Nelle ultime ore convulse di una campagna elettorale mediamente pessima per contenuti e toni, è risuonato più volte il nome di Enrico Berlinguer. In modo spesso improprio: per ricordarlo degnamente, usiamo le sue parole, nel pieno di quella campagna elettorale per le europee del 1984 che gli risultò purtroppo fatale, in risposta a chi gli chiedeva se ci fosse correlazione fra il voto europeo e la situazione politica italiana: “Certo. Soprattutto nel senso che dobbiamo portare in Europa l’immagine e la realtà di un Paese che non sia caratterizzato dalla P2, dalle tangenti, dall’evasione fiscale e dalla iniquità sociale [...] per portare invece nella Comunità europea il volto di un Paese più pulito, più democratico, più giusto”.
Al solito, il richiamo alla legalità come valore primario e basterebbe questo termine a misurare la distanza con questo nostro tempo opaco. Da questo punto di vista, quello della legalità, questi ultimi mesi ci restituiscono, a giudicare da cronache giudiziarie e provvedimenti di governo, un quadro drammaticamente univoco.Se infatti le notizie di arresti e indagini per fatti di corruzione si accavallano in modo vorticoso, la risposta che viene dall'azione governativa è sorprendentemente speculare, ma programmaticamente antitetica ad un'azione di contrasto. Ispirati evidentemente ad una filosofia omeopatica, si succedono decreti e disegni di legge che invece di rendere più efficaci controlli e regole, tendono a depotenziarli, quando non a eliminarli in nome del demone onnipresente di questi ultimi lustri governativi: la semplificazione.
In questa strategia deregolatoria rientrano tutti i provvedimenti che hanno a che fare col governo del territorio, tanto per citare alla rinfusa, la così detta legge sugli stadi, il ddl di riforma della legge sui parchi, quello, recentissimo, sulla nuova riforma urbanistica (la riproposizione spinta della legge Lupi, do you remember?), l'emendamento che rende possibile costruire casette e bungalow a gogo.E assieme ritornano i commissari, i mister Wolf cui delegare la soluzione di un problema, anche laddove tale esperimento era già stato fatto, con risultati disastrosi.
Sta succedendo anche nel recente decreto sul patrimonio culturale e il turismo emanato, giusto in tempo per le ultime vendite preelettorali, nel consiglio dei ministri di giovedì scorso.Se il testo che viene anticipato per spot mediatici sarà confermato - perchè un testo ufficiale e definitivo ancora non c'è, alla faccia delle regole, appunto - accanto a provvedimenti lungamente attesi come l' "art bonus", torneranno commissari o figure dotate di poteri commissariali a Pompei e Caserta, mentre, sempre a Pompei, sono previste ampie deroghe alla legislazione vigente che si vogliono giustificare con i ritardi accumulati, nei primi due anni, dal Grande Progetto Pompei.
A proposito di Expo, il 9 maggio scorso, Gianantonio Stella aveva descritto con precisione il meccanismo: "Anni perduti nei preliminari, discussioni infinite sui progetti, liti e ripicche sulla gestione e poi, di colpo, l’allarme: oddio, non ce la faremo mai! Ed ecco l’affannosa accelerazione, le deroghe, il commissariamento, le scorciatoie per aggirare lacci e lacciuoli.”Secondo la stessa nefasta logica, ora, a Pompei, si preannunciano deroghe di vario tipo, anche per quanto riguarda il piano strategico: si tratta, come risulta dal Decreto Valore Cultura, art. 1 commi 4 e 5, del piano che dovrebbe assicurare niente meno che il rilancio economico e sociale dell'area dei comuni di Pompei, Ercolano e Torre Annunziata.
Questo intervento, cruciale per la riqualificazione di un'area devastata da decenni di abusi, riguarda la zona extra moenia, e quindi non il sito archeologico vero e proprio: per conseguenza tale piano non è interessato dai 105 milioni su cui pendono le scadenze imposte dalla Commissione Europea. Anzi, a dirla tutta, il piano strategico è, a voler essere ottimisti, in una fase di preavvio. Perchè questa fretta, allora? Non sarà che per i circa 400 milioni di fondi previsti per tale pianificazione sarebbe così comodo eliminare, fin dalla partenza, i lacci e lacciuoli di una legalità sempre più fastidiosa?
Cattivi pensieri che speriamo siano spazzati via da un testo finalmente all'altezza dell'importanza del nostro patrimonio e della gravità della situazione in cui versa. Basterebbe che la legalità ne fosse il faro, in questo come in altri ambiti.
Per amor di verità i dubbi sulla rilevanza della legalità come pilastro costitutivo della società si sono moltiplicati in questi mesi non solo sui provvedimenti governativi, ma anche per quanto riguarda enti locali e istituzioni assortite.Certo talora meno gravi per conseguenze, ma significativi di un allentamento complessivo della tensione su questo tema cruciale: paradigmatico, in questo senso, quanto è accaduto domenica scorsa, sull'Appia.
Fra gli eventi organizzati dall'Ente Parco nell'ambito di un'iniziativa di promozione denominata - con arguto sfoggio di fantasia - il Parco della Bellezza, erano previste alcune visite a ville private di particolare interesse. Non stravagante di per sè, dal momento che il 95% del territorio del Parco pubblico dell'Appia antica, è di proprietà privata. Senonchè, una di queste proprietà coinvolte nell'ameno tour organizzato dal Parco, situata all'interno del castrum Caetani, immediatamente alle spalle di Cecilia Metella e a ridosso delle mura demaniali, è esattamente quella contro i cui abusi edilizi, innumerevoli e ripetuti, lottò per anni e fino agli ultimi giorni, Antonio Cederna.
Quegli abusi e i loro proprietari sono ancora lì, ma in compenso, profondamente cambiato, a quanto pare, è il nostro tasso di attenzione nei confronti di ciò che è illegale e, in quanto tale, mina alle radici le regole basilari della vita democratica secondo le quali la legge è uguale per tutti e garantisce perciò parità di condizioni fra il potente e il debole, fra il povero e il ricco, fra il "normale" e il "diverso".
Anche per sconfiggere, qui in Italia, questa deriva, votiamo, oggi, per l'Europa, nello spirito di Enrico Berlinguer.