Una intelligente lettura di un'anciclica che non è solo "ambientalista, e tutt'altro che "green". A dispetto del titolista di la Repubblica (23 giugno) la definiremmo "rosso-verde"
Francesco, infatti, presenta l’ecologia come un problema che ne contiene molti altri e parla in questo senso di “ecologia integrale”. Ma segue una bussola che gli impedisce di disperdersi: insieme ai gemiti di sorella Terra, occorre ascoltare anche quelli dei fratelli poveri. Sono infatti questi che più subiscono le conseguenze più pesante della crisi ecologica, dall’uso distorto delle risorse idriche alle disuguaglianze crescenti, della mancanza di lavoro agli universi artificiosi creati dai mass media. Le grandi città del mondo sono ormai divise in aree nettamente separate, anche sotto il profilo ambientale, e coloro che abitano nell’area dei ricchi non sono in grado i capire veramente la portata della crisi ecologica attuale, di cui costituiscono una manifestazione impressionante le montagne di spazzatura dove vivono tanti poveri delle megalopoli extraeuropee. Ecco perché nei grandi incontri internazionali le questioni che li riguardano non vanno trattate come un’appendice dopo che sono stati affrontati tutti gli altri problemi: solo assumendo la prospettiva dei poveri si trovano le chiavi per risolverli.
Come si è detto, il papa si rivolge a tutti. Ma l’enciclica presenta un forte nucleo religioso. Francesco non lo colloca in apertura e non lo propone come la premessa da cui far discendere in via deduttiva le diverse argomentazioni. Lo inserisce piuttosto nel cuore dei problemi sottolineando che i cristiani – e in parte anche i credenti di altre religioni – hanno motivazioni forti per contrastare la crisi ecologica. Ciò in cui essi credono costituisce perciò – insieme ad altri apporti - una risorsa preziosa per tutti, nella resistenza contro quell’ideologia del dominio assoluto dell’uomo sull’ambiente che si ritorce contro l’uomo stesso. Ispirandosi a Romano Guardini, Francesco critica quell’idea di verità da cui è scaturito il mito di un progresso senza limiti e che egli ha spesso contrastato con lo slogan: “la realtà è superiore all’idea”. Nella corsa verso il dominio sulle cose, infatti, si è perso di vista il limite costituito dalla realtà: è ciò che definisce “relativismo pratico, ancora più pericoloso di quello teorico”. Nell’enciclica, però, Francesco non contrappone natura e cultura: insiste invece sulla necessità di un rapporto armonioso tra l’iniziativa dell’uomo e la realtà della creazione, tra l’umanità e l’ambiente.
Francesco non ruba il mestiere né agli intellettuali né ai politici. Ma nel vuoto che avverte intorno a sé rilancia vigorosamente l’esigenza espressa dalla Veritas in caritate di Benedetto XVI di intraprendere la strada di “un impegno inedito e creativo” per “conoscere ed orientare le imponenti nuove dinamiche” del mondo globalizzato. Il suo è un appello preoccupato. «Non disponiamo ancora della cultura necessaria per affrontare questa crisi e c’è bisogno di costruire leadership che indichino strade» per rispondere alle necessità delle generazioni presenti senza compromettere quelle future. Ancora oggi la politica si sviluppa nell’orizzonte degli Stati nazionali o al massimo della loro proiezione transnazionale. Ma oggi i problemi sono globali, come conferma il dramma dell’immigrazione, uno dei problemi chiave di un’ecologia veramente umana. Ponendo la questione ecologica in termini tanto ampi, Francesco chiama tutti gli abitanti della Terra a sentirsi cittadini dello stesso spazio politico e le classi dirigenti di tutto il mondo ad assumersi responsabilità sconosciute ad altre epoche.