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Eugenio Scalfari
L’effetto petrolio sui sogni del Cavaliere
18 Agosto 2005
Articoli del 2004
Un’analisi e alcune proposte nell’editoriale domenicale di la Repubblica dell’8 agosto 2004

L’effetto petrolio sui sogni del Cavaliere

Eugenio Scalfari

Si riteneva fino a poco fa da parte dei maggiori centri mondiali di analisi economica che la ripresa congiunturale Usa avrebbe continuato a tirare energicamente per tutto l´ultimo quadrimestre dell´anno. Reddito nazionale, domanda interna, esportazioni, creazione di nuovi posti di lavoro, plusvalenze provenienti da una Borsa in rialzo, tassi d´interesse in moderato e già metabolizzato aumento: queste le formidabili forze che avrebbero trainato l´economia mondiale definitivamente fuori dal pantano in cui era caduta subito dopo lo sgonfiamento della bolla speculativa del 2000 e le successive drammatiche vicende del 2001. E se qualche vagone o vagoncino non avesse potuto agganciarsi al grande treno in corsa, pazienza: dopo la lunga stagnazione, un capitalismo risanato avrebbe dimostrato la perenne validità del libero mercato e della sua capacità di diffondere insieme benessere e libertà.

Ma per qualche ragione ancora non interamente chiara ma già individuabile nelle sue grandi linee, qualche elemento essenziale del quadro sta marciando storto, qualche meccanismo dev´essersi inceppato. Quasi di sorpresa infatti l´andamento dei consumi Usa ha rallentato e così pure la produzione industriale e la creazione di nuovi posti di lavoro. La Borsa ha invertito la tendenza specie nei settori di alta tecnologia e in quelli manifatturieri.

Intanto il prezzo del petrolio continua a salire e forse è proprio questo l´elemento determinante di quest´inattesa frenata. Se non invertirà rapidamente la tendenza al rialzo ci troveremo in mezzo ad una vera e propria crisi petrolifera capace di modificare profondamente tutte le previsioni fin qui formulate sull´andamento dell´inflazione, dei tassi d´interesse, del finanziamento dei disavanzi, del commercio internazionale.

Mai come in questo momento l´incertezza è dunque al culmine e i mercati sono privi di orientamento. In realtà nessuno aveva immaginato una situazione del genere anche se non mancavano i segnali per avvistarne la gravità.

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I prezzi del greggio sono ininterrottamente al rialzo da cinque anni. Dai 18 dollari al barile del maggio ´99 per il petrolio quotato sui mercati di New York e di Londra, siamo arrivati nell´agosto 2004 a 44 dollari (41 per il Brent quotato a Londra). L´aumento medio è stato cioè del 60 per cento.

Se si considerano i dodici mesi che vanno dalla fine della guerra in Iraq al giugno 2004, l´andamento del greggio registra un rialzo da 28 a 39 dollari per barile.

Ciò avviene in una fase in cui dal punto di vista congiunturale la tensione della domanda e la disponibilità dell´offerta avrebbero dovuto generare un virtuoso equilibrio intorno al prezzo di 22-24 dollari al barile. Siamo invece ad uno sballo esattamente del doppio che non accenna a diminuire.

Diventa sempre più chiaro dunque che a cause congiunturali si sono sovrapposti mutamenti strutturali sia nella domanda che nell´offerta. La prima è strutturalmente aumentata a causa dell´irrompere dell´Asia (e della Cina in particolare) sul mercato petrolifero e carbonifero. La seconda è strutturalmente diminuita a causa dell´arresto degli investimenti nella ricerca petrolifera e nelle nuove fonti d´energia diverse dal petrolio. La documentazione di questi mutamenti profondi è stata analizzata in questi ultimi mesi da numerosi interventi sulle riviste specializzate del settore (tra i quali segnalo un recente saggio di Alberto Clò) e dai giornali economici più attenti ( Wall Street Journal, Financial Times, Economist).

Sperare che basterebbe un po´ più di buona volontà da parte dei produttori Opec, un rapido ritorno sul mercato del petrolio iracheno, del gas russo, del greggio venezuelano nonché l´utilizzo calmieratore delle riserve Usa, è pura illusione.

La crisi petrolifera è ormai un dato di fatto. Gli effetti possono essere molto pesanti sui mercati globali e in particolare sulle economie degli Stati Uniti e di Eurolandia nonché su quelle dei paesi emergenti non petroliferi.

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Si comprende meglio in questo contesto quale sia stato il drammatico errore compiuto dal governo italiano nel triennio 2001-2004 durante la gestione Berlusconi-Tremonti della politica economica: per tener fede all´impegno elettorale di «non prender denaro dalle tasche degli italiani» ci si è affidati ai condoni e alla finanza creativa puntando tutte le carte sulla ripresa internazionale.

Gli effetti nefasti di questa politica sono stati quelli di distruggere l´avanzo primario delle partite correnti, di interrompere la diminuzione del debito pubblico, di diminuire le entrate tributarie e di far correre più velocemente il fabbisogno e il rapporto deficit/Pil.

Questa politica è arrivata ai piedi di un invalicabile muro e Tremonti ne ha fatto le spese. Per la stessa ragione il Berlusconi di agosto ha cambiato politica: ora ha bisogno come dell´aria che respira dell´appoggio del sistema bancario, della Confindustria, della Banca d´Italia, dei poteri forti o almeno di quello che ne è rimasto. Farà concessioni, farà promesse.

Circola voce che voglia vendere le sue televisioni a operatori «nazionali». Forse è soltanto un´esca, un modo per distribuire qualche "per cento", un osso da dare ai cani che minacciano di mordergli i polpacci alla ripresa di settembre. Vedremo.

Ai sindacati promette una sorta di scala mobile costruita su misura dei pensionati. Non è farina del suo sacco perché sono anni che i sindacati confederali, le associazioni dei consumatori e i partiti d´opposizione chiedono parametri specifici per le classi di reddito più deboli, non solo pensionati ma tutti i lavoratori e i contribuenti sotto ai 20 mila euro di reddito annuo e, insieme a questo, un sistema di ammortizzatori sociali che dia protezione al lavoro flessibile e la fiscalizzazione degli oneri sociali.

Si parla tanto di riformismo forte. Eccone alcuni esempi. Quanto costerebbe un progetto di riforma fondato su questi elementi? Non si è lontani dal vero azzardando la cifra di 20-25 miliardi, più o meno quanto il costo del tanto strombazzato taglio dell´Irpef ma molto più produttivo ai fini del rilancio dell´economia, dell´industria, dei consumi, dell´occupazione e del potere d´acquisto.

Questo mi sembra il tipo di programma operativo che il centrosinistra dovrebbe far proprio e che del resto è già nella sua linea e nel suo Dna. Bastano due sole parole per presentarlo al paese: protezione sociale e innovazione. E poi articolarle nel concreto.

Ci vuole un grande respiro di efficienza e di equità. I rappezzi, il riformismo delle briciole, le velleità contrapposte del moderatismo e della palingenesi finale sono vecchi arnesi d´un mondo che fu. Innovazione e protezione, creatività individuale e solidarietà comunitaria: questo è il programma che ci si aspetta da Romano Prodi. Sta nel cuore e nella mente di tutti i democratici. Non ci vogliono cento pagine né cinquanta e neppure venti. Ne bastano tre o quattro per indicare e rendere espliciti quegli obiettivi che tutte le persone perbene conoscono da tempo e dei quali il paese ha bisogno.

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