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Michele Ainis
L’esorcismo dei diritti per fermare la paura
15 Novembre 2016
2015-EsodoXXI
«Ecco l’equivoco da cui dobbiamo liberarci: se neghiamo ai migranti i loro diritti umani, li neghiamo anche a noi stessi. E in ultimo diventiamo più insicuri

«Ecco l’equivoco da cui dobbiamo liberarci: se neghiamo ai migranti i loro diritti umani, li neghiamo anche a noi stessi. E in ultimo diventiamo più insicuri».

La Repubblica 15 novembre 2016 (c.m.c.)

Donald Trump vorrebbe cacciarne 3 milioni. E noi? Sotto sotto lo approviamo. Perché anche in Italia gli immigrati sono un fiume in piena: negli ultimi 25 anni il loro numero è aumentato 10 volte.

E perchè quest’invasione ci spaventa. Sarà forse un delitto aver paura? Vabbè, le statistiche ci informano che gli stranieri delinquono meno degli italiani e sono pure più istruiti (Dossier statistico immigrazione 2016); ma è un racconto buono per i grulli, noi non ci caschiamo. Vabbè, in un anno la Germania ha assorbito oltre un milione d’immigrati; fatti loro, non vengano a farci la morale. Vabbè, un tempo fummo migranti pure noi italiani. Però è una storia che riguarda i nostri nonni, pace all’anima loro. E poi allora mica c’era il terrorismo, con la sua ferocia senza pari. Adesso c’è, e i politici non sanno trovare soluzioni. Di conseguenza abbiamo perso fiducia nei politici, e forse anche in noi stessi. Ci sentiamo confusi, spaesati. Ma dopotutto reclamiamo soltanto un po’ di sicurezza. È il primo diritto, l’unico davvero fondamentale. O no?

L’uomo moderno — scriveva nel 1929 Sigmund Freud — ha rinunziato alla possibilità d’essere felice in cambio di maggiore sicurezza. Ma sta di fatto che nel terzo millennio l’insicurezza domina la nostra vita pubblica e privata. Perché sperimentiamo matrimoni instabili, lavori precari, trasferimenti di città in città.

E perché al rischio esistenziale si somma un rischio esterno, che la globalizzazione ha elevato alla massima potenza. Il rischio demografico, dato che siamo ormai 7 miliardi sulla faccia della terra. Il rischio ecologico, che s’aggrava insieme al surriscaldamento globale. Il rischio atomico, con 16 mila testate nucleari disseminate ai quattro angoli del mondo (70 in Italia), quando una ventina basterebbero per oscurare il sole. Il rischio idrico (le prossime guerre si combatteranno per il controllo dell’acqua). Il rischio economico, che non deriva solo dalla crisi dei mercati. È la diseguaglianza, è la forbice tra il Nord e il Sud del nostro pianeta (90 a 1, in base al reddito pro capite), che alimenta tensioni nonché — per l’appunto — migrazioni.

Sì, viviamo nella società del rischio, come la definisce Ulrich Beck. E il rischio alleva la paura. Però quest’ultima è una sorella inseparabile della condizione umana. Nel volgere dei secoli cambia l’argomento, non il sentimento. Anche se l’argomento principale è poi sempre lo stesso: paura dell’altro, paura del nemico che t’invade. Tuttavia abbiamo già escogitato un esorcismo, un antidoto contro il trionfo degli istinti. Consiste nelle regole giuridiche, nel rispetto del diritto, dei diritti. A conti fatti, lo Stato di diritto è proprio questo: una fortezza che protegge l’umanità dalla paura. Ma il presupposto sta nella sua capacità di garantire l’esercizio dei diritti. I diritti altrui, non solo i nostri. Perché i diritti sono di tutti, o altrimenti di nessuno.

Ecco perciò l’equivoco da cui dobbiamo liberarci: se neghiamo ai migranti i loro diritti umani, li neghiamo anche a noi stessi. E in ultimo diventiamo più insicuri. Più deboli, non più forti. La sicurezza, infatti, coincide con la sicurezza dei diritti. Tuttavia non configura un diritto autonomo a sua volta, come pretende un altro equivoco che ci intorbida le menti. Vero: la Déclaration del 1789 sanciva il «diritto alla sicurezza ».

E già un secolo prima Thomas Hobbes, nel Leviatano (1651), v’imperniava la sua dottrina dello Stato. Hanno questa remota origine gli echi che ancora s’incontrano in alcune Costituzioni, come quella finlandese. Si tratta però di formule retoriche, se non anche pleonastiche. È del tutto ovvio, infatti, che ogni Stato debba proteggere i propri cittadini. Se nelle periferie milanesi si moltiplicano gli episodi di violenza, rafforzare i controlli — come ieri ha chiesto il sindaco Sala — è una misura obbligata, non una graziosa concessione dello Stato.

Insomma, la sicurezza non è un diritto, bensì un limite all’esercizio dei diritti. Vale per la privacy, che può ben essere violata quando entra in gioco l’esigenza di perseguire i criminali. Vale per cortei e manifestazioni, vietati se mettono a rischio l’incolumità pubblica. Vale per la libertà di domicilio, così come per ogni altra libertà. Ma se nessun diritto è incondizionato, allora non potrà mai dirsi assoluta la sete di sicurezza, che non assurge nemmeno al rango di diritto.

A differenza del diritto d’asilo, protetto dall’articolo 10 della Costituzione. Da qui la conclusione: se per respingere i migranti proclamiamo uno stato d’assedio permanente, ne va di mezzo la nostra stessa libertà. E in ultimo l’ossessione della sicurezza ci recherà in dono la più acuta insicurezza.

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