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Eugenio Scalfari
L’impossibile dialogo tra il lupo e l’agnello
7 Settembre 2008
Articoli del 2008
Implosione ed entropia a sinistra, questione Alitalia,”dialogo” tra gli opposti e ruolo del Parlamento, consigli al PD. La Repubblica, 7 settembre 2008

Un osservatore spassionato che volesse descrivere quanto sta accadendo nella sinistra italiana in tutte le sue varie espressioni, da quella riformista a quella massimalista, dovrebbe servirsi della parola “implosione”. La sinistra sta implodendo, i suoi punti di riferimento non sprigionano più l’energia sufficiente a delineare una direzione di marcia, i fari non emettono più segnali di luce capaci di illuminare i lineamenti della costa e gli scogli che la cospargono.

Implosione ed entropia: dopo lo sforzo compiuto nella campagna elettorale e la sconfitta subita l’energia si è dispersa e degradata. Il secondo principio della termodinamica descrive questo processo che si applica non solo in natura ma in ogni entità organizzata e questo è anche il caso dell’opposizione politica e di quella sindacale. Le forze centrifughe prevalgono su quelle centripete. Il risultato è la frammentazione della sinistra e, al limite, la sua polverizzazione.

Il fenomeno potrebbe ancora essere arrestato? Difficile dirlo, ma certo il punto di non ritorno, la soglia oltre la quale il processo diventa irreversibile è molto vicino e questo si avverte con particolare intensità nel Partito democratico che essendo la forza più rilevante dell’opposizione è quella dove i fenomeni di decomposizione sono più visibili e suscitano i massimi contraccolpi.

Il presidente della Regione Lazio, che vuole entrare come azionista nella nuova Alitalia contro il parere del suo partito, ha detto l’altro ieri che il centralismo democratico è finito. L’ha detto con un senso di liberazione.

È vero, il centralismo democratico del vecchio Pci è finito da tempo e comunque i rappresentanti di istituzioni rispondono ai loro elettori prima ancora che agli organi del partito al quale appartengono.

La rivendicazione di questa autonomia istituzionale è un bene che non va sottovalutato, ma tra l’autonomia e il “liberi tutti” c’è una differenza di fondo quantitativa e qualitativa che non può essere ignorata. Diversamente il “liberi tutti” si trasforma rapidamente in un “tutti a casa” che è esattamente ciò che sta accadendo nel Partito democratico, in Rifondazione comunista e in tutto quel vasto elettorato che rappresenta il 40 per cento di elettori e che sta perdendo il senso dell’appartenenza nel momento stesso in cui perde di vista le finalità dell’azione politica e degli strumenti necessari per realizzarne gli obiettivi concreti.

Ho fatto altre volte il confronto con un fiume che rompe gli argini e si sparge nelle campagne circostanti. Quando questo fenomeno avviene le ipotesi su quanto accadrà subito dopo sono tre. La prima è che l’acqua del fiume rientri nel suo letto naturale e riprenda a scorrere come prima; la seconda è che si scavi un nuovo alveo e scorra con la stessa pendenza tra nuovi argini; infine la terza è che diventi palude, acquitrino infestato da miasmi e zanzare, luogo di caccia alle anatre che, ignare e indifese, starnazzano in cielo.

* * *

Il governo, la sua maggioranza e gran parte dei “media” cercano dal canto loro di accentuare questo processo di disfacimento dell’opposizione. In vari modi.

Uno di essi, il più frequentato, si svolge intorno alla parola “dialogo”. S’invoca il dialogo, si vuole il dialogo e se ne tesse la tela attraverso il dialogo con pezzi dell’opposizione o addirittura con singoli personaggi. «La sventurata rispose» scrive il Manzoni quando la Monaca di Monza parla con il suo amante e acconsente al rapimento di Lucia. Credo che nella maggioranza dei casi i personaggi che hanno accettato di dialogare siano in perfetta buona fede e non abbiano in animo di far rapire alcuna Lucia, ma non toglie che la polverizzazione d’un partito di opposizione passa anche attraverso pratiche che si prestano ad essere scambiate per trasformismo, quale che siano le intenzioni degli interessati, suscitando fenomeni analoghi e non sempre altrettanto innocenti.

