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Gianni Ferrara
L'Europa senza Rousseau
3 Agosto 2008
Articoli del 2008
Dalla voce della stassa maggioranza le ragioni per cui non bisognava ratiificare il Trattato di Lisbona. Il manifesto, 3 agosto 2008

Sarà ricordata la seduta della Camera dei deputati del 30 luglio scorso. Lo sarà perché in quel giorno, per la prima volta nella storia parlamentare del nostro paese, il relatore di maggioranza di un disegno di legge, nel riferire all'Assemblea, ne raccomandava l'approvazione ma, con grande onestà intellettuale e con una motivazione ineccepibile, ne criticava duramente il contenuto (pagg. 3-4, 86, 91 del resoconto della seduta). Il disegno di legge che ha avuto una sorte così singolare, è quello recante la ratifica e l'esecuzione del Trattato di Lisbona. Ne è stato relatore l'onorevole Giorgio La Malfa. La cui critica ha investito il trattato in quanto strumento che mantiene e aggrava il deficit di democrazia dell'Unione europea, invece che risolverlo o attenuarlo.

In che cosa si concretizza questo deficit democratico? Anche se per sommarie indicazioni la verità insita nelle istituzioni europee va detta e senza attenuazioni ed infingimenti. A cominciare dall'assenza di un minimo di distinzione del potere legislativo da quello esecutivo. Per poi rilevare le clamorose menomazioni del Parlamento europeo, unica istituzione di derivazione popolare dell'Unione, cui il Trattato di Lisbona conferma la degradazione ad organo solo compartecipe, con gli esecutivi europei, della funzione normativa primaria, (quella che all'interno degli stati si denomina «legislativa»). Un organo che risulta poi mutilato del potere di iniziativa degli atti di sua competenza. Competenza che, invece di essere generale come quella di tutti i Parlamenti degni di questo nome, è ritagliata, ristretta. Si conferma, invece, e si incrementa il potere di intervento generale e ad effetti diversificati della Commissione, che aggiunge al potere di iniziativa degli atti parlamentari, almeno due altre aree di competenza normativa esclusiva sottratte al Parlamento. Un organo questo che non risponde a nessuno, composto e definito dai precedenti Trattati e di cui, questo di Lisbona ribadisce l'assoluta preminenza e la piena irresponsabilità politica. Si consideri poi lo scenario programmato dal Trattato di Lisbona. Tributato l'ossequio di rito alla sussidiarietà ed alla proporzionalità, questo Trattato ridefinisce il ruolo degli stati membri rendendoli istituzioni-organi sostanzialmente esecutivi dell'Unione. Consente infatti che l'esercizio della funzione normativa primaria della stessa Unione si estenda a tutti i campi, il che contrasta con qualunque modello di stato federale.

L'onorevole La Malfa non ha confrontato le istituzioni europee ai principi della democrazia e del costituzionalismo e non credo che condivida il giudizio che ne dà da anni chi scrive. Ha però comparato l'ordinamento interno a quello dell'Unione e si è domandato se i cittadini europei possono influire sulle scelte della Commissione e del suo Presidente, se il Consiglio europeo risponde delle sue deliberazioni ai cittadini europei, se un ministro dell'economia può dialetticamente rappresentare una sua posizione rispetto alla Banca europea. Correttamente si è risposto con un no.

Ne ha giustamente ricavato la ragione per la quale i francesi, gli olandesi, gli irlandesi ai referendum hanno votato contro le istituzioni europee. Aveva già congetturato che in un ipotetico referendum, gli elettori italiani avrebbero espresso un voto non proprio coincidente con l'unanimità dei parlamentari che, come già al Senato, avrebbe approvato anche alla Camera la ratifica del Trattato. Evento puntualmente verificatosi il giorno dopo.

Cosa dedurne? Innanzitutto il riconoscimento da parte di un esponente della maggioranza della improbabile corrispondenza degli orientamenti anche se unanimi della rappresentanza parlamentare a quelli del corpo elettorale, il che coincide col giudizio che in tanti abbiamo espresso sulla incostituzionalità della legge elettorale con cui sono state elette le due Camere del Parlamento. Ma sorprende e inquieta l'indifferenza per il deficit nientemeno che di democrazia che questo Trattato rivela e aggrava quanto a istituzioni, funzionamento, spirito dell'Ue che pur viene definita come emblema della civiltà di questo continente.

Ma che dire della decisione di approvare la legge che autorizza la ratifica di questo Trattato dopo che gli elettori irlandesi lo hanno respinto precludendone la ratifica da parte di quella Repubblica, con il che non potrà mai entrare in vigore, a norma dell'articolo 6 delle «Disposizioni finali» di questo stesso Trattato? Che questa norma va elusa? Che il governo irlandese deve ratificare, disattendendo il voto popolare e violando quella Costituzione? Il presidente polacco ritiene che la ratifica di detto Trattato è diventata incongrua per l'impossibilità sopraggiunta della sua entrata in vigore. Pende innanzi al Tribunale costituzionale tedesco un ricorso che denunzia l'incompatibilità del Trattato con i principi e lo spirito di quell'ordinamento federale. Il presidente del Tribunale ha richiesto al presidente federale di sospendere la promulgazione della legge di ratifica. Che senso ha avuto la sollecita approvazione della legge di ratifica da parte dell'Italia? Si è voluto dimostrare lo spirito europeista del nostro paese, europeista ma non esattamente democratico? E se, invece, il popolo italiano volesse essere europeista e democratico? Si intende forzare la ratifica del Trattato aderendo alla incredibile concezione per cui, l'1% degli europei non può fermare l'integrazione di tutti gli europei? Ma, innanzitutto, chi ha verificato che tutti gli europei vogliono un'Europa che assume come principio supremo e assolto del suo ordinamento «l'economia di mercato aperta e in libera concorrenza»? Si vuole dar prova della possibilità di «riforme condivise» e si sceglie l'occasione di una normativa emblematica del deficit di democrazia? Non ci si domanda se la condivisione su di una normativa di quel tipo non preconizzi esiti dello stesso tipo? Ma che concezione della democrazia è mai quella che, in occasione di un atto costitutivo di una entità interstatale e internazionale quale vuole essere l'Ue, assolutizza il principio di maggioranza, che suppone l'unanimità almeno per una volta, la volta in cui un popolo, uno stato, una società si costituisce giuridicamente dandosi le regole fondamentali. È l'insegnamento che ci viene da Rousseau, quel tale che in compagnia di Voltaire aveva - secondo la letteratura reazionaria, rediviva e trasversale - originato tutti i mali del mondo.

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