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Salvatore Settis
Le mani della Lega sulla scuola pubblica
17 Settembre 2010
Articoli del 2010
Le radici dell’ideologia del Capo di una formazione con cui, secondo alcuni, i democratici dovrebbero fare accordi. La Repubblica, 17 novembre 2010

In attesa che Bossi riceva l´annunciata laurea honoris causa da un qualche Ateneo presuntivamente celtico, la Lega allunga le mani sulle scuole pubbliche. È di domenica la notizia della scuola di Adro «leghizzata» con gran dispiego di «sole delle Alpi» dai banchi al tetto; intanto a Bosina di Varese la moglie di Bossi dirige la scuola «dei Popoli Padani», privata ma con una dotazione di 800.000 euro decisa dal governo con la cosiddetta «legge mancia» (Il Giornale.it, 13 settembre). È dunque il momento giusto per interrogarsi sui meriti culturali di Bossi, che fanno tutt´uno coi progetti scolastici del suo partito. Secondo i suoi detrattori, il futuro dottore sarebbe capace solo di gestacci, insulti alla bandiera ed altre volgarità: grandi virtù comunicative, meglio di una tesi di laurea. Ma gli orizzonti culturali di Bossi sono assai più ampi. In un discorso del 27 gennaio 2004, dal titolo Dio salvi la Padania (visibile sul sito della Lega), egli traccia addirittura un quadro della «rottura geopolitica del mondo» dopo l'11 settembre, colpa di «Roma ladrona» oltre che dell´attacco alle Torri gemelle. Sull´Italia, la dottrina di Bossi è questa: «quando uno Stato è eterogeneo dal punto di vista etnonazionale, i problemi girano attorno a due lealtà, la lealtà alla Nazione e quella verso lo Stato. Per i popoli che non sono dominanti, come noi padani, le due lealtà sono distinte e possono entrare in competizione tra loro. In questi casi la minoranza chiede l´autodeterminazione nazionale, un diritto sancito dall´Onu». Eterogeneità etnonazionale, «comuni matrici etnoculturali» dei popoli padani: ecco un linguaggio «dotto» dove non ce lo aspetteremmo. Da dove viene?

Il miglior parallelo sono le elaborazioni «teoriche» del «Pensiero Etnonazionalista» e dell´«Idea Völkisch nelle comunità Alpino-Padane» che si possono leggere in un libro, Fondamenti dell'Etnonazionalismo Völkisch (2006), firmato da Federico Prati, Silvano Lorenzoni e Flavio Grisolia. Secondo loro, «le comunità padane» sono la miglior risposta a «un´epoca etnicamente e culturalmente decadente», all´«immigrazione allogena, al materialismo comunista, al mondialismo massonico». Fin troppo chiare le matrici razziste e fasciste, anzi naziste, della terminologia usata (völkisch , «sangue, suolo e conoscenza»). Silvano Lorenzoni, festeggiato nel giorno del suo compleanno come « un vero identitario/razzialista bianco veneto/europeo», è stato presidente dell´Associazione Culturale Identità e Tradizione, che si ispira a Julius Evola, e capogruppo della Liga Veneta nel Consiglio Comunale di Sandrigo (Vicenza). La casa editrice Effepi (Genova), che ha pubblicato questo e altri volumi su tale «etnonazionalismo», si distingue anche per i suoi libri di «storia non convenzionale» del Novecento, per esempio quello di Udo Walendy che considera l´Olocausto un prodotto della propaganda antitedesca ottenuto con abili fotomontaggi.

Ma la neoideologia padana non si affermerebbe senza mettere le mani in pasta nell´educazione delle nuove generazioni: nella scuola. Guardiamo quel che succede in Spagna, nazione anche in questo sorella, dove l'insorgere delle autonomie regionali si lega strettamente alla fine del franchismo e alla fortuna delle lingue diverse dallo spagnolo (specialmente il catalano e il basco), fondata sulla loro lunga e nobile tradizione culturale, ma anche su una sacrosanta reazione alla repressione franchista. Ma l´ondata degli autonomismi regionali ha generato e diffuso nelle scuole una manualistica rivendicativa di altrettanti «spiriti nazionali» (basco, catalano, galiziano, andaluso...), puntualmente riflessi nel linguaggio degli storici «allineati», come ha mostrato Pedro Heras in un bel libro recente (La España raptada: la formación del espíritu nacionalista , Barcelona, Altera, 2009). Analizzando manuali scolastici e pratiche dell´insegnamento, Heras ha dimostrato che tali «processi di ri-nazionalizzazione» hanno adottato in pieno la stessa retorica del più vieto nazionalismo franchista, utilizzando per esaltare le nazionalità regionali le stesse identiche formule, gli stessi slogan che furono martellati per decenni dalla propaganda di regime, applicandoli al popolo spagnolo nel suo insieme, e usandoli allora anche per reprimere le lingue «proibite». Quasi che, se applicata mettiamo al catalano, quella stolta retorica fosse «sdoganata» d´incanto.

Per quanto rozzi e incolti, i tentativi di Bossi di creare dal nulla la neo-etnia dei padani hanno fatto lo stesso: pur senza rifarsi esplicitamente alla tradizione nazi-fascista, da essa hanno ripescato la terminologia «etnonazionale» con tutte le sue implicazioni, usandola simultaneamente per de-nazionalizzare l´Italia e «nazionalizzare» una Padania d´invenzione. Perciò i più agguerriti proclami in lode della "razza padana" (come quelli citati sopra) si trovano sul sito www.stormfront.org, alfiere del World Wide White Pride, fondato nel 1995 da Don Black, già leader del Ku Klux Klan, che usa come logo la cosiddetta «croce celtica», surrogato della svastica. La maggioranza dei leghisti, persino di quelli che usano quelle formule e quegli slogan, è presumibilmente inconsapevole di queste derivazioni e tangenze, anzi le negherebbe accanitamente. Non per questo esse sono meno preoccupanti, in una scena politica come quella italiana, in cui secessione e federalismo sono fratelli siamesi, e gli argomenti per l´una e per l´altro s´intrecciano e si confondono in una rincorsa senza fine; in cui, con la passività o la complicità delle sinistre, il maggior argomento in favore del federalismo è la minaccia di secessione, e chi detta le regole è solo la Lega. Vedremo se la spiritosa invenzione dell´etnonazionalismo padano risulterà merito sufficiente per una laurea honoris causa: in ogni modo, sotto quella pergamena non basta la firma di un qualche ateneo galloceltico, ci vuole anche (per legge) quella di un ministro nel suo ufficio di «Roma ladrona».

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