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Eugenio Scalfari
L'Europa zapatera e la trappola di Bagdad
18 Agosto 2005
Articoli del 2004
"Il centrosinistra dev´essere chiaro e netto. Il tempo è scaduto, ogni giorno che passa è perduto. Perciò muovetevi prima che sia tardi". Questa la conclusione, su la Repubblica del 25 aprile 2004

«L´UN dopo l´altro i messi di sventura / piovon come dal ciel» scriveva il poeta del Ça Ira e così avviene da un anno per i fronti iracheno e mediorientale. Nel mese di aprile i messi di sventura si sono moltiplicati. In Iraq lo stillicidio degli ammazzamenti è diventato guerriglia con aspetti di vera e propria insorgenza popolare; la radicalità sunnita si è congiunta con la radicalità sciita, le bare avvolte nella bandiera a stelle e strisce sono state centinaia, migliaia le vittime cadute sotto i cannoni e le bombe americane; è cominciata la presa di ostaggi occidentali e tra questi quattro italiani, uno dei quali barbaramente assassinato, gli altri ancora nelle mani dei sequestratori dei quali non si conosce l´identità ma si crede di sapere che chiedano per rilasciarli uno scambio di prigionieri e un riconoscimento politico; lo sceicco Sadr dalla città santa di Najaf minaccia di scatenare centinaia di kamikaze se le truppe d´occupazione lo attaccheranno; l´ayatollah Sistani, massima autorità religiosa degli sciiti iracheni, minaccia a sua volta l´insorgenza generale se le città sante saranno prese d´assalto dagli angloamericani. Nel frattempo la Spagna, l´Honduras e Santo Domingo hanno deciso il ritiro delle loro truppe dal teatro iracheno dove sarebbero state disposte a rimanere solo sotto bandiera e comando dell´Onu.

Essendo ormai manifestamente impossibile il verificarsi di questa condizione, hanno deciso di andarsene.

Dal fronte palestinese le notizie sono altrettanto cupe. Dopo lo sceicco Yassin, guida religiosa e politica di Hamas, i soldati di Israele hanno ucciso con missili mirati anche il suo successore Abdul Rantisi; Sharon minaccia Arafat della stessa fine o dell´espatrio forzoso; la road map è ormai non più che un ricordo; i morti da una parte e dall´altra continuano ad ammucchiarsi; ogni speranza di pace sembra caduta.

In questa paurosa situazione il terrorismo di marca Al Qaeda prospera come il pesce nell´acqua. Dopo aver insanguinato Madrid l´11 marzo, si concentra ora sull´Arabia Saudita. Le linee di frattura non passano soltanto tra crociati musulmani e crociati cristiani ma anche, secondo la strategia di Osama bin Laden, tra sunniti, sciiti moderati e wahabiti. Dopo la sconsiderata guerra irachena che ha scoperchiato il vaso di Pandora, l´epicentro terroristico opera indisturbato dalle sue basi pachistane, irachene, marocchine, saudite e con le sue propaggini logistiche in Europa e in Usa.

Questo è lo stato dei fatti. Irrisolvibile in Palestina. Con due ipotesi di soluzione in Iraq: un coinvolgimento di pura facciata dell´Onu lasciando di fatto tutti i poteri alle truppe d´occupazione, oppure il trasferimento dei poteri effettivi all´Onu, in conformità a quanto chiesto da Francia, Germania e Russia e dal nuovo premier spagnolo Fernando Zapatero. Ma l´Onu che cos´è? Che cosa può e sa fare? È in grado di farlo oppure è soltanto un alibi per mascherare il disimpegno europeo dalla crisi irachena?

* * *

Europa zapatera è una definizione lessicalmente cantabile che suona bene all´orecchio con una sonorità quasi zingaresca. Ci vedi un´Europa gaucha o gitana, col sombrero di traverso e magari un coltello nello stivale e il gambo d´una rosa tra i denti.

