È stato reso noto che il Cipe, nella riunione che si terrà a giorni, dovrebbe riservare al Ponte sullo Stretto 1,3 miliardi dei cosiddetti Fas (Fondi per le Aree Sottosviluppate). Il ministro Matteoli ha anche fornito delle date per la partenza del progetto: a novembre del 2010 dovrebbero aprirsi i cantieri “e nel 2016 lo Stretto si potrà percorrere in auto”[1]. In una intervista radiofonica di poco successiva, ripresa oggi dalla stampa, il ministro ha anticipato ancora le date (“entro il 2009” la “partenza” del Ponte, non è chiaro con riferimento a quale passaggio del procedimento).
Sebbene l’esperienza suggerisca di prendere con cautela questo genere d’impegni, una cosa però è certa: l’intenzione c’è e la lobby del ponte in questi ultimi anni ha lavorato molto, nel disinteresse delle opposizioni politiche (parlamentari e no) e – quel che più colpisce – da ultimo anche di associazioni e comitati. Oltre alla stanchezza e allo sbandamento deve aver contribuito a questa paralisi la sensazione che l’assurdità del progetto fosse tale da emergere in modo inoppugnabile in questi tempi di crisi e di penuria. Come credere, infatti, che, in un momento in cui mancano risorse per le necessità più urgenti e in cui, nello stesso settore delle costruzioni, persino l’Ance batte cassa per le piccole opere, un impegno di questa portata sarebbe decentemente proponibile?
Né il Ponte può essere ritenuto, al pari di altri interventi infrastrutturali, un possibile volano per la ripresa, dal momento che, anche a prender per buoni i tempi di realizzazione confusamente annunciati, essi saranno in ogni caso troppo lenti perché un qualche apprezzabile effetto anticiclico ne possa mai venire. È quel che ha sostenuto il prof. Giacomo Vaciago, editorialista del “Sole-24 Ore”, persona non ostile all’opera in sé e certo non sospetta di estremismo ambientalista[2]. Non mi risulta però che il suo sensato rilievo sia stato in alcun modo raccolto, e così, nel silenzio, alla maniera di uno sciame di termiti che svuota il tronco lasciando intatta la scorza, la lobby ha continuato e continua a lavorare. Ultima notizia, e indizio che qualcosa di grosso si prepara, Pietro Ciucci, “l’uomo del ponte”, lascia l’Anas e torna alla Stretto di Messina spa.
La tattica del fatto compiuto
L’impressione, anch’essa confortata dall’esperienza, è che ai lobbyisti interessi anzitutto creare dei fatti compiuti, dei punti di non ritorno, quali che siano poi gli esiti immediati. Fu così che, nella primavera del 2006, la Stretto di Messina appaltò l’opera appena due settimane prima del cambio di governo, pur nella consapevolezza che una delle due coalizioni era contraria al progetto e che, in caso di sua vittoria, ciò si sarebbe risolto in un certo danno per la collettività: comportamento solo formalmente legittimo, ma, per usare il termine tecnico, “inopportuno” (come quello, per dirla con i manuali, del dirigente di un’impresa pubblica che effettui massicce assunzioni alla vigilia della chiusura degli stabilimenti), e quindi censurabile e scorretto sia sotto il profilo contabile che del buon andamento. Comportamento che però, purtroppo, nessuna forza politica ritenne allora di condannare come meritava, nemmeno quando poi da parte dei “pontisti” s’invocò lo spettro del danno erariale in caso di revoca dell’appalto.
Al contrario, a riprova della pervadente influenza trasversale della lobby, il nuovo ministro Di Pietro, anziché dare il viatico alla Stretto di Messina, preferì tenerla artificialmente in vita in attesa della sua futura resurrezione[3], guadagnandosi, fra gli altri, il caldo elogio di Totò Cuffaro[4]. In quegli stessi mesi frattanto la stampa locale, soprattutto siciliana, imbastiva una campagna martellante a favore del Ponte, dipinto come il simbolo del riscatto dalla miseria e dall’arretratezza, gioiello che non meglio precisati poteri forti avrebbero voluto “scippare” al Mezzogiorno. Tale battage, intonato al tradizionale vittimismo piagnone e non contrastato da alcuno – dato anche il monopolio assoluto, da quelle parti, della lobby del Ponte sull’informazione – non è stato senza effetti, sia sul piano politico (con le sponsorizzazioni plateali del governatore Lombardo che nel Ponte indicava la “priorità assoluta” per la Sicilia) sia su quello dell’opinione pubblica. È in quel clima che si collocano episodi, che si direbbero comici se non fossero invece infinitamente tristi: come quello dei bimbi di una scuola elementare, che, aiutati dalla maestra, hanno fatto una colletta per il Ponte con i loro piccoli risparmi. Sancta simplicitas, viene da dire.
