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Ida Dominijanni
Le due sponde del Tevere
6 Aprile 2006
Articoli del 2005
Confronti. Il mondo laico ci rimette. Da il manifesto del 19 aprile 2005

Almeno per qualche giorno, almeno in Italia, almeno a Roma, lo strabismo è d'obbligo. Morto un papa se ne fa un altro, morto un governo pure, o forse no. Chiesa e Stato, religione e laicità, autorità e potere. Di là e di qua dal Tevere. Strana contingenza, stesso tempo, scenari abissalmente diversi. Di là dal Tevere, dopo il ciclone Wojtyla, tutto è in ballo, dal rapporto fra fede e scienza al sacerdozio femminile, ma la forma è intatta: come durante i funerali di Giovanni Paolo II, la diretta tv restituisce geometrie e liturgie precise e cadenzate, i giochi per la successione coperti dal silenzio stampa cui sono stati piegati i 115 cardinali riuniti nella Cappella Sistina in rappresentanza del mondo. Di qua dal Tevere, alla fine del ciclone Berlusconi, c'è in ballo molto meno, un cambio di governo e forse di campo politico, ma la forma è sfatta: fra scena e retroscena, fra un conato di decisionismo del Cavaliere e un conato di autonomia di Follini, le cronache restituiscono un'incertezza istituzionale ormai scontata e interiorizzata, come se le procedure costituzionali fossero pura ritualità non vincolante per una prassi impazzita. Di là dal Tevere, finita la preghera inizia il conclave erga omnes; di qua, finito il vertice di maggioranza si aspetta che il presidente del consiglio salga finalmente al Quirinale, nel vocio di Bossi che annuncia tempesta, Buttiglione che vede sereno e Follini che patteggia insidie e ministri. Berlusconi ha passato il weekend a fare gli scongiuri contro il ritorno alla prima Repubblica, scambiando come al solito la sua fede populista per il passaggio alla seconda, che sul piano delle regole non c'è mai stato. Il berlusconismo sembra morto nelle urne regionali, ma non lo è e non smetteremo di farci i conti, sul piano delle regole, dei contenuti e della comunicazione politica: perde ai punti ma non è al tappeto, e finirà ingloriosamente, lasciando strascichi di ogni tipo, malgrado le invocazioni romantiche dell'elefantino sul Foglio al «doppio onirico» di Berlusconi perché lo faccia finire in gloria giocandosi il tutto per tutto nell'ultimo sogno e nell'ultima battaglia. Sommersa dai debiti, l'Italia non sogna più, e non è neanche detto che sia un bene come sarebbe cambiare sogno: al centrosinistra toccherà la gestione del disincanto senza né doppi onirici né doppi sogni (quelli esplosivi, a «occhi completamente aperti», alla Schnitzler riscritto da Kubrick).

Il sogno s'è spostato oltretevere. Lì i fedeli attendono il nuovo papa con un carico di aspettative che la politica laica non conosce più. Lo vogliono: paterno, aperto, comprensivo, ecumenico. I giornali, manifesto compreso, pubblicano la lista dei desideri: dev'essere simpatico come dice il cardinale Schoenborn, mediatico ma non troppo, riformista all'interno della Chiesa, deve continuare il dialogo con le altre religioni, avere a cuore i bambini asiatici oggetto di commercio sessuale, essere sensibile ai problemi dell'ambiente, diventare il paladino dei diritti umani, contrastare le guerre. Poco meno che un programma politico planetario. Molto proiettivo, molto virtuale. Ma al di qua delle proiezioni le poste in gioco, per l'immediato futuro della Chiesa, sono chiare: rapporto fra fede e scienza, permessi e divieti per la ricerca sulle cellule staminali e per la procreazione assistita, preti sposati per combattere la crisi delle vocazioni, sacerdozio femminile per scuotere il sessismo cattolico, meno proibizionismo sulla contraccezione, dialogo effettivo e non di facciata con le altre religioni, rilancio di collegialità in una Chiesa anch'essa troppo tentata, con Wojtyla, dal binomio populismo-leaderismo. Il catalogo è questo. Qualcuno da questa parte del Tevere, a destra e a sinistra, è in grado di stilarne uno altrettanto dettagliato per il governo che verrà?

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