Il gruppo che fa capo all'imprenditore di Paternò riassume il modello italiano di business nella sua forma più pura: scarsi rischi e alti utili, profitti privati e perdite pubbliche. Dagli esordi immobiliari alla profonda crisi attuale - ignorata dalla Consob dormiente - i numeri di una storia tutta italiana. Postato il 22 ottobre 2010
Premessa
Una delle basi fondamentali della costruzione della finanza moderna, costruzione che ha valso, negli ultimi decenni, a molti degli studiosi che vi hanno contribuito il premio Nobel per l’economia, è quella che correla il rendimento di un investimento al suo livello di rischio: più alto il rischio, più alto deve essere il rendimento, più ridotto il rischio, più ridotto il profitto relativo.
Ma questa massima, evidentemente, è largamente ignorata nel nostro bizzarro paese, dove le grandi fortune si fanno spesso prendendosi rischi bassissimi. Così il modo più semplice e contemporaneamente tra i più redditizi per fare impresa in Italia è di solito quello di avviare un business nel settore delle costruzioni, in particolare sviluppando delle attività immobiliari. Basta essere abili nelle relazioni, essere disposti a trasgredire le regole e collegarsi a qualche politico di peso, coinvolgendo quest’ultimo ed eventualmente il suo partito/corrente/gruppo affaristico, in qualche modo “finanziariamente”, negli specifici progetti da portare avanti. E il gioco è fatto. Si può dire che sulle modalità appena indicate si basa un meccanismo di “accumulazione primitiva” fondamentale dei capitali in Italia.
Se poi qualche cosa in itinere va male, si può ricorrere anche a qualche banchiere di fiducia, che comunque, a suo tempo, colpito dalle loro capacità “imprenditoriali”, avrà già accompagnato i nostri eroi, con ampie linee di credito, nei loro vari progetti.
Il modo più elementare, dal punto di vista operativo, per fare poi dei soldi nel settore è quello, ampiamente noto, di comprare dei terreni agricoli, farseli trasformare in aree edificabili e far poi arrivare i geometri con i camion e le gru. Una ricetta quasi infallibile. Ma le possibili varianti del gioco dei soldi possono essere molte.
Pensiamo che Salvatore Ligresti, forse in questo momento il campione più rappresentativo del settore immobiliare del nostro paese, abbia sperimentato quasi tutte tali varianti nel corso della sua lunga vita. E’ anche giusto che le attuali gravi difficoltà del nostro modello di sviluppo trovino puntuale simmetria nei rilevanti problemi attuali dell’imprenditore siciliano.
La storia
Originario di Paternò, in Sicilia, Ligresti si trasferisce a Milano sul finire degli anni cinquanta. Sulla sua carriera finanziaria aleggeranno a lungo, come del resto su quella di Berlusconi, dei sospetti di legami con la mafia, mai provati anche dopo alcune indagini della magistratura. Nella città lombarda si fa strada con abilità; ad un certo punto stringe i legami con Bettino Craxi, grazie anche al quale negli anni ottanta avviene l’esplosione dei suoi affari, quando, da una parte, diventa il protagonista della grande crescita edilizia della città, mentre, dall’altra, riesce a mettere le mani in maniera avventurosa, dopo anche delle aspre vicende giudiziarie, sulla società di assicurazioni Sai, già di proprietà del gruppo Fiat. Egli stringe presto i suoi legami anche con Enrico Cuccia, mentre è da sempre molto vicino alla famiglia Larussa, anch’essa di Paternò.
Nel 1986 scoppia a Milano lo scandalo delle aree d’oro: Ligresti viene indagato per corruzione, ma alla fine se la cava con delle piccole condanne. Negli anni novanta lo attendono altri e più seri guai giudiziari: coinvolto, tra l’altro, in tangentopoli, l’imprenditore viene condannato a due anni e quattro mesi e va in galera; ma dopo poco tempo, viene scarcerato e affidato ai servizi sociali. Seguiranno altre condanne minori.
