Non staremo qui, ancora una volta, a discutere se durante il recentissimo viaggio di George Bush da Bruxelles a Bratislava sia stato il presidente degli Stati Uniti d´America a venire incontro alle posizioni dei suoi interlocutori o piuttosto questi ultimi a rettificare le proprie muovendosi verso di lui.
Questo tema, che meglio potrebbe definirsi con la semplicistica questione del «chi ha vinto e chi ha perso», è stato già ampiamente trattato da tutti i media internazionali e si è ben presto rivelato un classico double face: nessuno ha rinunciato alle proprie tesi di partenza sulla guerra irachena, ma tutti hanno convenuto che la vita continua anche di fronte ai fatti compiuti. Anzi, soprattutto di fronte ai fatti compiuti.
D´altra parte Bush con tutto il suo corteggio di diplomatici e di politologi ha ripetutamente sottolineato che il suo secondo mandato non sarà eguale al primo e che se il primo fu caratterizzato dalla teoria della guerra preventiva e dell´unilateralismo, il secondo lo sarà da quella della diplomazia preventiva e multilaterale. Quindi, per sua stessa ammissione ripetutamente propagandata, se c´è qualcuno che si è spostato è proprio il presidente degli Stati Uniti.
Egli ha vigorosamente chiesto ai suoi alleati europei (quelli della vecchia Europa che gli si erano ostinatamente contrapposti sia sul dossier iracheno sia su quello mediorientale) d´impegnarsi insieme su obiettivi che la vecchia Europa ha condiviso e sui quali lavora da almeno sei mesi. Per l´Iraq l´addestramento dei corpi di sicurezza e dei quadri dell´amministrazione civile allo scopo di rendere al più presto quel paese capace di autogovernarsi.
Per il Medio Oriente una più marcata presenza dell´Occidente nella composizione del conflitto Israele-Palestina e nella nascita d´uno Stato palestinese indipendente e territorialmente contiguo. Ciò che la vecchia Europa (ma anche Tony Blair) aveva fin qui rimproverato all´amministrazione Bush non era un eccesso di presenza ma al contrario una disperante assenza dal conflitto mediorientale. Ora che la presenza americana si è finalmente fatta visibile la vecchia Europa (ed anche Blair) non può che prenderne atto con piena soddisfazione.
Infine sul dossier iraniano il terzetto Gran Bretagna-Francia-Germania sta da mesi negoziando con Teheran affinché rinunci all´armamento nucleare. Bush ha chiesto che questi negoziati proseguano aggiungendo a mo´ di monito che ogni altra opzione resta possibile come ultima istanza.
La volontà di arrestare la proliferazione delle armi atomiche essendo un interesse comune di tutto l´Occidente, anche sul dossier iraniano la convergenza era dunque già in atto da tempo.
In conclusione: le concrete richieste degli Usa alla vecchia Europa avevano già avuto risposte positive molto prima del secondo mandato e del viaggio presidenziale in Europa. Da questo punto di vista dunque il poco arrosto era già stato mangiato e digerito. Ma era mancato il fumo mediatico. Il viaggio di Bush è servito a questo: il fumo è venuto dopo e non prima dell´arrosto.
Il presidente francese, a chi gli domandava se fosse soddisfatto del meeting con Bush a Bruxelles, ha risposto: «Certamente sì, ma ora si tratta di verificare se alle sue parole seguiranno i fatti». Posto che sui tre dossier iracheno, mediorientale, iraniano, le convergenze erano già avvenute, a che cosa esattamente si riferisce Chirac? Quale è il terreno sul quale i fatti debbono ancora esser verificati?
È chiaro quale sia il terreno della verifica. «D´ora in poi - ha detto Condoleezza Rice - decideremo insieme». E Bush: «Niente e nessuno potranno dividere l´alleanza degli Usa con l´Europa». Questa è dunque la questione da verificare passando dalle parole ai fatti. Decidere insieme entro il quadro di un´inseparabile alleanza non si concilia infatti con la democrazia imperiale che l´amministrazione Bush sta costruendo e teorizzando fin dall´inizio del suo primo mandato. Questo è dunque il tema che ancora non è stato chiarito, questo è il punto di possibile dissenso che può perfino rimettere in discussione le convergenze già da tempo raggiunte: l´evoluzione dell´America verso la democrazia imperiale.
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La diffusione nel mondo intero della libertà e della democrazia è un auspicio che non può che vedere uniti insieme gli Stati Uniti d´America e l´Unione europea poiché si tratta di auspicare un ecumene che condivida i valori sui quali è basato il concetto stesso di Occidente. Valori fondativi. Valori comuni. Comuni non soltanto agli uomini occidentali ma a tutti gli uomini, ovunque nati e ovunque residenti.
Ricordate il discorso di Benedetto Croce sull´indistruttibile forza della libertà? La libertà scava dovunque il suo percorso, nei terreni più favorevoli come in quelli più accidentati e impervi. Incontra ostacoli dovunque, viene spesso soffocata, negata, manipolata, ma infine rispunta quando meno te lo aspetti e vince e si impone. Non è un processo agevole e spesso il terreno che aveva conquistato le viene di nuovo sottratto perfino nei luoghi dove sembrava aver messo solidissime radici. Ma di nuovo riprende la sua marcia e la sua lotta e questa è la storia. La storia della libertà.