Apologie e denigrazioni
L’opera di lobbying è proseguita serrata fino a questi giorni. Da segnalare l’apparizione recente del libro di Giuseppe Cruciani (il baldanzoso conduttore di Radio 24), Questo ponte s’ha da fare (Milano, Rizzoli, 2009)[5], intimidatorio fin dal titolo. Chi lo sfoglierà vedrà che si tratta nient’altro che di uno scritto di propaganda, che, pur nell’abbondanza del materiale messo a disposizione dell’autore dalla Stretto di Messina, non possiede nemmeno quel minimo di spessore tecnico che lo avrebbe reso utile sotto il profilo informativo. Il fatto che sia apparso adesso però non è privo d’interesse: ciò testimonia da un lato che la partenza dell’opera è tutt’altro che scontata (altrimenti l’autore e i suoi ispiratori si sarebbero risparmiati il disturbo), dall’altro però che l’intenzione di iniziarla, a dispetto di tutto e di tutti, era e rimane serissima. Per il resto, vi sono affastellati gli usuali argomenti “a favore” già al centro della campagna giornalistica surricordata: il ponte come “simbolo” e monumento, la cultura del fare (“basta con le chiacchiere”), il volano dell’economia e dello sviluppo, e, naturalmente, l’irrisione per gli ambientalisti “catastrofisti”, ridicolizzati perché antepongono le balene e gli uccelli migratori al progresso.
Tutti argomenti che nel selvaggiume della stampa locale avevano già toccato il parossismo, fino ad entrare a far parte, ormai, della sottocultura della piccola borghesia locale collusa e corrotta: le matte risate verso quelli che vogliono difendere le “paperelle”, e tutto il triste repertorio che si sperava appartenesse al passato (Antonio Cederna a suo tempo vi scrisse sopra pagine indimenticabili e, si credeva, definitive, circa l’uomo “che viene prima del camoscio” e simili, leitmotiv storico di tutti gli energumeni del cemento). Su ciò meglio sorvolare. Ma nel caso del Ponte di Messina (e anche del Mose) merita tuttavia aggiungere una precisazione circa un punto che sfugge a molti, anche ad alcuni avversari di questi progetti. Non è affatto vero, come ripetono i demagoghi interessati, che per via di questa o quella specie protetta le grandi opere non si possano realizzare.
Le direttive comunitarie, nello stesso tempo rigorose e intelligentemente elastiche, prevedono infatti che qualora il manufatto sia ritenuto d’importanza “imperativa” e non vi sia alternativa praticabile alla sua realizzazione, il danno da esso arrecato ad un habitat protetto può essere oggetto di una compensazione, previa approvazione delle autorità comunitarie, purché questa sia tale da mantenere o restituire l’integrità del sito. Questi interventi compensativi sono ovviamente complessi e fanno lievitare il costo finale dell’opera. Nel caso del Ponte di Messina però le direttive CEE sono state platealmente disattese, e ciò ha dato origine al contenzioso in sede comunitaria. Se quindi il percorso della “grande opera” sarà fermato per questa ragione, la responsabilità non andrà addebitata agli ambientalisti e alle “anime belle”, ma, per intero, ai progettisti e agli amministratori che non hanno rispettato le leggi[6].