Il suo impero imprenditoriale ne soffre molto e una crisi finanziaria lo spinge a cedere una buona parte delle sue attività. Ma poi, nei primi anni a cavallo tra il vecchio e il nuovo millennio, Mediobanca gli da una mano per farlo uscire dai guai. Si tratta peraltro della seconda volta –la prima era stata nel 1989 quando, per liberarlo da qualche problema finanziario, la banca era riuscita a far quotare in borsa la Premafin, la sua capogruppo, a prezzi astronomici. Sempre la banca d’affari milanese arriverà al soccorso una terza volta ancora nel 2010.
E’ del 2002 l’acquisizione di Fondiaria, sempre con l’aiuto determinante di Mediobanca. E’ del 2004, poi, l’ingresso nel patto di sindacato di Rcs. Intanto Ligresti si è alleato con Berlusconi e partecipa quindi da protagonista delle grandi operazioni immobiliari del periodo successivo. Ma egli non manca di fare affari anche in città rette dal centro-sinistra, come Firenze e Torino. Nel 2008, su sollecitazione di Berlusconi, parteciperà all’ operazione Alitalia, insieme ad una serie di imprenditori titolari di business fortemente legati alla politica. Nello stesso 2008 viene indagato dalla procura di Firenze per episodi di corruzione legati ai progetti edilizi della città e nel 2010 viene rinviato a giudizio.
La struttura societaria attuale
Per arrivare a Premafin, il centro nodale della attività del gruppo, bisogna passare attraverso l’intermediazione di molte società. Così i tre figli di Salvatore Ligresti si servono di strutture di diritto lussemburghese, la Hike, la Canoe e la Limbo, attraverso le quali controllano complessivamente circa il 31% del capitale della finanziaria –le percentuali relative ai possessi azionari delle varie società, in questo come nei casi successivamente citati, vanno considerate come approssimative, dal momento che le varie fonti spesso danno delle cifre differenti. Le azioni possedute dalle tre società sono però depositate presso una fiduciaria, la Compagnia Fiduciaria Nazionale. Salvatore Ligresti, invece, attraverso un’altra lussemburghese, la Starlife, controlla totalmente Sinergia, che a sua volta possiede il 60% della Imco; Sinergia e Imco detengono complessivamente circa il 20% della Premafin. Salvatore Ligresti e i suoi figli sono poi legati da un ferreo patto di sindacato e, nella sostanza, comanda soltanto il padre, ormai vicino agli ottanta anni di età.
Ai tre figli, che occupano cariche di presidente, vicepresidente, consigliere, nella varie società del gruppo, vengono riconosciuti rilevanti stipendi e bonus, che ad esempio nel 2008 hanno oscillato tra i 4,6 e i 5,0 milioni di euro per ciascuno; in questo modo, essi estraggono ogni anno rilevanti somme dalle società operative, che, almeno in parte, impiegano poi per rinforzare le basi patrimoniali e finanziarie delle società comprese nella parte alta della piramide. Che i proprietari di un’impresa ottengano dei bonus legati ai risultati annuali appare singolare e una delle tante caratteristiche per così dire “pittoresche” del nostro paese.
L’intero pacchetto del 51% della Premafin in possesso delle varie società della famiglia sarebbe peraltro da molto tempo in pegno alle banche a fronte dei crediti concessi dalle stesse (Pons, 2010).
La Premafin, a sua volta, controlla circa il 47,7% del capitale della Fonsai –un altro 11% è nella mani della stessa Fonsai e della Milano Assicurazioni-, la principale struttura operativa del gruppo, che è anche la seconda entità assicurativa del paese, nata dalla fusione tra Fondiaria e Sai. Con circa 12 miliardi di premi raccolti nel 2009, essa possiede poi partecipazioni, di controllo e non, in molte società di tipo assicurativo, immobiliare, finanziario e vario.