Il vero punto in discussione sta proprio nella parola dialogo. A volte il lessico è lo strumento diabolico che Mefistofele usa con i vari Faust che cadono nelle sue grinfie. Si dovrebbe usare – come fa il presidente Napolitano quando tocca quest’argomento – la parola confronto. Walter Veltroni l’ha detto molte volte: il confronto tra forze politiche in un sistema di democrazia parlamentare avviene in Parlamento e alla luce del sole.

A quel confronto nessuno si può sottrarre a meno di non modificare la Costituzione. E il Partito democratico non si è sottratto, ottenendo in alcuni casi qualche successo. Per esempio nel caso dell’emendamento “blocca processi” che fu tolto dal decreto legge sulla sicurezza, auspice anche la presidenza della Repubblica che fece pesare con forza la sua opinione in proposito. E per esempio nel caso dei “rom” e del “censimento” dei loro bimbi, più volte annunciato dal ministro Maroni a beneficio dei suo elettori leghisti ma poi abbandonato anche per le pressioni della Commissione di Bruxelles e del Consiglio d’Europa.

Il confronto parlamentare avviene tra forze politiche e non tra singoli personaggi e questa è la sostanza della democrazia parlamentare. Certo un partito non vive soltanto in Parlamento: vive, dovrebbe vivere, nel Paese, sul territorio, elaborando programmi specifici e concreti all’interno di una visione complessiva del bene comune e delle regole che ne scandiscono il funzionamento.

Questa presenza politica e questa elaborazione culturale sono gli aspetti manchevoli che abbiamo segnalato; a causa di questa assenza o presenza troppo debole i fenomeni di implosione, frammentazione, dialogo di singoli con lo schieramento avversario, si moltiplicano con diffuso gaudio del governo, della maggioranza e dei “media” consenzienti e addirittura dediti al picconamento dell’opposizione.

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Ho accennato all’intenzione del presidente della Regione Lazio di entrare come azionista nella compagine societaria della nuova Alitalia (Cai). Se il suo desiderio fosse accettato dagli azionisti della Cai la privatizzazione di Alitalia subirebbe uno strappo a favore di un ente locale interessato a “tutelare” le sorti dell’aeroporto di Fiumicino. Lo stesso Marrazzo ha auspicato un analogo ingresso del presidente lombardo Formigoni a tutela degli interessi dell’aeroporto di Malpensa.

C’è qualche cosa di storto in questo modo di ragionare. Se gli enti locali sul cui territorio operano aeroporti importanti dovessero far parte della Compagnia di volo dovrebbero entrarvi anche Napoli, Palermo, Bari, Venezia, Bologna ed altri ancora. L’assemblea della società diventerebbe una stanza di compensazione di interessi contrapposti con tanti saluti alle regole del mercato.

Ma una stanza di compensazione tra interessi forti la nuova Alitalia lo è già. Non a caso il senatore Luigi Zanda ha scritto una lettera pubblica e formale al presidente dell’Antitrust segnalando i macroscopici conflitti di interessi di alcuni azionisti della Cai, in particolare i Benetton, i Riva, gli Aponte e parecchi altri. Sarà interessante vedere come si comporterà l’Antitrust su una questione così delicata.

Quale dovrebbe essere la funzione del Partito democratico, posto che il trasporto aereo è un tema di rilievo nazionale sul quale una forza politica ha pieno titolo di esprimersi?

Credo che il Pd – come ogni altro partito – debba dire la sua sulla privatizzazione della Compagnia, sui molteplici conflitti di interesse presenti nella nuova società, sul piano industriale, sugli oneri che esso comporta per la finanza pubblica. Il problema degli esuberi è una derivata del piano industriale, come correttamente sostiene la Cgil.

È pacifico per tutti che in tempi di globalizzazione non esiste la possibilità di una società di trasporto aereo che non sia inserita in un “network” internazionale, a meno che non si tratti d’un vettore esclusivamente locale, con una piccola flotta di aerei e pochi dipendenti. Ma questo non è il caso dell’Alitalia.

I network interessati a livello europeo sono tre: Air France-Klm, British, Lufthansa. I tedeschi vedono in Alitalia uno strumento per aprirsi la strada verso l’Africa e l’Asia. I francesi e gli inglesi questa apertura ce l’hanno già e vedono in Alitalia un contenitore di passeggeri. Trenta milioni di passeggeri che negli anni saranno destinati a raddoppiare se inseriti in un quadro di ben altre dimensioni.