Invece no. Nei titoli di alcuni giornali e nel lessico di alcuni politici nostrani quella definizione è usata per descrivere un´Europa traditora, vile, fuggitiva; un cuneo che rischia di disgregare l´unità politica del continente riducendolo ad un corpaccione ripiegato su se stesso, senza una missione da compiere, vassallo dei propri egoismi nazionali. L´alternativa a tale sfacelo è di stringersi attorno all´America coadiuvandone gli emeriti sforzi di assicurare la stabilità e la democrazia alla società irachena finalmente liberata dalla cupa tirannide di Saddam.

In questa così delineata alternativa è da qualche giorno entrato anche un auspicato ruolo «centrale» dell´Onu, caldeggiato ora perfino dalla Casa Bianca e naturalmente dal ministro degli Esteri italiano, ben lieto di poter annunciare la buona novella che sarebbe maturata anche per le pressioni del nostro governo su Bush. Risum teneatis.

Zapatero avrebbe dunque sbagliato tutto? C´era ancora tempo e spazio per ottenere dagli Usa un´inversione di rotta dopo un anno di dissennatezze costate migliaia di vittime innocenti e il dilagare di un sentimento antiamericano tra l´Eufrate, il Caspio, il Golfo arabico e il Mediterraneo? La risposta a queste sciocchezze è venuta da una dichiarazione fatta il 23 aprile dal sottosegretario di Stato, Marc Grossman di fronte al Congresso degli Stati Uniti. «Fino al 31 gennaio 2005 - ha detto Grossman - in Iraq rimarranno in vigore le norme stabilite da Paul Bremer, il governo provvisorio iracheno che sarà insediato il 30 giugno prossimo non potrà emettere leggi né decreti senza l´accordo del comando americano né avere il controllo della sicurezza. Non pensiamo che il periodo dal primo luglio fino al gennaio 2005 sia il migliore per cambiare radicalmente le cose».

Naturalmente, ha aggiunto Grossman rispondendo alle preoccupate osservazioni dei rappresentanti democratici «l´Onu avrà un ruolo importante sebbene limitato, il passaggio dei poteri agli iracheni sarà tangibile». E questo al momento è tutto.

Ho definito la scorsa settimana questo ruolo previsto dagli Usa per le Nazioni Unite una soluzione «vivandiera» nel senso che, come le vivandiere negli eserciti ottocenteschi, le Nazioni Unite avrebbero compiti ausiliari di consulenza e di copertura legittimante, cioè sarebbero portatrici d´acqua al servizio dei veri detentori del potere.

È facile prevedere che in queste condizioni il Consiglio di sicurezza non darà il disco verde ad una nuova risoluzione né ci potrà essere la disponibilità della Nato all´invio di contingenti militari. Zapatero ovviamente era già al corrente della linea americana visto che la Spagna fa parte in questi mesi del Consiglio di sicurezza dell´Onu. Perciò se n´è andato prima del 30 giugno avendo la certezza che quel giorno non cambierà nulla se non l´eventuale inasprimento della guerriglia irachena, già fin troppo accesa in tutto il paese.

* * *

Si domanda da chi si oppone al ritiro delle truppe: possiamo noi abbandonare l´Iraq alla guerra civile? Risposta: la guerra infuria già in tutto l´Iraq; è guerra contro gli americani, contro i loro alleati e contro gli iracheni «collaborazionisti». Nella sola giornata di ieri sono morti un´altra decina di soldati Usa e un numero imprecisato di iracheni. A Falluja negli ultimi venti giorni i morti sono centinaia tra i quali la percentuale di donne e bambini è di circa il 20 per cento; a Bassora in un solo giorno le vittime innocenti sono state almeno cinquanta. Può andare peggio di così? Sì. Se il piano Usa è quello di attaccare Najaf e Kerbala per uccidere o catturare Sadr può andare molto peggio di così. Dunque lo spauracchio d´una guerra civile tra sunniti e sciiti nel caso di un ritiro delle truppe d´occupazione non è una motivazione valida.

In realtà il ritiro delle truppe americane, se non dall´Iraq almeno nelle basi trincerate già predisposte, non aggraverebbe una situazione già gravissima; semmai la migliorerebbe. L´arrivo dell´Onu senza gli americani raffredderebbe il clima e fornirebbe al governo provvisorio una sponda preziosa di consulenza e di legalità internazionale.