Un’altra società controllata da Premafin, l’Immobiliare Lombarda, partecipa poi al controllo della più grande impresa di costruzioni italiana, la Impregilo; il gruppo Ligresti, il gruppo Benetton e il gruppo Gavio possiedono in effetti insieme, a partire dal 2005, attraverso la Igli –di cui ognuno dei tre soci detiene il 33,3% delle azioni-, il 29,9% del capitale della stessa Impregilo. Il controllo del gruppo è stato a suo tempo rilevato dai tre soci dalla Gemina in difficoltà, grazie, come al solito, anche agli auspici di Mediobanca. Tra gli altri soci di Impregilo si segnalano anche le Generali, con il 3,25% del capitale.
La Premafin detiene inoltre il 5,5% del capitale della Rizzoli- Corriere della Sera, il 5% della Pirelli, il 4,2% di Gemina, il 3,9% di Mediobanca, l’1% di Assicurazioni Generali, lo 0,4% di Montepaschi, lo 0,3% infine di Unicredit. Così la finanziaria costituisce un nodo importante del sistema di equilibri di potere economici e politici del nostro paese, partecipando tra l’altro a numerosi patti di sindacato sulle stesse società sopra indicate. Qui risiede una fonte molto importante, anche se non la sola, del potere di Salvatore Ligresti e della sua sicura ancora di salvezza in caso di difficoltà.
In un tale quadro di riferimento, ovviamente l’interesse di Ligresti per i processi di internazionalizzazione appare molto limitato. Le sue società di assicurazione hanno una proiezione estera che è, nella sostanza, minima e non sappiamo neanche di rilevanti iniziative immobiliari del gruppo in una direzione che non sia nazionale. Importante è invece la dimensione internazionale delle attività di Impregilo, ma essa è preesistente all’ingresso di Ligresti e degli altri attuali soci nella compagine azionaria della società.
Le difficoltà in essere e il loro precario superamento
Nel 2010 Ligresti deve far fronte a quella che appare forse la più grave crisi della sua carriera. La Fonsai, complice la crisi, registra in bilancio 390 milioni di euro di perdite nel 2009 e circa altri 157 nel primo semestre del 2010, dopo aver ottenuto un utile di 620 milioni nel 2007 e di soli 91 milioni invece nel 2008 –la crisi aveva già cominciato a mordere.
Rileviamo, parallelamente, che la società presenta da sempre una struttura finanziaria più consona agli interessi di controllo di Ligresti che a quelli degli investitori (Penati, 2010). Tra l’altro, vi si registra un’incidenza degli investimenti immobiliari – quelli in particolare che Ligresti ha interesse a scaricare sul suo bilancio- sul totale degli impieghi che è molto più alta delle consuetudini del settore. La Fonsai è inoltre obbligata a tenere in bilancio titoli azionari pari al 7% del capitale della controllante Premafin, più altre partecipazioni improprie, mentre essa stessa appare largamente sottocapitalizzata. Intanto la Milano assicurazioni perdeva 140 milioni nel 2009 e 195 nel primo semestre 2010. Parallelamente la Premafin ha presentato un deficit economico di 413 milioni nel 2009 e di un po’ più di 175 nel primo semestre di quest’anno.
Hanno pesato sui risultati delle strutture citate sia il cattivo andamento del comparto assicurativo che di quello immobiliare.
Se la Consob obbligasse Ligresti ad adeguare il valore di carico in Premafin della partecipazione in Fonsai a quello di mercato il colpo sarebbe molto duro, perché significherebbe una minusvalenza di 562 milioni in capo alla controllante. Ma la Consob, organismo che si è dimostrato nel tempo del tutto inutile, si guarda bene dal muovere un dito.
Intanto l’immobiliare Sinergia, che presenta in bilancio un debito intorno ai 300 milioni di euro, non ha pagato le rate che scadevano a giugno 2010 su una linea di credito di 108 milioni concessa da Unicredit e su di una di 30 milioni concessa da GE Interbanca.
