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Antonio Frattasi
«Le mani sulla città», ecco perché non è un film ideologico
5 Luglio 2007
Articoli del 2007
Un libro di Demarco e un film di ieri che ci parla dell’oggi: perché ancora troppi De Angelis ci governano. Dal Corriere del Mezzogiorno, 5 luglio 2007 (m.p.g.)

Caro direttore, in alcuni capitoli del suo recente e stimolante saggio, L'altra metà della storia, nell'analizzare le vicende relative allo sviluppo urbanistico di Napoli, lei fa più volte riferimento al famoso film di Francesco Rosi «Le mani sulla città», osservando che esso contiene un tendenzioso atto di accusa al laurismo, perché ingigantisce le responsabilità del sindaco, degli amministratori locali monarchici e del gruppo dirigente laurino, mentre esalta, nel contempo, l'azione dell'opposizione comunista e attenua le pur esistenti corresponsabilità, in operazioni speculative, dei governi democristiani dell'epoca.

Non mi convince la tesi che «Le mani sulla città» possa essere ritenuto un film comunista e contemporaneamente reticente nell'indicare i misfatti democristiani, e anche se la critica cinematografica — compresa quella di sinistra — lo giudicò espressione del «realismo socialista» proprio della cultura togliattiana, esso non lo fu affatto. «Le mani sulla città», uscito nella sale nell'autunno del 1963, fu girato quando il sistema laurino di potere era ormai al tramonto, quando gran parte dell'elettorato monarchico andava disperdendosi per dirigersi verso altri lidi; e militanti di base, segretari di sezione, consiglieri comunali e amministratori, che erano stati al fianco del Comandante per tutto un decennio, avevano già preso le distanze dal loro leader, abbandonandolo e aderendo ad altre formazioni politiche (principalmente la Democrazia cristiana, ma anche qualche partito della sinistra moderata). Per queste ragioni, il film di Rosi guardava al laurismo come a un fenomeno che andava esaurendosi, ma i cui metodi e sistemi di potere potevano invece sopravvivere ed essere utilizzati, forse con maggiore abilità e spregiudicatezza, dai nuovi gruppi dirigenti che andavano a occupare il posto di quelli usciti di scena.

Nel film di Rosi, le forze politiche in lotta, nel consiglio comunale e in città, sono tre: la destra monarchica di Maglione, magistralmente interpretato da Guido Alberti, che è il vero capo della maggioranza, sicuramente più dello scialbo sindaco (che, a dire il vero poco ricorda la figura di Lauro); all'opposizione, il centro di De Angelis (interpretato da Salvo Randone), e la sinistra del consigliere De Vita (Carlo Fermariello). La giunta comunale intende realizzare progetti urbanistici che, a quanto pare, stanno a cuore anche al governo centrale, De Vita li contrasta energicamente, ne svela i torbidi meccanismi, cerca e trova qualche alleato nell'opposizione moderata di centro. Il consigliere della destra Nottola (Rod Steiger), costruttore cinico e arrogante, vuole realizzare l'urbanizzazione di aree della città calpestando leggi e regolamenti, e, per raggiungere i suoi scopi, intende farsi nominare assessore nella giunta che nascerà dopo le elezioni. Ma il partito della destra, che teme una perdita di consensi nella competizione, gli rifiuta la candidatura, ritenendolo, dopo un gravissimo crollo avvenuto nei suoi cantieri, troppo esposto e dannoso all'immagine del partito. Nottola, forte di un grande consenso elettorale, rompe con la destra, e si candida, insieme con altri consiglieri uscenti, nelle liste del centro, e da questa parte politica ottiene l'assessorato al quale tanto ambisce per poter seguire personalmente i programmi urbanistici.

Rosi, La Capria e Forcella scrissero la sceneggiatura e il soggetto del film nei mesi che prepararono la faticosa nascita del primo governo di centrosinistra, formula politica alla quale il regista e gli sceneggiatori di «Le mani sulla città» guardavano con grande simpatia e fiducia. Erano dei riformisti convinti, perché ritenevano l'accordo tra cattolici e socialisti l'unica via percorribile per garantire insieme sviluppo economico, equilibrio sociale, progresso culturale e civile, espansione della democrazia; riponevano maggiori speranze in Moro e la Base, in La Malfa e in Nenni che in Togliatti e in Basso. Ma temevano anche che l'incontro tra democristiani e socialisti (che fu una sfida al Pci), potesse perdere la sua carica rinnovatrice per assumere il profilo di un'operazione trasformistica e sostanzialmente moderata. Si avverte, quindi, in «Le mani sulla città», questa loro preoccupazione, che appare prevalere sulla condanna del laurismo.

A tal proposito risulta illuminante il personaggio del consigliere del centro Balsamo, che, tenace avversario dei metodi di Nottola, quando apprende che lo spregiudicato costruttore sarà candidato nella sua stessa lista, minaccia di ritirare la propria candidatura; mentre il nuovo sindaco, l'astuto De Angelis, riesce, con sapienza tutta dorotea, a garantire nuovi equilibri e accordi politici con la destra, ammorbidisce le posizioni dei suoi amici di partito moralmente più intransigenti, si adopera per stemperare i contrasti, assume la regia delle operazioni speculative. Quindi, possiamo dire che il vero personaggio «diabolico» nel film di Rosi, è il nuovo sindaco, non il vecchio. E infine, anche la figura di Nottola è meno negativa di quel che può apparire: gli sceneggiatori, infatti, disegnano un profilo del costruttore dal quale emergono sicuramente la rapacità sociale e la spregiudicatezza, ma anche il dinamismo, l'intuito, l'intelligenza, la prontezza a comprendere i processi sociali. Forse, se inserito in un diverso contesto ambientale, sembrano dire Rosi e La Capria, Nottola avrebbe rispettato leggi e regolamenti, e si sarebbe comportato in maniera corretta. Ripeto, a mio modesto avviso, «Le mani sulla città» è un film di forte denuncia sociale e di impegno civile, ricorda più certo cinema americano d'inchiesta che non il realismo sovietico, non un è film, insomma, ideologico e tanto meno somiglia a un'opera cinematografica dell'epoca staliniana.

Antonio Frattasi

Circolo culturale Umberto Terracini Napoli

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