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Franco Cordero
Le feste di B. alla corte dei Borgia
26 Giugno 2009
Articoli del 2009
Non poteva mancare il suo commento alle porcheriole private e ai pubblici delitti del premier degli italiani. La Repubblica, 26 giugno 2009

Sesta lettera rutula allo «Stylus». Nel gossip locale tengono banco le feste in casa B., alias Leviathan, svelate da alcune ospiti. I lettori sanno quanto somigli al tiranno che fra´ Girolamo Savonarola descriveva cinque secoli fa, e stavolta l´iroso domenicano era davvero profeta: «vale più un minimo suo polizzino» o la parola d´uno staffiere «che ogni iustizia»; usa «ruffiani e ruffiane»; non esiste «cosa stabile», pendono tutte dalla sua volontà. Ne riparlano i conversanti della quinta lettera. Dove la politica sia cosa seria, svaghi notturni nel gusto del gangster in ghette, padrone d´un night club (quest´ultima immagine viene da «Times»), e conseguenti guaiate menzogne screditano lo statista. In Rutulia sono roba futile. L´assurdo è che sia lì, talmente padrone da riscrivere i codici pro domo sua, fino a proclamarsi immune dalla giustizia penale. Scendeva in campo per difendere un colossale patrimonio accumulato mediante frode, plagio, corruzione: da allora l´ha moltiplicato; tiene i piedi nel piatto pubblico arricchendosi ancora, mentre i sudditi vanno in bolletta. Male che vada, pesca un elettore su due: se li era allevati con trent´anni d´ipnosi televisiva, formidabile inquinatore d´anime; il capolavoro sta nell´avere disinnescato i meccanismi del pensiero; in mano sua il bianco diventa nero.

L´équipe stregonesca stabilisce cosa vada detto, e dei figuranti salmodiano giaculatorie o invettive. È anche vendicativo, perciò l´inviato da «Stylus» indica i quattro interlocutori con aggettivi ordinali. Primus, Secundus, Tertius ritengono ormai assorbito l´affare. Tutto sommato, gli giova: la platea lo vede tombeur de femmes come Maupassant, sotto maschera faceta. Quartus, bibliofilo, aveva letto il ritratto del tiranno da un raro incunabolo. Stavolta porta degl´infolio in pergamena, due tomi: Liber notarum; lo strasburghese Iohannes Burckardus è cerimoniere alla corte papale dal 26 gennaio 1484. Sentiamo cosa racconta sub 31 ottobre 1501, domenica, vigilia d´Ognissanti. Sua Santità Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borgia, non viene al vespro: i cardinali l´aspettavano nella camera del pappagallo; vadano, comunica l´Eminentissimo Ludovico Podocataro. Sta poco bene: il nome clinico del disturbo è "catarro", ma l´aspetta una lunga veglia con «balli et riso»; l´ha combinata suo figlio, duca Valentino, ex cardinale, invitando delle «cantoniere. Burcardo, occhio e udito impassibili, annota i particolari da fonte sicura: le ospiti sono cinquanta prostitute «honestae», ossia munite della patente; dopo il convito ballano «cum servitoribus et aliis», vestite, indi nude; strisciando carponi sul pavimento tra i doppieri, raccolgono le castagne che buttano i commensali (tra cui Lucrezia). Segue una gara orgiastica: sono in palio mantelli fini, calzature, berretti «et alia»; i maschi concorrenti le «[tractant] publice carnaliter», più volte, «arbitrio praesentium»; chiude i giochi la consegna dei premi.

Primus rileva le differenze tra Alessandro VI e Leviathan. Quel papa possiede cospicue doti intellettuali, oltre all´abilità nel condurre l´affare ecclesiastico. È anche good natured: ha dei sentimenti; «Iulia ingrata et perfida», esclama nell´incipit d´una lettera all´amante en titre Giulia Farnese, il cui fratello Alessandro ha nominato cardinale; ama troppo la famiglia; un vorace parentado catalano invade l´Urbe; e incombe la fosca figura del duca Valentino. Leviathan ha poco d´umano: Tertius lo definisce «crocodilus ridens»; sorriso, barzellette, istrionismi d´avanspettacolo mettono freddo nelle midolla; in tanti anni non impara niente; ripete i gesti, animalescamente perfetti, con cui ha imbrogliato mezzo mondo, raccogliendo tanti soldi da scoppiare; nella soperchieria fraudolenta è atout determinante non avere vita morale. Gliene manca l´organo, idem in estetica e logica. Alessandro VI (interloquisce Secundus) riceve delle «cantoniere» ma non le nomina badesse.

Quartus riapre l´infolio. È lunedì 1 novembre 1501, festa «omnium sanctorum»: i cardinali aspettavano nella camera del pappagallo; Nostro Signore manda a dire che scendano nella Basilica, dove Santa Prassede (Antoniotto Pallavicini) canta messa solenne. Burcardo sta sulla graticola: l´occasione richiede un´indulgenza ma «non potui habere accessum ad papam»; come provvedere? Se ne occupa l´Eminentissimo Giovanni Antonio San Giorgio: compili la solita cedola; lui gliela firma. Il motu proprio «in praesentia papae», clausola falsa, concede sette anni e altrettante quaresime. Il predicatore li bandisce dal pulpito. L´affare è allettante: nell´ora o due d´una messa in San Pietro il fedele ne risparmia 68 mila e quaranta nel purgatorio, il cui fuoco non scherza; è lo stesso dell´inferno, avverte san Tommaso. Riappare un vecchio quesito, se tale lunga consuetudine abbia influito sul carattere rutulo. I conversanti formulano rilievi understated: lo stile ecclesiastico non affina lo spirito d´analisi, né sviluppa l´autonomia del giudizio; Mater Ecclesia perdona facilmente o chiude gli occhi lasciando correre; e l´ateo-bigotto Leviathan, allegro edonista, è la controparte ideale nei negoziati intesi al massimo profitto.

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