C’è un cliente in attesa
Il grande cliente è la mafia. Una qualche eco ebbe alcuni anni fa il tentativo di cordate legate alla criminalità di Montreal di entrare addirittura tra i finanziatori del progetto[7], ma poca o nessuna attenzione hanno ricevuto i tanti segnali delle attenzioni della criminalità per la grande opera che si vanno moltiplicando sul territorio, praticamente fino ad oggi. Da segnalare fra questi (ma l’elenco è largamente incompleto) l’apertura a Messina, in vista della realizzazione del Ponte, di uno stabilimento della Calcestruzzi spa (tradizionale fornitore di Impregilo e prima ancora di Girola), impresa posta poco appresso sotto amministrazione giudiziaria per collusioni mafiose e per la fornitura di calcestruzzo fasullo[8]; le inchieste sugli appalti della Condotte d’Acqua per la Salerno-Reggio Calabria che nella primavera dello scorso anno hanno portato il prefetto di Roma alla revoca del certificato antimafia alla società[9]; l’interessamento ai lavori per il Ponte della cosca di Villabate (strettamente legata a Bernardo Provenzano) e delle sue diramazioni nel Nord Italia[10], fino alle recentissime rivelazioni dell’operazione “Pozzo”, che ha interessato la mafia di Barcellona Pozzo di Gotto. Quest’ultima vicenda, pochissimo nota, merita qualche parola in più. Ancora una volta è grazie ad un’intercettazione telefonica ed alla sua tempestiva pubblicazione che possiamo essere informati di come l’imprenditore Salvatore Puglisi (P), arrestato per mafia il 30 gennaio scorso, commentasse con un suo interlocutore (G) gli ultimi sviluppi:
“P.: Il Ponte di Messina lo fanno…; G.: Io so che lo fanno… ormai c’è Berlusconi… lo fanno…; P.: Eh… la mia parte di cemento io la devo portare…; G.: Eh… lì ci entri pure tu!; P.: Eh… che faccio non entro io? G.: Eh… allora qua ti conviene… perché poi qua ti fai la strada e sei arrivato… più presto di tutti fai… anche se lì c’è la Margherita [riferito all’impianto di calcestruzzo “La Margherita srl” con sede al Villaggio Pace di Messina]… la Margherita qui abbiamo…; P.: Margherita si fa il suo ed io mi faccio il mio; G.: Ognuno si fa il suo…; P.: Ognuno si fa il suo…; G.: Ah? P.: Ognuno… così lavoriamo tutti…; G.: Così dovete fare…; P.: Non ci scorniamo noialtri… basta che uno si fa il suo…; G.: No… però vedi che ci sono pure quelli di Reggio pure…; P.: Ah? Quelli dell’altro lato…; G.: Ah?…ah… quelli fanno quello di là, l’altra metà…” [11].
La viva voce dei protagonisti è più eloquente di qualsiasi discorso e, al confronto, suonano patetiche le promesse e le raccomandazioni di rigore da parte dei difensori d’ufficio vecchi e nuovi. Dovrebbe ormai esser chiaro che, da un lato, sono i meccanismi stessi della legge obiettivo a facilitare le infiltrazioni, e, soprattutto, che queste sono inevitabili in territori posti sotto il pieno controllo della criminalità, come tutti questi esempi e, ovviamente, i precedenti del porto di Gioia Tauro, del centro siderurgico e della Salerno-Reggio Calabria insegnano. D’altronde, se anche per assurdo i rigorosi controlli promessi fossero possibili ed efficaci, ciò si risolverebbe in una parallela dilatazione dei tempi e delle risorse richieste, e tutto ciò andrebbe contabilizzato in una corretta analisi di costi e benefici, finora del tutto mancata [12].
La lobby all’opera
A riprova del fatto che, come diceva un saggio, nessun libro è del tutto inutile, a questo di Cruciani si deve però almeno un’importante notizia inedita. A p. 138 si narra dell’azione condotta a favore del Ponte dalla Reti, “società di lobbying e public affairs”[13] facente capo a Claudio Velardi (già braccio destro di D'Alema e fondatore del “Riformista”), e si riferisce che Pierluigi Bersani avrebbe suggerito ai lobbyisti: “Andate avanti, così quando arriviamo noi al governo non si potrà più tornare indietro”. E bravo Bersani! Non solo apprendiamo qualcosa in più sul candidato di D’Alema alla guida del Pd, ma abbiamo un’altra conferma, se mai ce ne fosse ancora bisogno, dell’uso spregiudicato del “fatto compiuto” di cui s’è appena detto e di come lavorano le lobbies trasversali. Questo curioso retroscena, ora noto per merito del libro di Cruciani, richiama alla mente un altro dialogo telefonico, quello memorabile tra Fassino e Consorte, dove si parla dell’entrata dell’immobiliarista Marcellino Gavio (azionista Impregilo) nella nota scalata bancaria: “Consorte: Gavio entra perché ha capito che… che aria… che l’aria cambia e siccome lui… Impregilo vuole lavorare con le cooperative…; Fassino: Ho capito, ho capito; Consorte: Non c’è nessuno che fa niente per niente Piero, a sto’ mondo, eh!”[14]. Già, nessuno fa niente per niente.
