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Benedetto Vecchi
L'invenzione del territorio
31 Maggio 2008
Articoli del 2008
Una lettura non superficiale dell'episodio del Pigneto che smonta il paradigma populista del “territorio”. Da il manifesto, 31 maggio 2008 (m.p.g.)

Ha il «Che» tatuato sul braccio, ma quell'icona non ha nulla a che vedere con la partecipazione all'azione in difesa del suo territorio. Dario è un uomo vero e non c'è da dubitare che dica il vero, conosce le vie, gli angoli, gli uomini e le donne del Pigneto e non ne tollera più il degrado a causa di una «riqualificazione urbana» che caccia i vecchi abitanti per lasciar posto a chi è disposto a investire cifre astronomiche per una casa in un un salotto dell'intellighentzia un po' radical e molto chic. Ha deciso di intervenire perché il radicamento nel territorio legittima la sua aspirazione a rappresentarlo, visto che le forze politiche, senza nessuna distinzione tra destra e sinistra, si comportano come forze di occupazione, negando ai «vecchi abitanti» l'esercizio di poter decidere delle proprie vite.

Quella di Dario è l'orgogliosa dichiarazione di appartenenza a un territorio e alla comunità che lo abita in piena sintonia con lo spirito del tempo dominante, a nord come a sud, a est come a ovest.

Ma il territorio non esiste. Esistono luoghi e forme di vita inseriti in un rapporto dialettico con flussi di capitale che vogliono conformare quelle relazioni sociali alle compabilità economiche decise sempre altrove. Da questo punto di vista il Pigneto è paradigmatico del nesso instabile, flessibile e contrattuale tra il globale e il locale. Un quartiere viene coinvolto in un progetto di valorizzazione economica per attrarre professionisti, operatori culturali e i migranti destinati ai lavori precari e servizi a bassa qualificazione di cui hanno bisogno gli «abbienti». Una dinamica omologa a quanto avviene in molti quartieri di Milano o nella metropoli diffusa che è il nord-est.

Il sistema politico ha lasciato fare, cercando tuttalpiù di avviare uno scambio politico con le imprese coinvolte nel flusso di capitale. Andate pure avanti, ma almeno garantite qualche servizio sociale per la popolazione residente: questo è stato il refrein da alcuni lustri a questa parte. Ma i flussi di capitale non tollerano ostacoli. Da qui i punti di frizione con i «residenti». E se a Milano, la metropoli deve arrivare con i migranti sotto controllo alla grande avventura dell'esposizione universale, al Pigneto il livello di guardia è stato superato quando le forme di vita consolidate - livelli di salario e di reddito, di accesso al mercato del lavoro, di informalità delle norme del vivere associato - hanno percepito che di quel flusso di capitale rimaneva ben poco per loro residenti. Da qui l'individuazione, questa sì fascista, di un nemico dello status quo, che non è in chi governa e orienta il flusso di capitale, ma in chi vuol nuotare in quel flusso di capitale.

Il paradigma del territorio usato per spiegare tanti fenomeni va analizzato attentamente per smontarlo, perché occulta i rapporti sociali dominanti, lo svuotamento del governo in amministrazione dell'esistente. E che alimenta un populismo postomoderno dove la comunità vede i carnefici rivendicare un'eterogenesi dei fini con le proprie vittime.

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