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Francesco Alberti
L’eco-villaggio al cento per cento dove cibo ed energia sono a «km 0»
12 Gennaio 2014
Città quale futuro
Parma Due: un modo travestito per urbanizzare un altro pezzo di territorio rurale: con la scusa della sostenibilità e del chilometro zero, l'ennesimo quartiere suburbano a bassa densità e filosofia ruralista?

Parma Due: un modo travestito per urbanizzare un altro pezzo di territorio rurale: con la scusa della sostenibilità e del chilometro zero, l'ennesimo quartiere suburbano a bassa densità e filosofia ruralista? Corriere della Sera, 12 gennaio 2014, postilla (f.b.)

(Parma) — C’è un grande prato verde dove nascono speranze cantava Gianni Morandi. Il prato verde di Giovanni Leoni, 52 anni, imprenditore agricolo parmense con una rivoluzionaria idea in testa e un progetto che a mesi diventerà realtà, sono i 28 ettari sui quali il prossimo settembre verranno posate le 60 abitazioni (per altrettante famiglie, totale 240 persone) del suo Agrivillaggio, un quartiere ecologico totalmente autosufficiente dal punto di vista alimentare ed energetico, fornito di negozi e servizi, dove nulla viene sprecato, tutto viene prodotto secondo i cicli naturali dell’agricoltura e i cui abitanti si muovono a piedi, in bici o con auto elettriche.

Un eco-villaggio, «unico al mondo» afferma Leoni, capace di provvedere ai bisogni dei residenti nel rispetto dell’ambiente. Dove la filosofia del «Km 0» trova piena attuazione (Leoni parla di «iperzero»): «Tra il consumatore residente nel villaggio e l’agricoltore non ci sono intermediari né sprechi di risorse per il trasporto: tutto viene prodotto all’interno dell’Agrivillaggio, a cominciare dai prodotti di stagione». Il cuore pulsante, «il polo energetico» come lo chiama Leoni, è la stalla già perfettamente funzionante e in linea con le migliori tecnologie, che sforna cibo, consente il riciclo dei rifiuti e produce energia (biogas, quindi metano).

Il progetto di Leoni, a un tiro di schioppo da Parma, a Vicofertile, dove la campagna lambisce la prima periferia, non è un ritorno al Medioevo, «né una suggestione da eremita». È un modo diverso di pensare il futuro, l’alimentazione, l’abitabilità, i rapporti sociali. Un modello alternativo alle grandi megalopoli-dormitorio che parte dalla constatazione «dell’enorme debito ecologico che il genere umano ha ormai contratto con la Terra». Un modello che punta, nel rispetto dei cicli, a creare un mondo con più beni e servizi e un minor impatto ambientale:«A differenza di adesso, l’agricoltura del futuro dovrà partire dal fabbisogno ideale di ciascuno, guardando in faccia il consumatore». È quella che Leoni chiama «agricoltura on demand»: «Nel villaggio gli orti e i frutteti produrranno cibo per un migliaio di persone, anche se i residenti sono 200: l’eccedenza sarà venduta all’esterno».

Se negli ultimi dieci anni Leoni ha potuto dedicarsi anima e corpo al progetto dell’Agrivillaggio — che decollerà ufficialmente all’inizio del 2015 per sfruttare la scia dell’Expo di Milano e che si è avvalso della consulenza di architetti, biologi e ingegneri — lo si deve alla solidità della sua azienda agricola, leader nel settore, che produce ogni anno 1500 forme di Parmigiano-Reggiano, 22 mila quintali di pomodori e 10 mila di cipolle. L’azienda sarà il cuore pulsante dell’Agrivillaggio. È in essa che Leoni ha riversato le conoscenze accumulate nelle più diverse aree del mondo (dall’Argentina all’Australia) nel campo della sperimentazione agricola e ora confluite in una sorta di «fattoria didattica» per gli studenti delle scuole medie e superiori. Anche sul piano urbanistico il progetto presenta lati innovativi. Ispirato dalle teorie dell’architetto Frank Lloyd Wright («La città vivente», 1958) e dalle transition towns fondate in Irlanda e in Inghilterra dall’ambientalista Rob Hopkins, l’Agrivillaggio prevede nuove concezioni abitative: «Case a un piano con un tetto che fa da terrazza sugli orti. Ogni modulo poggia su una piattaforma di cemento e ha una superficie di 18 metri quadrati. Saranno i residenti a scegliere la metratura: basterà aggiungere o togliere i moduli».

Il costo della casa, fornita di fotovoltaico e solare termico, è volutamente basso per consentire a tutti di usufruirne: «Non si acquista la terra, che resta di proprietà dell’azienda, ma il diritto di superficie. Chi vuole può acquistare una quota che diventa una sorta di pensione integrativa». Autogestita anche l’urbanizzazione. Non ci saranno fogne: «Tramite la fitodepurazione i rifiuti vengono trasformati in cibo per piante, biomassa e quindi energia». Di notte funzionerà un’illuminazione al passaggio. E poi c’è l’aspetto sociale: «La spesa a “Km 0”, la possibilità del telelavoro e i servizi del villaggio consentiranno ai residenti di dedicare più tempo ai figli e agli anziani».

La grande incognita tra Leoni e il suo sogno si chiama, guarda caso, burocrazia: «Stiamo aspettando il varo del Piano strutturale comunale, ci hanno assicurato una corsia preferenziale». E ci mancherebbe. Parma è governata da un monocolore 5 Stelle. E uno degli ispiratori dell’Agrivillaggio, nonché presidente della scuola, è Maurizio Pallante, teorico della «decrescita felice», totem dei grillini.

postillaSe osserviamo con un minimo di prospettiva le vicende delle cosiddette utopie urbane (o meglio antiurbane) a cavallo tra XIX e XX secolo, non possiamo fare a meno di notare come tutte, nessuna esclusa, abbiano abbastanza ovviamente fallito l'obiettivo dichiarato, ovvero costituire un campo di prova per la società futura, mentre in alcuni casi si sono potute sperimentare puntualmente alcune innovazioni, di solito ritenute marginali almeno ufficialmente dagli utopisti e dai loro seguaci. Non fa eccezione al modello la città giardino, che addirittura ha prodotto sul versante pratico il suo esatto contrario, ovvero il suburbio a bassa densità, socialmente segregante e ambientalmente micidiale per consumi di territorio e sprechi energetici indotti dal modello di vita. Nel caso della utopia de noantri descritto dall'articolo, a definirne le premesse possono bastare i riferimenti dichiarati: l'antiurbanesimo individualista di Frank Lloyd Wright, padre legittimo di tutte le Wisteria Lane da casalinghe disperate dei nostri tempi; la fuga all'indietro (pur di fronte al temuto crollo climatico ed energetico della civiltà occidentale) del movimento Transition Town, sostanzialmente localista e familista. Anche tra gli hippies di Woodstock, insomma, si vedeva di molto meglio, da tutti i punti di vista (f.b.)

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