Berlusconi al Ponte ci tiene
Come stupirsi se quest’opera, così ambita nello stesso tempo dagli industriali del cemento del Nord e dagli ascari governativi del Sud, nonché da tutte le lobbies d’Italia, sia anche in cima alle priorità del Presidente del Consiglio? Oltre a rallegrarci con le solite battute cochon (“Si potrà andare in Italia [sic] dalla Sicilia anche di notte, e se uno ha un grande amore dall’altra parte dello Stretto potrà andarci anche alle quattro del mattino senza traghetti”)[15], fortunatamente il garrulo premier ha avuto modo, nel corso di un comizio tenuto lo scorso novembre durante le amministrative di Abruzzo, di rivelarci anche lui dei particolari interessanti circa le trattative per l’aggiudicazione della gara: “Sapete com'è andata col Ponte sullo Stretto? Avevamo impiegato cinque anni a metter d’accordo le imprese italiane perché non si presentassero separate alla gara d'appalto ma in consorzio... Eravamo andati dai nostri colleghi chiedendo che le imprese non si presentassero in modo molto aggressivo, proprio perché volevamo una realizzazione di mano italiana, e poi avremmo saputo ricompensarli con altre opere pubbliche. La gara d’appalto è stata vinta dal consorzio italiano: poi la sinistra ha distrutto tutto in cinque minuti”.
Come è stato giustamente osservato, “se le parole hanno un senso, il premier spiega di avere – non si sa a che titolo – aggiustato una gara internazionale per far vincere Impregilo sui concorrenti stranieri, invitando quelli italiani a farsi da parte in cambio di altri appalti (pilotati anche quelli?). Ma non è successo niente: siamo mitridatizzati al peggio, anche se in teoria il Codice penale vieterebbe le turbative d'asta. Ma immaginiamo quelle parole in bocca a un Sarkozy, a un Brown, una Merkel, a uno Zapatero, a un Bush, a un Obama. Ammesso e non concesso che, dopo averle pronunciate, fossero rimasti a piede libero, si sarebbero ben guardati dal rinfacciare la questione morale ai loro avversari politici. Berlusconi invece l'ha fatto. E gliel’hanno lasciato fare” [16].
Del resto, tutto si tiene. Chi sa come mai – mi chiedo io a questo punto – Marcello Dell’Utri, in una telefonata intercettata, si diceva certo in anticipo che l’appalto l’avrebbe vinto Impregilo? [17]. La stessa Impregilo che, principale responsabile dello scandalo dei rifiuti a Napoli, è stata salvata dal governo, se non addirittura, appunto, “ricompensata con altre opere pubbliche” (si veda, che so, la grande autostrada costiera in Libia concordata con Gheddafi).
Che fare?
Il tratto unificante di diversi degli episodi che si sono richiamati è la pervasività e la trasversalità della lobby. Dal grosso esponente politico al sindacalista, dal banchiere al giornalista, nessuno ne resta immune. Anche se, ovviamente, il lobbying parte dalla destra affaristica, l’obiettivo più ambito è però guadagnare qualche posizione “a sinistra”, nei giornali e nei partiti, in modo da isolare e mortificare i residui oppositori. Il passo successivo sarà quello di criminalizzarli, qualora, come in passato, volessero manifestare pubblicamente. La vicenda dei rifiuti di Napoli, che vede i responsabili del disastro (industriali ed amministratori) ancora al loro posto e i loro critici (ambientalisti e magistrati) messi sotto accusa e ridotti a sovversivi, costituisce un precedente inquietante, purtroppo avallato o tollerato da quasi tutta la stampa, anche di opposizione.
