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Le lunghe ombre del Piano per Milano
5 Febbraio 2011
Milano
In una rassegna dalle edizioni nazionali e locali de la Repubblica e Corriere della Sera, 5 febbraio 2011, cronaca e opinioni qualificate a proposito del Pgt di Milano appena approvato dalla giunta (f.b.)

la Repubblica ed. nazionale

Grattacieli e nuovi quartieri scontro sulla Milano del futuro

di Alessia Gallione, Teresa Monestiroli



MILANO - È il libro mastro che dovrà trasformare la Milano dei prossimi vent’anni. Una rivoluzione per l’urbanistica. Che permetterà di cambiare il volto a interi pezzi di città, trasformati in nuovi quartieri per migliaia di abitanti: dagli scali ferroviari dismessi alle centralissime caserme. Fino a zone oggi periferiche come via Stephenson. È lì, su quel triangolo ai confini nord-ovest, che il nuovo Piano di governo del territorio disegna una foresta di 50 grattacieli di uffici: una Défense alla meneghina che, grazie alla vicinanza con il futuro sito dell’Expo, cancellerà capannoni e campi rom.

«Il provvedimento più importante del mandato», per dirla con il sindaco Letizia Moratti. Che il centrodestra è riuscito ad approvare ieri, a pochi mesi dalle elezioni e a dieci giorni dalla scadenza tassativa. Tra la rivolta di associazioni come Libertà e Giustizia e Legambiente, della società civile e del centrosinistra pronto a fare ricorso al Tar contro un provvedimento «illegittimo». Ma che permette già adesso di leggere le vicende di una città, dove i signori del mattone comandano da sempre.

È una cartolina spedita dalla Milano del 2030, quella scritta dal Pgt. Uno strumento atteso da 30 anni, che prevede di far crescere la città fino a 1 milione e 700mila abitanti: quasi mezzo milione in più. Era il 1980 quando venne approvata l’ultima variante al Piano regolatore degli anni Cinquanta. Un’altra epoca. Il Piano di Letizia Moratti e dall’assessore all’Urbanistica Carlo Masseroli promette di aumentare il verde e i trasporti, 30mila case a prezzi calmierati, la tutela dei 42 milioni di metri quadrati del Parco Sud da sempre al centro degli appetiti degli immobiliaristi, Salvatore Ligresti in testa. Per realizzare verde e trasporti servono però 14 miliardi di euro e all’appello ne mancano 9,6.

Ecco il "volto sostenibile" di un Pgt che non dovrebbe «consumare nuovo territorio», ma far crescere Milano recuperando aree degradate come sette scali ferroviari, cinque caserme del demanio, zone del Comune e private. Ma è proprio su quei 7 milioni di metri quadrati messi in gioco, che il Pgt aprirà le porte al cemento. E agli affari. In tutto, soltanto sulle 26 zone destinate a diventare altrettanti nuovi quartieri, caleranno 18 milioni di metri cubi di costruzioni. L’equivalente di 160 grattacieli Pirelli con i suoi 127 metri di altezza. Tra i fasci di binari da smantellare, alcuni sono centralissimi come una fetta della stazione Cadorna, dove si potrà edificare fino a 100mila metri quadrati, o Porta Genova da riconvertire in distretto del design.

All’ex scalo Farini il modello è Manhattan con un Central Park che occupa il 60 per cento dell’area e una selva di grattacieli equivalenti a 19 Pirelli. Ma nel Piano che cancella le destinazioni d’uso in tutta la città e lancia la possibilità di spostare da una parte all’altra di Milano le volumetrie, non tutte le zone sono uguali. In alcune (come a Stephenson) si potrà costruire di più: sarà il Comune a decidere dove. Tra le caserme da riconvertire c’è lo spazio della Perrucchetti, che alternerà case (i Pirelloni sono 27) e spazi sportivi. In periferia, invece, nella zona sud-est di Porto di Mare, traballa il progetto di realizzare una Cittadella della giustizia con tribunale e carcere. Il resto, come sempre, lo faranno gli interessi del mercato e il tempo..

