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L'Expo 2015 occasione agricola metropolitana
19 Luglio 2010
Milano
Da la Repubblica ed. Milano, 19 luglio 2010 due articoli di Stefano Pareglio e Alessa Gallione sottolineano – era ora – la necessità di uscire dalla logica solo infrastrutturale (f.b.)

Mettete il Parco Sud al centro dell’Expo

di Stefano Pareglio

Lo scorso anno Repubblica Milano ospitò la proposta di Battisti e Deganello per un’Expo diffusa, non rinchiusa nel recinto espositivo, che reimpiegasse strutture esistenti senza consumare aree libere. Che si diluisse nella città rivitalizzandola per (almeno) sei mesi. Che lasciasse in eredità spazi pubblici, alberghi low cost e magari residenze universitarie. Pareva un ragionamento di buon senso, ma non è stato preso in considerazione. Oggi registriamo il ritardo di M5 e soprattutto M4, anche se il recente Pgt, sconnesso dalla realtà, rilancia con una "circle line" e ben 10 linee di metropolitana. Assistiamo allo spegnersi di Ecopass, mentre Tem e Brebemi si preparano a portare nuovo traffico alle soglie della città. Vediamo apparire, e sparire, un fantascientifico tunnel urbano. E prendiamo atto che le suggestive vie di terra e d’acqua sono ormai sepolte, o naufragate, a seconda del caso.

Non si ragiona sul tema di Expo 2015, ma si baruffa sulla governance e sui tagli di bilancio. La querelle è ora rivolta alle modalità e ai costi per acquisire le aree e per attrezzare il sito espositivo: ulteriore testimonianza che è il lato "fisico" di Expo, quello che davvero interessa.

E allora chiediamoci: è opportuno, di questi tempi, e a questo punto, spendere qualche centinaio di milioni di euro (pubblici) per "valorizzare" aree libere in gran parte di proprietà privata? Le grandi serre bioclimatiche (250 anni dopo Kew Gardens, in piena era Internet), e l’orto globale, saranno sufficienti per attirare 20 milioni di visitatori? Chi assicurerà l’equilibrio economico di tali strutture, una volta terminato l’evento?

La risposta è sempre la solita: serve più sobrietà. Va preso atto che le risorse e soprattutto i tempi disponibili già impongono una (ulteriore) riduzione di scala del progetto. E suggeriscono l’adozione di un diverso modello espositivo: vediamola come un’opportunità. L’Italia è conosciuta nel mondo per la bontà e la varietà dei suoi prodotti agroalimentari. La Lombardia è la prima regione agricola in termini economici e occupazionali (70mila strutture, 200mila lavoratori, indotto compreso). Ogni città o paese ha un "suo" prodotto: insaccati e formaggi dalla pianura fino agli alpeggi montani, riso nel pavese, vini in Franciacorta, in Valtellina e nell’Oltrepo, olio e limoni sul Garda e via elencando. Prodotti di grande qualità. Milano è il secondo Comune agricolo d’Italia, con 130 imprese agricole e 3mila ettari coltivati nel cuore del Parco Agricolo Sud, che abbraccia 62 Comuni, si estende su 45mila ettari e conta ben 1.400 aziende. Un Parco occupato da svincoli autostradali e da inguardabili lottizzazioni, ma anche da splendide abbazie, castelli, ville e cascine. Che è luogo di svago e di educazione alla natura per centinaia di migliaia di persone, oltre che insostituibile polmone ecologico.

