L’energia costituente
Carlo Galli – la Repubblica
Che il Capo dello Stato, a ridosso del 25 aprile, sia intervenuto con solennità a proposito dei fondamentali assetti istituzionali del Paese istituisce un chiaro riferimento fra la Resistenza e la Costituzione.
Ma anche fra il perdurante significato del massimo documento della nostra vita civile e la sua origine storica e politica. È come se Napolitano avesse ricordato che l’unità politica di uno Stato si fonda su una dualità conflittuale dalla quale è sprigionata l’energia costituente; e che se è certamente vero che il conflitto originario deve essere neutralizzato e portato a unità, e dare vita a un ordinamento che ottiene il consenso di tutti, è anche vero che quel conflitto, pur cessando di esistere come lacerazione e separazione, resta in qualche modo interno all’unità politica raggiunta, e, permanendovi, la orienta a favore di certe opzioni, mentre ne esclude altre. Che insomma all’origine del testo costituzionale c’è una decisione, che il consenso e il dialogo rimediano uno strappo, che l’ordine politico è nato da un disordine fecondo ma anche sanguinoso. Il che, del resto, colloca l’Italia, almeno da questo punto di vista, fra le grandi democrazie occidentali, che simile destino hanno conosciuto.
La nostra Costituzione è in virtù della sua origine, appunto questa unità politica orientata: e il fatto che (solo oggi) sia (almeno a parole) universalmente riconosciuta come un patrimonio di tutti non può significare né che è divenuta un oggetto inerte e senza vita, né che è un contenitore disponibile a tutto. Deve invece significare che – benché nessun partito, fra quelli che le diedero vita, sia rimasto vivo e vitale sulla scena politica – essa è ancora rigida, quanto ai principi e agli obiettivi. Che la complessità e la poliedricità della Resistenza – le sue molte anime – hanno preso una forma impegnativa (appunto, la Costituzione), e che questa conserva in sé un progetto ancora da realizzare, un passato che è presente, un’origine che è attuale.
Da ciò, alcune conseguenze: la prima è che coloro i quali (molto in ritardo) mostrano di comprendere che il 25 aprile non è una festa di parte, una ricordo dell’odio, ma il patrimonio civile di tutto un popolo libero, non la possono oggi banalizzare come un’innocua ricorrenza patronale, o come folklore, o come un generico momento di antitotalitarismo. La Costituzione è prima di tutto antifascista, perché quello è stato il totalitarismo che la Resistenza ha effettivamente combattuto. E l’omaggio alla Resistenza implica una coerenza nella prassi politica, e nel rispetto della Costituzione: il 25 aprile ha generato scelte politiche e costituzionali forti – allora come ora –, e ha disegnato in modo impegnativo una qualità specifica della democrazia, autentica e non virtuale, inclusiva e non populista, pluralistica e non conformistica, laica e non clericale, liberale e non autoritaria: una democrazia umanistica e pluralistica, non etnica né plutocratica. E ciò vale sia per le istituzioni sia per la costituzione materiale della società, con tutto quello che ciò significa in merito ai poteri opachi che condizionano la nostra democrazia, e alle disuguaglianze che la limitano pesantemente. E dovrebbe valere anche a far ricordare a tutti che l’esercizio diretto della sovranità popolare (il referendum) non può essere considerato – nella democrazia repubblicana – un incidente di percorso nelle strategie delle forze politiche, un fastidio da rimuovere con una ‘leggina’.
Infine, quell’esigenza di coerenza vuole che un eventuale momento costituente debba esprimere l’energia capace di ridisegnare il quadro istituzionale in senso federale e autonomistico – per consentire alla politica reale, quella che sta dentro la società, uno spazio superiore a quello che ora trova nelle istituzioni –, ma debba anche conservare la qualità specifica della democrazia prevista dalla Resistenza e dalla carta costituzionale del 1948: una democrazia segnata da un equilibrio reale dei poteri, e non da una ipertrofia dell’esecutivo, che garantisca lo sviluppo libero e equilibrato della società e della vita politica, e che lo incardini sulla legge e sul bene comune, non sul potere personale di qualcuno. L’omaggio formale ai principi della prima parte, insomma, non deve valere come il lasciapassare perché la costituzione democratica venga trasformata, e sfigurata, in una costituzione postdemocratica.
Quirinale contro
Valentino Parlato – il manifesto
Questo giornale che si ostina, caparbiamente, a definirsi "comunista", nei suoi trentotto anni di storia (il compleanno è il 28 aprile) è stato prodigo di critiche e avaro di apprezzamenti anche nei confronti delle alte cariche dello Stato. Ma questa volta il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ci impone di fare un'eccezione e di esprimere il massimo apprezzamento per il suo discorso del 22 aprile alla "Biennale della Democrazia" a Torino e per le sue parole di ieri all'Ossario di Forno di Coazze dove sono sepolti 100 dei 300 partigiani caduti della Val Sangone. Parole ferme e pesanti nell'attuale clima di subordinazione delle regole della democrazia alle necessità, vere o supposte, della governabilità. "La Costituzione repubblicana non è una specie di residuato bellico" ha detto per poi subito aggiungere "come da qualche parte si vorrebbe talvolta fare intendere...". E questa parte, aggiungiamo noi, è ormai una componente forte della cultura nazionale ed è al governo.
Ma questa Costituzione repubblicana pone limiti che non possono essere ignorati nemmeno in forza dell'investitura popolare, diretta o indiretta di chi governa. C'è anche, ci dice il Presidente della Repubblica, un populismo al quale la Costituzione deve fare argine, ed è significativo che il soggetto, al quale quelle parole erano indirizzate, abbia scelto di fare finta di non sentire, e alla fine abbia accettato di partecipare a una celebrazione del 25 aprile. Ed è al 25 aprile, alla Resistenza, alla lotta e al sacrificio dei partigiani che ieri Giorgio Napolitano ha voluto richiamare l'attenzione. Quella Costituzione che va difesa e valorizzata contro la continua pressione a eroderla e svuotarla, ha il suo fondamento nella lotta di liberazione contro il fascismo e il nazismo. La Costituzione non è il parto indolore del pensiero di alcuni saggi riuniti a congresso, ma nasce dalla sanguinosa lotta di liberazione condotta da una parte degli italiani in concorso con le forze militari Usa, inglesi e francesi. Questi argomenti, queste parole del Presidente Napolitano, noi cittadini e soprattutto noi giornalisti dobbiamo tenerle a mente e ripeterle tenacemente. Con i tempi che corrono c'è anche il pericolo che quella del Presidente divenga una vox clamans in deserto.
Il deserto ci circonda.
In questi giorni le uniche parole di seria opposizione vengono dal Quirinale.