Il Fatto Quotidiano, 13 gennaio 2016 (m.p.r.)
Fin dall’inizio è con le parole che l’Europa ha tradito. Quel che chiamò crisi del debito greco doveva chiamarlo, in osservanza del principio di realtà: crisi dell’intero progetto d’unificazione europea. L'imprecisione linguistica non è mai casuale. Serve a nascondere, è una strategia di evitamento. Circoscrivere la crisi al debito greco neutralizza le responsabilità dell’Unione, la spoliticizza. Ingrandisce i poteri di una governance sempre più incontrollata e sopprime quelli dei cittadini, che non sanno più a quale governo rivolgersi né dove sia la sovranità (governance non è governo: è potere senza imputabilità). Il progetto europeo nacque col proposito di curare i tre mali che avevano distrutto il continente: l'ingiustizia sociale, l'ostilità fra Stati, l'autoritarismo. Oggi quei fini non sono raggiunti.
Basti ricordare la risposta di Cecilia Malmström, Commissario al Commercio a una domanda sul Ttip: a cosa sono servite le petizioni contro il Trattato transatlantico in vari Paesi europei (circa 4 milioni di firme)? La replica della Malmström: «Non ricevo il mio mandato dal popolo europeo». Se la Commissione non ha ricevuto un mandato dal popolo, da chi lo riceve? Chi controlla il sempre più potente controllore? Da chi ricevono il mandato la Banca centrale europea, la troika e l’Eurogruppo, struttura completamente fuori dal controllo parlamentare e che non tiene verbali delle proprie riunioni? L’ottimismo panglossiano ha sempre fatto dire ai responsabili Ue: “L’Unione politica che farà funzionare l’euro e legittimerà i vari organi tecnici dell’attuale governance verrà, perché necessaria”. Non è venuta e non viene. Il presidente della Bundesbank già dice che non serve più.
Il negoziato con Atene ha offerto un'occasione decisiva per sperimentare e consolidare una sorta di diritto emergenziale permanente, uno stato di eccezione che sfigura senza più pudore il progetto europeo, e non i valori astratti ma i diritti iscritti nella Carta e gli obiettivi fissati negli articoli 2 e 3 del Trattato (pluralismo, tolleranza, giustizia, solidarietà, e piena occupazione, progresso sociale, sviluppo sostenibile). Il diritto emergenziale si applica in tempi di guerra, e dopo gli ultimi attentati i leader europei non esitano a proclamare proprio lo stato di guerra. Il caos alle frontiere è stato spesso acceso dalle nostre politiche estere.
L'Europa ha subappaltato agli Usa la gestione della pace e della guerra, ma gli Usa hanno mostrato di essere non una potenza creatrice di ordine internazionale, ma un impotente artefice di caos globale. In questo senso, l’Europa deve darsi subito una politica razionale e seria verso la Russia: tra le tante sue mancanze, questa è oggi la più vistosa. Se non si mobilitano al contempo l’exite il voice, non ci sarà modo di opporsi alla strategia dell’evitamento che permette all'Europa di ignorare ciò che ha suscitato al suo interno prima l'ansia, poi la chiusura mentale, infine la propensione ad autodistruggersi.