richiede ovviamente di tener conto delle nuance: i partiti politici non sono scomparsi del tutto e costituiscono apparati sempre più importanti. I mezzi di informazione e di comunicazione non sono poi così influenti come assicurano coloro che si sentono delusi da Silvio Berlusconi. I giudici sono sicuramente più influenti, ma gli uomini politici mantengono il controllo della situazione. I movimenti nati dal basso, dalla società, si moltiplicano e ormai hanno un loro peso sulle decisioni pubbliche, ma incontrano enormi difficoltà a istituzionalizzarsi. L’Europa continua a lasciare un ampio margine di manovra in numerosi settori di cruciale importanza per l’Italia come per qualsiasi altro Stato-membro.

Volendo ricorrere ad un’altra definizione, la democrazia italiana come le altre democrazie europee occidentali, vive un’incerta mutazione. Essa non corrisponde più esattamente ai criteri della democrazia rappresentativa, ma non è ancora diventata la democrazia dell’opinione pubblica. Da questo punto di vista uno dei paradossi del periodo Berlusconi che colpiscono maggiormente ha appunto a che vedere col fatto che, per reazione a quest’ultimo, ha effettivamente visto la luce in Italia con un bel distacco rispetto ai vicini europei una nuova forma di rapporto con la politica: lo comprovano l’importanza delle associazioni, la vitalità dei movimenti dei cittadini, ma altresì il tentativo dei partiti, per lo meno quelli del centro-sinistra, di gettare nuovi ponti verso alcune componenti della società civile.

Il periodo Berlusconi è altresì emblematico dell’incerta fase nella quale è precipitata la società italiana. Essa da un lato è travagliata da un movimento di individualizzazione che fa saltare in aria le ultime coesioni delle classi sociali e incrinare ancora di più i fondamenti di un senso civico storicamente debole; dall’altro essa è in ugual modo resa fragile dalle forze di disgregazione che valorizzano, con la Lega Nord, gli interessi della parte settentrionale del Paese a discapito del Sud, o con questo o quell’altro gruppo di interesse, le rivendicazioni di uno strato sociale preciso, a detrimento del bene comune.

Eppure, per un altro verso ancora, questa stessa società italiana è continuamente alla ricerca di solidarietà. Le solidarietà di vecchia data rimangono vive grazie alla "sociabilità primaria" della famiglia o a quella più istituzionale dei sindacati, potenti ma in via di invecchiamento e comunque sempre più confinati nel settore pubblico. Nuove solidarietà si vanno affermando con l’invenzione di forme inedite di aggregazione e di coesione, che si realizzano per alcuni dei suoi componenti intorno alle imprese, nell’ambito locale o regionale, o che si formano nei «centri sociali» che costituiscono una sorta di società parallela e alternativa, o che ancora si manifestano nell’ambito della grande panoplia di movimenti civili di lotta alla mafia, di denuncia della «dittatura» di Berlusconi, di resistenza all’arrivo nelle valli alpine della Tav che collegherà Lione e Torino, di opposizione alla costruzione di un ponte nello Stretto di Messina e così via. È molto significativo il fatto che gli italiani accettano sempre più apertamente l’economia di mercato, e al contempo esprimono un forte attaccamento all’esistenza di uno Stato sociale modernizzato, attaccamento che trascende la spaccatura destra-sinistra. Pertanto, l’italiano è individualista, ma non è mai solo.

Il periodo Berlusconi riflette dunque molto bene la deriva dell’Italia, nel senso che sia il suo presente sia il suo avvenire sono pieni di indecisione e del tutto imprevedibili.

Codesta incertezza è quanto mai aggravata dal cumulo di cattivi indici economici e demografici, e dall’ampliarsi delle disparità sociali che affliggono la costellazione largamente maggioritaria delle classi medie. La forte diffidenza dei cittadini nei confronti della maggior parte delle loro istituzioni e dei loro dirigenti politici alimenta anch’essa il dubbio e lo scetticismo che si respirano.

Tutto ciò significa forse che l’Italia è inesorabilmente condannata a mettere il piede in fallo e addirittura a cadere?

La storia dimostra che ogni volta che questo Paese si è ritrovato in ginocchio, a terra, poi ha saputo rialzarsi in modo spettacolare. Così è avvenuto - volendo limitarsi alla sola seconda metà del ventesimo secolo - all’indomani della seconda guerra mondiale, o negli anni Sessanta-Settanta, all’epoca dell’ondata di contestazione cui fece seguito l’offensiva del terrorismo rosso e nero. Le sue capacità di riprendersi completamente sono dovute al senso di responsabilità di cui danno prova - checché se ne dica - numerosi tra coloro che prendono le decisioni e alla vitalità della sua stessa società, abituata a non fare completamente a meno dello Stato e dei politici, ma a trovare insieme ad essi accomodamenti, soluzioni e appoggi utili a mettere a punto una forma di controllo. Andrà dunque a finire così, in questo inizio di nuovo millennio? A suo favore, l’Italia dispone di considerevoli riserve di intelligenza, di talento e di inventiva nella società transalpina come in una parte della cerchia dei suoi dirigenti, malgrado l’esecrazione di cui sono oggetto questi ultimi.

In realtà, la salvezza non arriverà soltanto dalla società civile, come sostiene una vulgata molto diffusa in Italia e all’estero. La capacità di sapersi trarre d’impaccio, il dinamismo, l’ingegnosità non basteranno per raccogliere le sfide economiche, scientifiche e tecnologiche della nostra epoca e farvi fronte. Occorreranno altresì - e molto più che in passato - la volontà politica e insieme ad essa politiche pubbliche efficaci, in grado di garantire una convivenza.

Questo presuppone che le élite italiane sappiano dare nuove fondamenta alla propria legittimità e che la crisi della rappresentanza politica si risolva. Queste sono due delle sfide che periodicamente segnano e orientano la traiettoria di questo paese. Il Sisifo dei tempi moderni è senza alcun dubbio italiano.

(Traduzione di Anna Bissanti)

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