Si dice ancora: ritirarsi sarebbe una vittoria del terrorismo. Sbagliato.

Il terrorismo, quello di Al Qaeda, centra poco o niente con l´attuale guerriglia irachena. E quest´ultima c´entra nulla affatto con i morti di Madrid e con quelli di Riad. Certo se la guerriglia antiamericana si cronicizzasse il terrorismo di Al Qaeda avrebbe ampio spazio per tessere un´alleanza con il radicalismo iracheno ed ecco un´altra valida ragione per disinnescare questo latente ma gravissimo pericolo.

Il solo vero motivo che spinge l´amministrazione Usa e il governo britannico a rimanere immobili sulla loro linea è di tutt´altra natura. E´ in gioco la rielezione di Bush e quella di Blair, questa è la sola ragione che impedisce ai pragmatisti per eccellenza di mettere in opera la loro flessibilità e di scoprirsi invece dogmatici. Dobbiamo seguirli fino in fondo? Dobbiamo accompagnarli tra le fiamme dell´inferno iracheno senza porre una sola condizione, una data di scadenza, un piano alternativo? L´Europa zapatera è in realtà la sola alternativa possibile: disinnescare la miccia irachena ed intraprendere con serietà e intelligenza la guerra contro il vero terrorismo e nel contempo imporre a israeliani e palestinesi un percorso di pace che da soli non sono mai stati in grado di costruire.

* * *

Il centrosinistra italiano non è al governo; il suo voto contro la permanenza della nostra missione militare a Nassiriya non avrà dunque effetti concreti se Berlusconi continuerà a preferire la condizione di vassallo di Bush a quella di membro dell´Unione europea.

Tuttavia un voto compatto del centrosinistra sulla questione irachena avrà un valore politico tutt´altro che trascurabile, soprattutto se servirà a potenziare la presenza di veri operatori di pace in quel tormentato paese. È curioso che i religiosi sunniti che cercano un contatto con i sequestratori dei nostri ostaggi usino tra gli altri argomenti di persuasione quello di sottolineare l´esistenza in Italia d´un forte movimento popolare contrario alla presenza di truppe d´occupazione. Il pacifismo italiano così vilipeso in patria è diventato uno dei pochi strumenti per riportare a casa quei tre ragazzi minacciati di morte. Non c´è da riflettere su questa evidente contraddizione?

Ancora una volta essa dipende da un errore lessicale che maschera un interesse politico. L´errore lessicale è quello di confondere e chiamare con lo stesso nome il terrorismo di Bin Laden e la guerriglia irachena.

L´interesse politico è quello di far vincere a Berlusconi le elezioni europee o almeno salvarlo da una cocente disfatta.

Viene in mente l´entrata in guerra di Mussolini contro una Francia già sconfitta, il 10 giugno del 1940, per potersi sedere al tavolo della pace con poco rischio e poche perdite umane. Finì come sappiamo. I paragoni non sono mai possibili, ma le analogie possono essere talvolta istruttive e questa lo è. Berlusconi, l´ho già scritto ma lo ripeto, avrebbe oggi una grande chance: quella di utilizzare lo sganciamento dall´avventura irachena come leva per ottenere da Bush un radicale mutamento di strategia. Non la soluzione dell´Onu «vivandiera» e portatrice d´acqua, ma il passaggio integrale dei poteri all´Onu e al governo provvisorio purché riformato da cima a fondo e l´acquartieramento delle truppe d´occupazione.

Se fosse politicamente intelligente e capace di valutare gli interessi dell´Italia, dell´Europa, dell´Occidente e dello stesso popolo iracheno lo farebbe e forse passerebbe alla storia. Ma purtroppo non lo farà. La sua natura glielo impedisce. La sua corta vista politica lo impedisce. Il dogma dell´alleanza con la destra americana lo impedisce.

Tanto più il centrosinistra dev´essere chiaro e netto. Il tempo è scaduto, ogni giorno che passa è perduto. Perciò muovetevi prima che sia tardi.

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