Non c’è dubbio che la medesima canea, con in più adesso l’accusa di sabotare l’economia in crisi e la ripresa, si scatenerà contro chi volesse scendere in piazza contro il Ponte. Ebbene, questa è una di quelle occasioni in cui bisogna dimostrare che la ragione può averla vinta sulla forza. Oltre al ricorso alle leggi nazionali e comunitarie ed all’informazione dal basso, ho notizia che da parte di molti si propone il ricorso ad uno strumento, poco usato in Italia, ma assai diffuso ed efficace in tutte le democrazie: vale a dire il boicottaggio sistematico delle società, dei gruppi finanziari e delle banche coinvolti nel progetto. A cominciare dalle banche, per altro già in sofferenza per conto loro. Mi auguro che questa proposta sia raccolta: dipende solo da noi, ed è nostro diritto, impedire che un’opera che noi non vogliamo sia finanziata, a beneficio di affaristi e di mafiosi, con i nostri risparmi.
[1] “Il Tempo”, 15.2.09.
[2] “Inserire il ponte sullo Stretto in un pacchetto anti-recessione significa pensare che la crisi durerà almeno cinque anni, non ha senso in un pacchetto congiunturale che voglia dare risposte sul breve-medio periodo” (“L’Unità”, 23.11.08).
[3] Cf. le giuste osservazioni di Carlo Scarpa.
[4]Ponte, il sogno continua, “Giornale di Sicilia”, 26.10.07. Il giorno prima al Senato, con 160 voti contro 149 e il voto determinante dell’Idv, era stato bocciato l’emendamento della maggioranza alla Finanziaria che intendeva sopprimere la Stretto di Messina.
[5] L’opera, mentre scrivo, viene massicciamente recensita sia sulla stampa nazionale (“Sole-24 Ore”, “Riformista”, ecc.) che su quella locale. La simultaneità e il numero dei soffietti permette di farsi una buona idea dell’estensione e delle ramificazioni della lobby.
[6] Su analoghe questioni relative al Mose mi sono soffermato in questo stesso sito.
[7] Questa vicenda e, più in generale, quella degli interessi mafiosi volti alla realizzazione del Ponte è stata assai ben documentata in un lavoro di Antonio Mazzeo, I Padrini del Ponte, che sin dal marzo 2008 attende la disponibilità di un editore alla pubblicazione. Si veda intanto S. Lenzi, Il Ponte sullo Stretto e la mafia, “L’Altra Campana”, II, 1-4 (2004) [ma marzo 2006].
[8] “Giornale di Sicilia”, 1.2.08.
[9] A. Bolzoni, “La Repubblica”, 9 e 13.6.08. Condotte è partner di Impregilo, oltre che nella cordata per il Ponte e nella Salerno-Reggio Calabria, nel Mose e in diversi altri progetti. La revoca è stata successivamente annullata dal Tar.
[10] Testimonianza del collaboratore Francesco Campanella, confermata da quella del costruttore Vincenzo Alfano, siciliano trapiantato in Emilia, arrestato e poi condannato per associazione mafiosa e riciclaggio: “Campanella mi chiamò e mi disse di tenermi pronto e di cominciare a muovermi per i subappalti e i lavori di fornitura per la realizzazione del Ponte sullo Stretto” (“La Repubblica”, ed. Palermo, 23.3.06).
[11] “Gazzetta del Sud”, 3.2.09.
[12] Si vedano, sul Ponte e sulle Grandi Opere in generale, le osservazioni durissime della Corte dei Conti, in particolare la delibera n° 12/2007/G, cf.
[14] Conversazione del 17 lug. 2005, cit. in G. Barbacetto, P. Gomez, M. Travaglio, Mani sporche, Milano 2008, p. 347.
[15] “La Repubblica”, 7.5.05.
[16] M. Travaglio, "L'Espresso", 30 dic. 2008.
[17] L. Fazzo, F. Sansa, “ Ponte sullo Stretto”. Vincerà Impregilo, “La Repubblica”, 3.11.05, cf..