la Repubblica ed. Milano

Grattacieli e nuovi quartieri scontro sulla Milano del futuro

intervista a Vittorio Gregotti, di Maurizio Bono

«No, non sta proprio in piedi, è un grande equivoco a partire dal nome: intanto non è un "piano", perché il suo scopo è proprio ridurre la programmazione al minimo. E tantomeno ha qualcosa a che fare con il "territorio", riguardando solo l’area comunale di Milano, il che è un’assurdità palese in una città piccola e così legata al suo hinterland...». Vittorio Gregotti, architetto di fama internazionale con mezzo secolo di progettazione alle spalle, nell’immediato futuro una città satellite a Shanghai e un saggio su Architettura e postmetropoli per Einaudi, è anche l’ultimo architetto che a Milano ha disegnato e visto vivere un quartiere intero, Bicocca. «Capirà bene, perciò, che non sono di quei teorici del non costruire nulla, costruire è il mio mestiere». Ma il Pgt, che da anni agita il dibattito politico e urbanistico milanese e ha finito per passare col colpo di mano che ha cassato 4700 osservazioni, non gli va giù: «Sono stato al recente incontro di Libertà e Giustizia sul tema e condivido tutte le obiezioni che ho sentito. Ora l’opposizione farà i ricorsi, certo, ma è un uno scempio».

Pensa alle conseguenze? Immagina una Milano peggiore?

«Mah, è impossibile perfino immaginarla nei dettagli, tanto sono strampalate le premesse. Per dire, l’aumento di 400 mila anime quando dagli anni Settanta i residenti fuggono per i prezzi troppo alti in città e niente fa pensare che caleranno inducendoli a tornare. Poi l’idea che ad attirarli sarà un 35 per cento di case costruite da cooperative, quando il problema urgente è la lista di 25mile famiglie in attesa di case popolari, che ovviamente non hanno i soldi per pagare il tipo di "basso costo" previsto dal Pgt. E per finire i servizi, che si tenta di affidare tutti ai privati, e che a partire dai trasporti sono già insufficienti sulla carta».

Insomma, non funzionerà: allora perché tanto allarme?

«Perché il Pgt dovrebbe durare 5 anni e avere effetti fino al 2030, e nel tempo una programmazione è indispensabile. Invece sono riusciti a non prevedere nel Pgt neppure l’Expo: quello andrà per conto suo. Vede, lo sfondo generale è che tutte le città sono in crisi, da Parigi al Cairo a Shanghai, e con loro purtroppo buona parte della cultura urbanistica. La ragione è che è sempre più difficile capire qual è il bene collettivo da perseguire, e ancor di più in Italia dove il disastro della politica dà ben poche linee guida. Ma servono perlomeno ipotesi responsabili che si confrontino con la realtà. Poi si possono cambiare, correggere, ridiscutere. Invece qui di idee non ce n’è. Tranne una».

Cioè?

«La "perequazione", funziona così: chi ha diritto a costruire così poco che non gli converrebbe farlo, può renderlo conveniente trasferendo i diritti altrove. Ma i diritti di edificabilità li distribuisce proprio il Pgt, sui terreni "periurbani" in gran parte di proprietà degli immobiliaristi, prima a indice zero. In pratica regala valore: anche senza un mattone sopra quegli indici cominceranno a rendere in finanziamenti bancari. Se da tempo è un sospetto fondato che il Pgt sia soprattutto al servizio della proprietà immobiliare, diventerà certezza. Il vecchio Marx lo definirebbe capitalismo monetario globalizzato».

Torniamo a Milano. Come siamo finiti in questo vicolo cieco?

«Anche l’opposizione ha le sue colpe. Tre anni fa ho avuto una discussione con l’assessore Masseroli e lui, con una certa brutalità che lo contraddistingue, è stato chiaro nel dire che voleva la deregolazione, fino all’eliminazione delle destinazioni d’uso. L’errore dell’opposizione è di non aver mai pensato un anti-piano».

