Sesta lettera rutula allo «Stylus». Nel gossip locale tengono banco le feste in casa B., alias Leviathan, svelate da alcune ospiti. I lettori sanno quanto somigli al tiranno che fra´ Girolamo Savonarola descriveva cinque secoli fa, e stavolta l´iroso domenicano era davvero profeta: «vale più un minimo suo polizzino» o la parola d´uno staffiere «che ogni iustizia»; usa «ruffiani e ruffiane»; non esiste «cosa stabile», pendono tutte dalla sua volontà. Ne riparlano i conversanti della quinta lettera. Dove la politica sia cosa seria, svaghi notturni nel gusto del gangster in ghette, padrone d´un night club (quest´ultima immagine viene da «Times»), e conseguenti guaiate menzogne screditano lo statista. In Rutulia sono roba futile. L´assurdo è che sia lì, talmente padrone da riscrivere i codici pro domo sua, fino a proclamarsi immune dalla giustizia penale. Scendeva in campo per difendere un colossale patrimonio accumulato mediante frode, plagio, corruzione: da allora l´ha moltiplicato; tiene i piedi nel piatto pubblico arricchendosi ancora, mentre i sudditi vanno in bolletta. Male che vada, pesca un elettore su due: se li era allevati con trent´anni d´ipnosi televisiva, formidabile inquinatore d´anime; il capolavoro sta nell´avere disinnescato i meccanismi del pensiero; in mano sua il bianco diventa nero.
L´équipe stregonesca stabilisce cosa vada detto, e dei figuranti salmodiano giaculatorie o invettive. È anche vendicativo, perciò l´inviato da «Stylus» indica i quattro interlocutori con aggettivi ordinali. Primus, Secundus, Tertius ritengono ormai assorbito l´affare. Tutto sommato, gli giova: la platea lo vede tombeur de femmes come Maupassant, sotto maschera faceta. Quartus, bibliofilo, aveva letto il ritratto del tiranno da un raro incunabolo. Stavolta porta degl´infolio in pergamena, due tomi: Liber notarum; lo strasburghese Iohannes Burckardus è cerimoniere alla corte papale dal 26 gennaio 1484. Sentiamo cosa racconta sub 31 ottobre 1501, domenica, vigilia d´Ognissanti. Sua Santità Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borgia, non viene al vespro: i cardinali l´aspettavano nella camera del pappagallo; vadano, comunica l´Eminentissimo Ludovico Podocataro. Sta poco bene: il nome clinico del disturbo è "catarro", ma l´aspetta una lunga veglia con «balli et riso»; l´ha combinata suo figlio, duca Valentino, ex cardinale, invitando delle «cantoniere. Burcardo, occhio e udito impassibili, annota i particolari da fonte sicura: le ospiti sono cinquanta prostitute «honestae», ossia munite della patente; dopo il convito ballano «cum servitoribus et aliis», vestite, indi nude; strisciando carponi sul pavimento tra i doppieri, raccolgono le castagne che buttano i commensali (tra cui Lucrezia). Segue una gara orgiastica: sono in palio mantelli fini, calzature, berretti «et alia»; i maschi concorrenti le «[tractant] publice carnaliter», più volte, «arbitrio praesentium»; chiude i giochi la consegna dei premi.
Primus rileva le differenze tra Alessandro VI e Leviathan. Quel papa possiede cospicue doti intellettuali, oltre all´abilità nel condurre l´affare ecclesiastico. È anche good natured: ha dei sentimenti; «Iulia ingrata et perfida», esclama nell´incipit d´una lettera all´amante en titre Giulia Farnese, il cui fratello Alessandro ha nominato cardinale; ama troppo la famiglia; un vorace parentado catalano invade l´Urbe; e incombe la fosca figura del duca Valentino. Leviathan ha poco d´umano: Tertius lo definisce «crocodilus ridens»; sorriso, barzellette, istrionismi d´avanspettacolo mettono freddo nelle midolla; in tanti anni non impara niente; ripete i gesti, animalescamente perfetti, con cui ha imbrogliato mezzo mondo, raccogliendo tanti soldi da scoppiare; nella soperchieria fraudolenta è atout determinante non avere vita morale. Gliene manca l´organo, idem in estetica e logica. Alessandro VI (interloquisce Secundus) riceve delle «cantoniere» ma non le nomina badesse.
Quartus riapre l´infolio. È lunedì 1 novembre 1501, festa «omnium sanctorum»: i cardinali aspettavano nella camera del pappagallo; Nostro Signore manda a dire che scendano nella Basilica, dove Santa Prassede (Antoniotto Pallavicini) canta messa solenne. Burcardo sta sulla graticola: l´occasione richiede un´indulgenza ma «non potui habere accessum ad papam»; come provvedere? Se ne occupa l´Eminentissimo Giovanni Antonio San Giorgio: compili la solita cedola; lui gliela firma. Il motu proprio «in praesentia papae», clausola falsa, concede sette anni e altrettante quaresime. Il predicatore li bandisce dal pulpito. L´affare è allettante: nell´ora o due d´una messa in San Pietro il fedele ne risparmia 68 mila e quaranta nel purgatorio, il cui fuoco non scherza; è lo stesso dell´inferno, avverte san Tommaso. Riappare un vecchio quesito, se tale lunga consuetudine abbia influito sul carattere rutulo. I conversanti formulano rilievi understated: lo stile ecclesiastico non affina lo spirito d´analisi, né sviluppa l´autonomia del giudizio; Mater Ecclesia perdona facilmente o chiude gli occhi lasciando correre; e l´ateo-bigotto Leviathan, allegro edonista, è la controparte ideale nei negoziati intesi al massimo profitto.