Ma una cosa è l´auspicio e l´incoraggiamento culturale, un´altra cosa è la missione e la crociata che è lo sbocco inevitabile di ogni missione. La missione costituisce l´orgogliosa ideologia di un popolo eletto e prescelto per adempierla. La missione chiama un Dio come testimone e guida. La missione è la premessa di una vocazione imperiale. La vocazione imperiale segna la sconfitta della libertà. Anche questa è la storia: la storia degli imperi che ricacciano indietro la libertà e della libertà che sgretola gli imperi.
Spesso accade che la vittoria di uno di questi due elementi dialettici si volga improvvisamente a beneficio del suo opposto: è ciò che in linguaggio accademico si chiama «eterogenesi dei fini». La storia fa questi scherzi che costituiscono la sua meravigliosa imprevedibilità.
Nell´Europa moderna l´esempio più eloquente fu quello di Napoleone. Portò sulla punta delle baionette della sua Grande Armata i principi della libertà, della modernità, dell´abbattimento delle feudalità, dell´eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Sulla base di questi principi, oltre che sulla forza del suo esercito, trovò l´alleanza dei popoli e vinse «dall´Alpi alle Piramidi, dal Manzanares al Reno».
Ma poco dopo quegli stessi popoli, quei poeti, quei filosofi, quei musicisti che si erano innamorati della libertà evocata dal tricolore imperiale, la rivolsero contro di lui. Contro il classicismo napoleonico nacque e dilagò in tutta Europa il romanticismo. Nacquero, sull´esempio della Francia ma contro di lei, le nazionalità. Nacque la Germania, prima come mito e poi come realtà politica, economica e militare. Nacque la Russia come elemento nuovo della geopolitica europea.
Gli imperi in certe occasioni della storia possono accelerare il corso della libertà, ma la libertà smantella gli imperi. Tanto più quando opera in contesti storici, sociali, religiosi completamente diversi da quelli della potenza imperiale che se ne è fatta portatrice.
E così non ci sarà da stupirsi se un Iraq oggi ancora sotto tutela americana, non appena potrà essere restituito agli iracheni non riveli un nazionalismo allergico a ogni presenza sia pure indiretta del suo liberatore. Tanto meno ci sarà da stupirsi se regimi dittatoriali o teocratici come l´Egitto e l´Arabia Saudita, oggi alleati dell´America, una volta affidati a forme sia pure improprie di democrazia non divengano ancor più nazionalisti, ancor più teocratici e sostanzialmente antiamericani di quanto oggi non siano. I primi esperimenti della democrazia imperiale americana non sono incoraggianti. Se d´ora in avanti le due sponde dell´Atlantico diventeranno più vicine e decideranno veramente insieme, sarà questo il vero tema del confronto. Ne potrà nascere un gran bene oppure l´approfondirsi di un dissenso che per ora è entrato in una fase di tregua e di autocosmesi, in attesa di verifica.
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Del resto la prima prova si è vista nell´incontro di Bratislava tra Bush e Putin e in quello di Magonza tra Bush e Schroeder. Quest´ultimo, come già Chirac a Bruxelles, ha insistito nella decisione di togliere l´embargo sulle armi alla Cina.
È più facile mettersi d´accordo sull´Iraq che sulla politica verso Pechino. Quanto a Putin, l´autocrate di Mosca si è addirittura permesso di impartire al presidente americano una pubblica lezione sul significato della parola democrazia quando essa venga applicata non già sulle sponde dell´Hudson ma su quelle della Moscova.
Putin ha già fatto la (per lui) sgradevolissima esperienza dell´Ucraina e della Georgia e sa che sul tavolo ovale della Casa Bianca sono già aperti i dossier della Bielorussia, della Moldavia, della Romania, dell´Azerbaigian, del Kirgizistan. Regimi orribili, regimi corrotti, la cui destabilizzazione tuttavia moltiplicherebbe per cento l´effetto Cecenia con quanto ne può conseguire a Mosca.
Più oltre verso l´Oriente estremo, spunta l´ombra lunghissima della Cina. In tempi di globalizzazione i processi sono molto veloci e ciò che prima richiedeva secoli oggi implica pochi decenni. Ma la Cina possiede fin d´ora un´arma formidabile per condizionare la forza della democrazia imperiale americana. La Cina, dopo il Giappone, è il più grande creditore del Tesoro Usa. Insieme alla Corea possiede mille miliardi di dollari in Buoni del Tesoro americano e non fa che accumularne. Basterebbe che decidesse di investire in euro i nuovi surplus per determinare un ciclone planetario nell´economia, nel commercio e nel tenore di vita del mondo ricco e quindi degli Usa e dell´Europa.
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Ha detto in una bella intervista pubblicata su questo giornale Mikhail Sergevic Gorbaciov che la storia del mondo sarebbe stata molto diversa se l´America di Reagan lo avesse aiutato a riformare anzi a rifondare il comunismo anziché puntare su Eltsin e sul suo liberismo fasullo e mafioso. Sappiamo bene che la storia non si fa con i se. Ma certo la politica non tollera il vuoto. Abbattuta la seconda potenza mondiale, la vocazione al pensiero unico, alla missione salvifica e all´impero si è materializzata rapidamente. Il terrorismo globale è esploso. I nazionalismi si acuiranno e si moltiplicheranno. E forse, per la solita eterogenesi dei fini, anche l´Europa capirà più rapidamente che per dialogare e se possibile decidere insieme all´America i 25 nani di Bruxelles debbono delegare gran parte della loro sovranità politica all´Unione, ai suoi valori di cittadinanza, ai suoi interessi, alla sua moneta.
La democrazia imperiale ha bisogno di essere ben temperata e l´Europa può molto aiutare in questa direzione.