Da dove cominciare? I vecchi piani regolatori, ne avrà fatto esperienza a Bicocca, funzionavano male e a suon di deroghe.

«Eccome. Però erano frutto di un’elaborazione seria, anche di urbanisti di valore. E c’erano buone idee nel nuovo Piano regolatore in discussione a Roma prima del cambio di giunta, ora lettera morta. Alla Bicocca, invece, ho avuto la fortuna di un primo committente, Leopoldo Pirelli, che ha accettato la condizione di non fare un quartiere dormitorio, e l’idea che si potesse solo inserendovi funzioni forti: l’università, che dà buoni risultati, ma anche il teatro, che certo poteva andare meglio. Poi per fortuna altri servizi sono arrivati, con molto ritardo».

Col Pgt sarebbe andata peggio? Certe funzioni sono indicate anche lì, per le aree dismesse.

«E non è affatto scontato che debbano andare proprio lì, e non magari dove servirebbero e mancano. Ma nelle mille pagine del documento ci sono anche contributi interessanti. Solo che restano lì, senza conseguenze, in un canovaccio abbastanza elastico da consentire tutte le eccezioni e non prevedere nessuna regola. La regola vera diventa che ciascuno nell’area assegnata fa il proprio interesse come meglio può: il modello è Citylife, pezzi giustapposti senza criterio, e lì si sa che la gara non l’hanno vinta i grandi architetti, ma i maggiori offerenti».

Corriere della Seraed. nazionale

Il piano di Milano e la scelta sociale

di Ugo Savoia

Ci sono voluti quattro anni per confezionare il vestito che Milano indosserà per decenni. Quarantotto mesi di polemiche e accuse incrociate. Ma alla fine la giunta Moratti è riuscita a portare a casa il Piano di governo del territorio, lo strumento urbanistico che fornirà le linee guida per i prossimi vent’anni: che cosa, quanto e dove si potrà costruire da oggi al 2030. Proprio in quell’anno, secondo le previsioni del piano, la popolazione milanese avrà raggiunto quota un milione e 700 mila.

Va da sé che alla comprensibile soddisfazione della maggioranza — era dal 1980 che la città non si dotava di uno strumento di programmazione urbanistica— fanno da contraltare le durissime critiche delle opposizioni, che parlano apertamente di provvedimento illegittimo, approvato in spregio alle osservazioni dei cittadini, e del rischio che nei prossimi vent’anni Milano venga sommersa da volumetrie equivalenti a quasi duecento grattacieli Pirelli.

In attesa di vedere, già dal futuro più immediato, chi avrà ragione, vale la pena di sottolineare che, rispetto a trent’anni fa, del nuovo piano colpisce soprattutto la flessibilità totale, con l’abbattimento di tutti i vincoli previsti dalla legge precedente, il vero elemento di rottura (e di critica) assieme alla Borsa delle volumetrie, cioè la possibilità per chi possiede un immobile di trasferire in un’altra zona della città i diritti edificatori che gli vengono riconosciuti in quanto proprietario. Una flessibilità che ribalta i principii stessi che dal dopoguerra facevano scuola in campo urbanistico specialmente nelle grandi città: non si può fare (quasi) nulla, poi si vedrà con le varianti. Quindi il nuovo Pgt non proibisce a priori, come succedeva in passato, ma valuta a posteriori l’effettiva esistenza di un interesse per la collettività.

Esistono certamente zone vincolate, ma la filosofia di fondo sembra essere quel «vietato vietare» di tempi lontani, questa volta applicato all’edilizia, e accompagnato, come contrappeso, da consistenti interventi in materia di housing sociale: decine di migliaia di alloggi costruiti nell’ambito dei progetti di riqualificazione di intere aree della città (per esempio gli ex scali ferroviari) messi sul mercato a prezzi si spera vantaggiosi per favorire in particolare i giovani nell’acquisto della prima casa, tassello fondamentale per il «ripopolamento» della città che il provedimento mette in preventivo. Ora si tratta di aspettare, auspicando che la flessibilità non si trasformi in un «liberi tutti» edilizio di cui Milano sicuramente non sentiva il bisogno.