A questo straordinario patrimonio, da tutelare senza tentennamenti, il nuovo Pgt di Milano prospetta di assegnare (regalare, sarebbe meglio dire) indici di edificazione da trasferire nella città, senza neppure la giustificazione di un credibile progetto di parco (e neppure di città). Nessuno, al di là della retorica, pare interessato a cogliere l’opportunità di Expo per fare del Sud Milano un paradigma dell’agricoltura metropolitana europea del XXI secolo, chiamata a rispondere alle sfide dell’urbanizzazione, dell’evoluzione demografica e sociale, della caduta dei redditi agricoli, delle nuove domande del mercato (salubrità, qualità, tracciabilità, filiera corta, vendita diretta) e della fornitura di beni e servizi pubblici. In altri termini: più che accanirsi sulle serre di Rho-Pero, bisognerebbe realizzare un moderno padiglione virtuale, en plein air e a basso costo nel Sud Milano. E ripetere poi questa operazione in altri territori della Lombardia (e del Paese), affinché possano esporre la propria identità, fatta di prodotti, di paesaggio e di cultura, nella vetrina planetaria di Expo. Si avrebbe anche il vantaggio di attivare un’offerta sicuramente più attrattiva per i 20 milioni di persone attese tra cinque anni.

Serre Expo in ritardo Sala convoca un vertice dei tecnici

di Alessia Gallione

È ancora una volta legato all’incognita dei terreni, il futuro di Expo. A quel milione di metri quadrati di Rho-Pero che, dopo oltre due anni dalla vittoria di Parigi, rimane nelle mani dei proprietari privati. Perché mentre va in scena lo scontro politico tra Comune, Provincia e Regione che oggi torneranno a riunirsi per trovare un accordo sulle aree, gli agronomi che hanno studiato come realizzare le serre e i grandi appezzamenti con i paesaggi naturali e le colture di tutte le latitudini non hanno ancora neppure potuto fare i test necessari per la fase operativa. Sono loro, gli esperti, a esprimere preoccupazione per i tempi sempre più stretti. Ma il sindaco Letizia Moratti assicura: «Sala se ne sta già occupando e stiamo lavorando continuando a studiare anche esperienze simili già presenti in Europa come l’Eden Project in Cornovaglia». Perché se anche il progetto-serre potrà essere sbloccato definitivamente quando arriveranno i terreni, la società disegnerà un nuovo percorso per l’orto globale. «Siamo fiduciosi che a breve arrivi una soluzione per le aree», dice il neodirettore generale della società di gestione Giuseppe Sala. È lui, il manager appena chiamato alla guida del 2015, che adesso convocherà «al più presto riunione con gli esperti» per capire tempi e modi.

Dovranno rappresentare una delle eredità di Expo: i cinque "agrosistemi" che riprodurranno, sotto tre serre alte fino a 50 metri e su due vasti appezzamenti, tutti i climi e le colture del mondo. Dalla foresta pluviale alla tundra fino al deserto. Una scommessa perché saranno il biglietto da visita dell’Esposizione che vuole attirare 20 milioni di visitatori non con architetture e grattacieli, ma con il tema stesso della manifestazione - l’alimentazione - che diventa parte integrante del sito espositivo. Perché il progetto conservi le ambizioni promesse sulla carta, però, per gli agronomi che lo hanno impostato bisognerà partire al più presto. Una necessità che la società di gestione adesso ascolterà. Un nuovo corso, quello intrapreso da Expo spa. Che proprio domani formalizzerà la nomina di Sala ad amministratore delegato. Il consiglio di amministrazione servirà per fare il punto anche sui fondi: i soldi in cassa permettono di andare avanti fino a settembre.

È la giornata di oggi, però, a rivelarsi come decisiva per i terreni. Letizia Moratti, Roberto Formigoni e Guido Podestà si incontreranno per discutere un nuovo piano formulato da Fondazione Fiera e gruppo Cabassi. Prove tecniche di compromesso dopo che anche il Pirellone, da sempre favorevole all’acquisto, potrebbe dire sì al comodato d’uso. A patto però, continua a ripetere la Regione, che il guadagno per i privati, una volta che avranno la possibilità di costruire, non sia eccessivo e non superi i 100 milioni.

Nota: sul medesimo argomento si vedano anche gli articoli riportati recentemente su questo sito, a partire dal piccolo contributo del sottoscritto e relativi links (f.b.)

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