Fra tutti i compagni di viaggio che si potevano auspicare per il nostro disastrato patrimonio culturale, quello del turismo è sicuramente il più scontato. E il più pericoloso. Già in passato avevamo rilevato come un abbinamento di questo genere tende ad appiattire, inesorabilmente, la funzione dei beni culturali e paesaggio a quella di strumento al servizio delle rendite economiche derivate dai flussi turistici. Non solo: il turismo, prima industria a livello mondiale, ha un’impronta ecologica pesantissima e, se non governata, è causa di pesanti ricadute su monumenti, città e paesaggi, in termini di pressione antropica, degrado dei centri storici, speculazione edilizia: fenomeni ormai ben noti al Bel Paese. Insomma rischia di essere l’attività che vampirizza e distrugge la risorsa che la alimenta.
Intendiamoci, la legittimità e opportunità di un uso turistico del nostro patrimonio culturale non è in discussione. Il problema è piuttosto di governare un fenomeno con strumenti più efficaci di quelli finora adottati, considerate le caratteristiche quantitativamente espansive che lo connotano. L’uso a fini turistici del nostro patrimonio culturale è invece tuttora caratterizzato da elementi di improvvisazione e superficialità di analisi che tendono ad appiattirsi su di uno sfruttamento acritico, in cui una “valorizzazione” improvvisata sforna eventi e attività senza innovazione e senza strategia.
L’insieme di questi problemi può essere però ricondotto ad una causa fondamentale: ciò che manca da troppo tempo al Collegio Romano è la capacità di elaborazione di una strategia complessiva che parta da una visione finalmente aggiornata e democratica della funzione sociale del nostro patrimonio culturale. Insomma, una politica dei beni culturali e del paesaggio degna di questo nome che sappia restituire al Ministero un ruolo di rilevanza primaria all’interno delle dinamiche governative.
Non sarà facile, ma mentre scrivo queste righe si rincorrono ancora le notizie relative all’attacco compiuto davanti a Montecitorio. L’autore è un operaio edile rimasto disoccupato. Una delle tante vittime del crollo di un settore che nel nostro paese è stato, negli ultimidecenni, al servizio soprattutto della speculazione e della rendita edilizia. Eppure il nostro paese avrebbe immediato, urgentissimo bisogno di quelle opere di manutenzione del territorio e riqualificazione edilizia che costituirebbero la prima e più importante opera di tutela di paesaggi e città. Insomma un filone in cui il Ministero dei beni culturali e quello dei lavori pubblici e infrastrutture potrebbero collaborare su di un piano non di contrapposizione o sudditanza (del primo nei confronti del secondo), come avvenuto finora, ma di reale parità. A vantaggio del patrimonio culturale, del paesaggio, della chimerica “crescita”. E di tutti i cittadini.