Corriere della Sera ed. Milano

La forma della città

di Alberico Barbiano di Belgiojoso

Il Piano di governo del territorio è stato approvato, anche se con modalità un po’ particolari. Vuole essere innovativo, enunciando flessibilità e trasformabilità: occorre però vedere se adempirà anche al compito, che spetta all’amministrazione comunale, di regolare lo sviluppo della città, e organizzare fra di loro le diverse componenti, fisiche e procedurali. Molte questioni cominciano ora. È stata lasciata molta discrezionalità alla fase di gestione. Milano ha delle caratteristiche di insieme, dei valori e delle risorse; come preservarli e difenderli, e innestare efficacemente su di essi l’innovazione, affinché si generi qualità urbana?

Non basta fare gli urbanisti o gli architetti, occorre ragionare e operare in termini particolari, di progettazione urbana, per individuare le caratteristiche che contano, presenze storiche e paesaggio, ma anche le effettive possibilità di uso della città, le attività e le attrezzature, le centralità e le gravitazioni, i caratteri urbani delle diverse parti, i «riferimenti collettivi» ; che presentano diversi tipi di interesse, non solo visivo, ma anche per la loro storia, per la loro funzione, per l’ «immagine» culturale e il significato che hanno per gli abitanti e per le tante categorie di visitatori che Milano vanta; e occorre saper operare sui «meccanismi urbani» , per scegliere azioni adeguate al risultato che si vuole, e per indirizzare in quel senso gli operatori da cui quel risultato in gran parte dipende.

Molte scelte del Pgt, ed ora della sua gestione, incideranno fortemente sulla realtà della città, e potranno innescare situazioni molto positive, ma potranno distruggerne altre invece importanti. E a Milano si sono già ampiamente espresse idee e aspettative, sui giornali, nei convegni, nella letteratura, sulle funzioni, sui valori urbani, e sui caratteri da adottare come riferimento per i progetti e per i piani; e ciò deve prevalere su quanto può venire fuori dalle sole azioni incrociate degli operatori, dalla semplice utilizzazione di strumenti e indici. Ad esempio, nel campo delle presenze storiche, nel centro e in altre aree di sicuro interesse culturale, il Pgt ha dato delle prescrizioni, ma in altri punti, a certe condizioni, concede deroghe che vanificano quelle indicazioni. Per le prime, è necessaria maggiore determinazione; è inutile conservare se si consentono cambiamenti che modificano l’immagine; non serve alla conservazione e dà costrizioni inutili alla innovazione.

E quelle deroghe costituiscono veri e propri «smontaggi» delle scelte di partenza. Nella gestione andrà il più possibile evitato che una ottusa utilizzazione di quelle procedure (convenzioni, piani attuativi) cancelli quelle strategie. Ciò modificherebbe l’intera previsione, che invece è un sostegno per il Piano generale, ed è stata approvata con le procedure di insieme e deve restare vincolante.

E con la perequazione, che consente ai privati di usare i loro diritti volumetrici in altre aree, ora non prevedibili, e non risultanti da una scelta di insieme, può succedere di contraddire la impostazione del Piano generale. Occorre dire che in certi punti le volumetrie create dalla perequazione non possano andare. Non possiamo rischiare di «disfare» l'immagine della città; dobbiamo anzi decidere come farne una città bella. Raramente i grandi progetti hanno generato la qualità urbana che enunciavano.