Per far fronte a queste ed altre difficoltà Ligresti ha mosso delle pedine su più fronti. Intanto ha sostanzialmente fatto prelevare denaro dalle casse della Fonsai pur in difficoltà per dare ossigeno alle società di famiglia, in particolare alla Imco e alla Sinergia, con buona pace ancora una volta della Consob e degli azionisti di minoranza della stessa Fonsai. In dettaglio, la società assicurativa, mentre è spinta per suo conto a vendere molti immobili per fare cassa e per superare le sue difficoltà interne, viene obbligata ad acquistare società, palazzi e terreni dal suo azionista, tra i quali in particolare l’intero capitale di Immobiliare Lombarda, una catena alberghiera, la Ata hotels, nonché quote dei fondi di investimenti inventati da Ligresti per collocarvi degli altri suoi immobili. Così Ligresti ha venduto con una mano e comprato con l’altra (Oddo, 2010). Inoltre, sempre la Fonsai è obbligata a distribuire un dividendo anche dopo un bilancio così disastroso come quello sopra indicato.
Più in generale, sono arrivati in soccorso dell’amico in difficoltà Unicredit, Mediobanca, Generali, Intesa San Paolo, Mps, Interbanca e compagnia bella.
Così il riassetto finanziario di Sinergia si è fatto da una parte con la cessione alla fondazione MPS di Eurocity sviluppo edilizio per 110 milioni di euro, mentre dall’altra Unicredit ha accettato di ristrutturare il suo credito da 108 milioni di euro in scadenza a giugno 2010.
Un’altra partita difficile è anche avviata alla soluzione. Fonsai possiede attualmente, attraverso la Milano Assicurazioni, il 27,2 % di Citylife, la società titolare del megaprogetto di riqualificazione immobiliare sui terreni dell’ex fiera di Milano; con i suoi 2,4 miliardi di euro di valore esso appare uno dei maggiori progetti nel settore in Europa. Gli altri azionisti di Citylife sono le Generali con il 41,3% e Allianz con il 31,5%. La prima mossa significativa delle Generali sotto la presidenza di Geronzi è stata quella di fornire un paracadute finanziario al gruppo Ligresti (Riva, 2010); l’imprenditore siciliano non appariva in grado di partecipare alla presa in carico della quota del 20% posseduta precedentemente dalla famiglia Lamaro, così acquisite interamente dagli altri due soci; ma soprattutto Ligresti ha potuto accordarsi con Generali su di un’opzione di vendita della sua quota, opzione con scadenza nel settembre 2011.
Sempre Ligresti si è poi attivato per portare avanti, con la complicità dei comuni interessati, diversi progetti minori in Lombardia e si è messo a vendere anche una parte rilevante del suo patrimonio immobiliare, tra cui anche la torre Velasca a Milano.
Nel lungo termine, bisogna considerare che potrebbero diventare molto redditizi i terreni che Ligresti possiede in un quartiere a ridosso dell’area dell’Expo 2015 e che il comune di Milano vorrebbe trasformare in un gigantesco centro direzionale.
Le difficoltà del gruppo, per quanto forse superabili con il tempo, sembra che abbiano comunque risvegliato l’interesse su Fonsai di V. Bollorè, il finanziere francese che è uno dei protagonisti delle vicende Mediobanca-Generali; egli, per il momento, ha acquistato una partecipazione ridotta nella società, ma viene sospettato di essere potenzialmente pronto ad acquisirne il pacchetto di controllo per conto di una società assicurativa francese, la Groupama. Su questo punto ci sarebbero comunque delle discussioni con Mediobanca, che preferirebbe invece una qualche soluzione meno drastica ai problemi strutturali dello stesso Ligresti, soluzione che appare peraltro complessa.
Alla fine, il quadro del gruppo non appare certamente in prospettiva come molto brillante, ma non è da escludere che la famiglia, grazie alle sue abilità imprenditoriali, nonché grazie al supporto di amici e parenti, riuscirà a galleggiare ancora a lungo sulle vicende economiche e politiche del nostro paese.