Quanto ai nuovi azionisti della Cai, realisticamente essi sanno che gli utili della Compagnia saranno assai magri nei primi cinque anni; non è quindi per la profittabilità dell’impresa che essi hanno deciso di impegnarvisi. Tantomeno per sentimenti patriottici, lodevoli ma estranei ad un piano industriale.

I soci della Cai, tutti ad eccezione di Colaninno, hanno interessi extra-Alitalia da promuovere e tutelare e questa è già una buona ragione per metter nel piatto un “cip” e sedersi a quel tavolo. Ma ce n’è un’altra di ragione: far nascere una nuova Alitalia, ripulita da tutte le croste accumulatesi durante gli anni. La ripulitura non costerà nulla alla Cai, la fa Fantozzi a spese dello Stato.

Una volta compiuta la ripulitura, Alitalia possiederà una flotta di media importanza, una serie di diritti di volo soprattutto sul territorio nazionale e un pacco-passeggeri di trenta milioni di unità destinate ad aumentare fino al raddoppio. Il conto economico, l’abbiamo detto, darà risultati magri, ma il valore patrimoniale di una società ripulita a dovere sarà notevolmente più elevato: dopo il 2011 la Cai potrà valere a dir poco un quarto in più rispetto al patrimonio di partenza. A quel punto gran parte degli attuali azionisti, che non hanno alcun interesse per il trasporto aereo, usciranno dall’affare realizzando cospicue plusvalenze. A spese dello Stato e dei contribuenti.

Questo è l’affare Alitalia, questa è la logica del mercato e questa sarà la soluzione finale della compagnia aerea italiana. Colaninno, che buon per lui non ha conflitti d’interesse in questa vicenda, probabilmente resterà a guidare la sezione italiana del “network” internazionale nelle cui capaci braccia si spegnerà la cordata tricolore.

* * *

Ci sono molti altri temi di confronto tra maggioranza ed opposizione: la sicurezza, la giustizia, l’istruzione, la sanità. L’uscita dei partiti dalle Asl e dalla Rai e il riassetto dell’azienda televisiva. Il federalismo fiscale. E naturalmente le riforme costituzionali, legge elettorale compresa.

Il luogo del confronto è il Parlamento dove contano i voti ma conta anche il consenso che i partiti si guadagnano nel Paese con la loro presenza, le loro proposte, i loro programmi, i valori dei quali sono portatori.

Se la crisi della sinistra e in particolare del Pd è l’appannamento della leadership, conviene dunque concentrarsi su questa questione e risolverla. Bisogna contemporaneamente costruire il partito sul territorio, risollevare l’animo e l’impegno degli elettori, dare forza al vertice del partito, utilizzare l’esperienza dei cosiddetti senatori del Pd portando però nella prima linea operativa una generazione di giovani da addestrare e a cui affidare a tempo opportuno la guida.

Nelle aziende e nelle banche di grandi dimensioni questo schema si chiama “duale”, un consiglio di sorveglianza e un consiglio di gestione; nel primo stanno i saggi, nel secondo gli operativi. Forse uno schema del genere non si adatta ad un partito politico ma può comunque essere adatto a suggerire una soluzione adeguata.

C’è pochissimo tempo per riprendere la marcia. L’opposizione scricchiola, la gente si disimpegna, le rivalità interne si incistiscono. Bisogna spezzare questo circuito nefasto.

Credo che la responsabilità di riaccendere le luci d’una casa abbuiata incombano su Veltroni. Del resto è lui il segretario in carica. Decida e operi, chiami a raccolta tutti coloro che in quel partito ci credono ancora e cammini insieme a loro con idee precise e chiaramente enunciate.

Chi vuole dialogare con l’avversario a titolo personale non è un traditore. Può essere un ingenuo. Oppure un vanitoso. Comunque, se vuole farlo lo faccia a proprio rischio senza pretendere di rappresentare un partito perché l’ingenuità e la vanità possono condurre al disastro una forza politica.

Per il lettore giovane. Il “centralismo democratico” è il termine che designa il sistema di decisione-azione che ha caratterizzato il Partito comunista italiano, e altri partiti di matrice leninista. In base a quel sistema la discussione che precede le decisioni è aperta a tutti gli iscritti, nelle varie sedi di quel partito, la decisione è presa a maggioranza e poi, una volta decise le posizioni e le azioni, queste sono rispettate da tutti. La pratica del “centralismo democratico” ha come postulato il carattere elettivo di tutte le istanze decisionali.

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