Molto di più si può fare conoscendo le diverse realtà, nel centro e nelle periferie, e calibrando su di esse gli interventi. Un processo di Piano si trova comunque a operare su componenti che devono restare più vincolanti, e su altre più libere. Con i piani regolatori tradizionali era più facile controllare criteri e risultati, e le varianti permettevano gli aggiustaggi nel tempo senza perdere il controllo. Con il sistema più «dinamico» del Pgt occorre gestire un sistema complesso, e avere idee più chiare sia sugli obiettivi che sui risultati che si vogliono. Benvenuto il nuovo procedimento, ma attenzione a usare anche gli strumenti più sofisticati che sono necessari per la gestione del tutto; il che è possibile, mentre il «lasciar tutto libero» ha senza dubbio effetti negativi (non tutti prevedibili) sulla città, che peraltro già presenta diversi problemi da risolvere e molte situazioni da migliorare.

Corriere della Sera ed. Milano

Approvato il Pgt: «Decisione storica Milano sarà più verde e attraente»

di Rossella Verga

Dopo trent’anni il vecchio piano regolatore va in pensione e lascia il posto al nuovo piano di governo del territorio che spazza via i vincoli urbanistici in nome di una città «flessibile» . Il documento, che allarga lo sguardo fino alla Milano del 2030, è stato approvato dal consiglio comunale (con i soli voti della maggioranza) dopo un iter lunghissimo e infinite polemiche: 34 i «sì» compreso quello del sindaco, Letizia Moratti, che si è presentata in aula puntuale per l’appello e ha permesso con la sua presenza il raggiungimento del quorum (31 consiglieri) per cominciare la seduta. Il centrosinistra al momento del voto ha lasciato l’aula per protesta e per tutto il consiglio ha esposto sui banchi i cartelli: «Non finisce qui» .

Già la prossima settimana saranno pronti i ricorsi. Due i voti contrari, quello di Barbara Ciabò (Fli) e di Carlo Montalbetti (Api). Mentre il Terzo Polo si è spaccato in tre: accanto al «no» della Ciabò, il voto favorevole di Pasquale Salvatore dell’Udc («Per coerenza con il mandato istituzionale» , ha spiegato) e l’astensione del presidente del consiglio comunale, Manfredi Palmeri. «Non è giusto il percorso intrapreso — ha sostenuto invece la Ciabò— Non si possono prendere in giro i cittadini così: non è etico» . Un applauso ha dato il benvenuto al Pgt davanti all’assessore allo Sviluppo del territorio, Carlo Masseroli, visibilmente commosso.

«E’ finito il tempo di parlare del piano — ha detto — ed è già iniziato il tempo del lavoro per farlo diventare realtà» . Masseroli, che ha citato Bloomberg e Cameron, ha definito il Pgt una «riforma liberale» . Che porterà, ha ricordato, «30 mila alloggi in housing sociale, 22 parchi, servizi diffusi per la città, la circle line, l’agricoltura in città e altro ancora» . L’assessore ha ringraziato anche i 1.200 cittadini che hanno depositato le osservazioni. «Ho detto e ripeto — ha aggiunto — che sono meno dello 0,1 per cento dei residenti di Milano. Non per sminuire il loro lavoro ma per fare i conti fino in fondo con la realtà» . Non è mancato un attacco alle opposizioni che hanno annunciato ricorso: «Trovo che sia un segno di debolezza politica— ha osservato— e sono sicuro che chi dovrà eventualmente giudicare saprà leggere la ragionevolezza del nostro lavoro» .

Il sindaco ha preso la parola in aula solo per ringraziare l’assemblea per il lavoro svolto («anche i consiglieri d’opposizione» , ha precisato), l’assessore, alcuni esponenti di maggioranza, gli uffici e il segretario generale ed è incappata in una piccola gaffe dimenticando il presidente Manfredi, salvo poi riprendere la parola per riparare. Chiusi i lavori ha sottolineato in una conferenza stampa che con il Pgt avremo «una Milano più aperta e più attrattiva» . «Il nuovo piano urbanistico — ha aggiunto — porterà più verde, più servizi e più infrastrutture di trasporto pubblico. Ci darà una città dove vivere bene, in classe A, dove ci saranno più efficienza energetica e bollette meno care» .

