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Giacomo Pellini
L’economia che trasforma
24 Maggio 2017
Proposta
«Il rapporto “Verso un’economia trasformativa” analizza lo stato dell’arte dell’economia sociale e solidale in tutto il mondo. Una rassegna di buone pratiche che creano lavoro e partecipazione».

«Il rapporto “Verso un’economia trasformativa” analizza lo stato dell’arte dell’economia sociale e solidale in tutto il mondo. Una rassegna di buone pratiche che creano lavoro e partecipazione».

Sbilanciamoci.info, 23 maggio 2017 (c.m.c)

55 territori coinvolti (46 in Europa e 9 nel resto del mondo), in 32 Paesi di cui 23 membri dell’Unione europea. Circa 30 organizzazioni della società civile attivate con oltre 80 ricercatori al lavoro che hanno mappato oltre 1100 pratiche rilevanti di Economia sociale e solidale intervistando oltre 550 stakeholder rilevanti tra i quali oltre 100 rappresentanti di autorità locali, nazionali e istituzioni internazionali. Il rapporto “Verso un’economia trasformativa”, realizzato nell’ambito del progetto europeo “Social and Solidarity Economy as Development Approach for Sustainability in Eyd 2015 and beyond” (Essdas) analizza lo stato dell’arte dell’economia sociale e solidale in tutto il mondo.

Ma cosa intendiamo esattamente per Economia Sociale e Solidale (Ess)? Una sua definizione è stata data nel 2015 nel documento “Visione globale dell’economia sociale solidale” della rete Ripess (Rete Intercontinentale di Promozione dell’Economia Sociale Solidale): secondo questa l’ESS è «un movimento che si propone di cambiare l’intero sistema economico e sociale, promuovendo un nuovo paradigma di sviluppo che sostiene i principi dell’economia solidale. L’economia sociale solidale riguarda una dinamica di reciprocità e solidarietà che collega gli interessi individuali a quelli collettivi».

L’Ess è una pratica che si è sviluppata in America Latina agli inizi dello scorso decennio, e che in diversi Paesi ha avuto un riconoscimento sia formale che sostanziale: nel 2003 in Brasile è stata istituita la carica di Segretario dell’Economia Solidale, mentre, tra il 2011 e il 2012 anche il Messico e l’Equador hanno riconosciuto le nuove pratiche sociali attraverso leggi apposite. Si è poi diffusa successivamente in Europa, anche in Italia, dove esistono attualmente 10 leggi regionali sull’Economia sociale, ed una normativa nazionale sul diritto del commercio equo e solidale è in cantiere da tempo: entro la fine della legislatura potrebbe avvenire la sua approvazione.

Il primo documento ad analizzare lo stato dell’arte dell’Ess è un rapporto dell’Ilo del 2011: un settore, secondo il report, che conta il 6% dell’occupazione in tutta Europa, con due milioni di organizzazioni che rappresentano il 10% di tutte le aziende. Nel mondo, invece, il suo fatturato globale è del valore di 7,5 milioni di euro, e conta di oltre 2 milioni di lavoratori e agricoltori. Esperienze simili, conclude il rapporto, esistono anche nei Paesi emergenti, come l’India, dove 30 milioni di persone sono organizzate in 2 milioni di gruppi di auto aiuto.

Grazie al rapporto Essdas è ora possibile mappare la presenza di tutte queste esperienze alternative sul suolo non solo europeo, ma di tutto il mondo. Anche il nostro Paese è denso di esperienze simili: le regioni più “sensibili” sono Marche, Puglia, Emilia Romagna e Toscana.

I settori produttivi più attivi, secondo lo studio, sono soprattutto quelli legati alla produzione e distribuzione di prodotti agricoli: ben 34 realtà su 55 operano nel campo della sicurezza alimentare e agricola. Spiccano poi altri campi, quali il commercio equo e solidale (16), il consumo critico (15), la promozione di stili di vita sostenibili (14), le pratiche di riuso e riciclo (11).

Per quanto riguarda le funzioni economiche svolte all’interno di tali attività il documento segnala una prevalenza delle attività commerciali di beni e servizi (42%), seguite da quelle di lavorazione e trasformazione (29%), consumo (17%) e distribuzione (12%).

Il report sottolinea poi anche l’alto numero di partecipazione delle persone ai progetti Ess: secondo Essdas gli individui direttamente coinvolti sono circa 13.000, mentre altri 1.500 sono direttamente o indirettamente occupati. Tra le realtà più “virtuose” spicca la cooperativa Manchester Home Care, che conta in tutto 800 persone, mentre la Central Cooperative Marketing delle Isole Andaman e Nicobar dà lavoro a circa 160 persone. Altro esempio da segnalare è l’organizzazione di microcredito solidale inglese Shared Interest, con oltre 9000 soci sostenitori.

E dal punto di vista del reddito? Secondo il rapporto l’impatto economico di tutte queste attività è complessivamente di 90 milioni di euro: al primo posto c’è la già citata Shared Interest, con un giro d’affari di oltre 42 milioni di euro, mentre la Home Care di Manchester registra un “fatturato” annuo di 14 milioni. Secondo le stime, il reddito medio generato da ciascuna realtà attiva nell’ambito Ess è di circa 300 mila euro. E un’altra buona notizia è che non solo gli impatti sociali e ambientali di queste realtà siano positivi, ma anche come queste contribuiscano a creare network e partecipazione sul territorio.

Cattive notizie sul fronte istituzionale: oltre alle scarse performance in termini di comunicazione e advocacy da parte del settore Ess, viene sottolineato che molti Paesi non hanno ancora leggi nazionali quadro sull’economia solidale, e che oltre il 50% di queste realtà non hanno né fondi né sponsor istituzionali, né intrattengono rapporto alcuno con le istituzioni. Di conseguenza, conclude il rapporto, l’impatto sulla politica e sulla vita pubblica è basso o addirittura nullo.

Il rapporto è stato anche presentato alla Camera dei Deputati lo scorso 26 aprile, alla presenza delle diverse forze politiche. L’obiettivo è quello di arrivare ad una legge condivisa che promuova e inquadri a livello legislativo le attività legate all’economia sociale e solidale: nello specifico lo studio, si propone di «contribuire ad aumentare le competenze delle realtà/reti che si occupano economia locale, in particolare rispetto al ruolo che può svolgere nella lotta globale alla povertà e nella promozione di uno stile di vita equo e sostenibile».

Il tutto in linea con gli Obiettivi di sviluppo sostenibile 2015 – 2030 approvati dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2014, dove nello specifico si sottolinea come tutti i partecipanti «richiedono trasformazioni significative delle nostre economie. Invitano a rendere i nostri modelli di crescita più inclusivi e sostenibili. La gente vuole un lavoro dignitoso, una protezione sociale, robusti sistemi agricoli e la prosperità rurale, città sostenibili, un’industrializzazione inclusiva e compatibile, infrastrutture resilienti e energia verde per tutti», e con gli obiettivi Europa 2020, che sostengono la necessità di creare un futuro più tecnologico, sostenibile e inclusivo. Un futuro in cui ci sia posto per tutti, una necessità per non lasciare indietro più nessuno.

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