E sui ricorsi: «La politica deve dare risposte politiche — si è limitata a dire— e non ricorrere alla magistratura» . Soddisfatto il capogruppo del Pdl, Giulio Gallera, che ha ribadito la legittimità del metodo adottato per la discussione delle osservazioni. «La sorte ha messo sul nostro cammino— ha affermato— l’opportunità di riscrivere le regole di sviluppo della città» . Contenta la Lega: «Grazie a noi dimezzato il cemento e ora Milano riparte» , commenta Matteo Salvini. Per il via libera al provvedimento più importante del mandato, costato all’amministrazione 48 mesi di lavoro, è arrivato a Palazzo Marino lo stato maggiore del Pdl locale: il neocoordinatore regionale, Mario Mantovani, e il segretario cittadino, Luigi Casero.

In tribuna anche alcuni cittadini firmatari delle osservazioni respinte, che hanno commentato il voto con un «Buu» . Plauso invece da Assolombarda: «Grande soddisfazione dei nostri imprenditori per l’approvazione, un passo importante» ha fatto sapere il presidente, Alberto Meomartini. E dopo l’approvazione, il sindaco ha voluto festeggiare con la maggioranza al Bar Zucca, in Galleria: «E’ un momento storico — ha sottolineato — e non potevamo che scegliere un locale storico per il brindisi» .

Il centrosinistra: un atto illegittimo, subito il ricorso

Gli avvocati sono al lavoro e i ricorsi potrebbero essere presentati già la prossima settimana. «Noi abbiamo diritto specifico — spiega Basilio Rizzo, della lista Fo— perché è stata violata la funzione dei consiglieri» . Rizzo spera che si arrivi a un «ricorso unitario» dell’opposizione, ma non sarà così.

Il verde Enrico Fedrighini si chiama subito fuori: «Sfera politica e giudiziaria devono rimanere separate, specie in questo caso— chiarisce— Perché l’errore compiuto, tutto politico, è stato quello di subire tempi dettati da una legge regionale sbagliata» .

Anche Carlo Montalbetti (Api) non firmerà il ricorso. «Credo che questa sia una battaglia politica— concorda— e che debba continuare nella prossima amministrazione con tutte le armi» . Montalbetti immagina che comunque i ricorsi fioccheranno: dagli operatori e dalla società civile» .

Mentre il Pd riconferma che si opporrà, ma sta decidendo in quale sede: «Valuteremo quelle più opportune— precisa il capogruppo, Pierfrancesco Majorino — Stiamo vedendo se è più efficace il Tar, il Capo dello Stato o altro» .

Ricorso sarà, in ogni caso. Nel frattempo, ieri davanti a Palazzo Marino, i capigruppo dell’opposizione hanno consegnato 5 scatole di osservazioni (in tutto 4.765) al candidato sindaco Giuliano Pisapia. «Sono i contributi dei milanesi al Pgt cancellati con un gesto autoritario» , ha ribadito Majorino. «Un atto simbolico ma anche un passaggio di consegne importante— ha aggiunto Pisapia, per il quale quello approvato è un «Pgt scritto sull’acqua» — Questo diventa un impegno della mia candidatura e di quando sarò sindaco di Milano per far sì che il nuovo piano tenga conto delle indicazioni dei cittadini» .

La battaglia contro la decisione della maggioranza di accorpare le osservazioni in 8 gruppi è proseguita in aula. «Trattate con burocratica insofferenza le osservazioni di tanti cittadini — ha accusato Rizzo— E nella modalità siete stati molto male consigliati. Oggi pensate di avercela fatta, ma sapete benissimo che ci sarà un secondo tempo» . «Il centrodestra ha cancellato le osservazioni— ha attaccato Majorino — perché altrimenti non avrebbe avuto la forza numerica e politica per entrare nel merito delle numerose riflessioni giunte da cittadini, associazioni, enti» . Duro anche l’onorevole Pierluigi Mantini, dell’Udc: «Illegittimo il metodo dell’accorpamento forzoso, il Pgt non garantisce i diritti» .

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